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26 Nov

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La redazione
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23 Nov

Polizia Giudiziaria: Art. 640 cp  Truffa on line competenza territoriale

«in tema di truffa, se il profitto è conseguito mediante un bonifico bancario, il reato si consuma con l’accreditamento della somma di denaro sul conto corrente del destinatario; ne consegue che, ai fini della determinazione della competenza per territorio, occorre fare riferimento all’istituto bancario del luogo in cui il destinatario del bonifico ha aperto il conto corrente» (Sez. F, n. 37400 del :30/08/2016, F., Rv. 268011). Si tratta di orientamento uniforme rispetto al quale non si segnalano difformità sostanziali, atteso che il diverso principio (affermato, fra l’altro, da Sez. 1, n. 52003 del 22/11/2019, Ciccarelli, Rv. 277861) relativo alla individuazione del luogo di consumazione del delitto di truffa effettuata mediante ricarica di carta Postepay è strettamente consequenziale all’utilizzo di tale strumento, che determina una modalità di acquisizione del profitto diversa rispetto a quella propria del bonifico bancario Sez. PRIMA PENALE, Sentenza n.46355 del 16/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:46355PEN), udienza del 22/09/2023, Presidente ROCCHI GIACOMO  Relatore POSCIA GIORGIO

23 Nov

Armi : Arma da fuoco definizione

Ai sensi dell’art. 1 bis D.Lgs. 527/1992 ; come correttamente evidenziato nelle conclusioni del Procuratore generale, è “arma da fuoco”, «qualsiasi arma portatile a canna che espelle, è progettata per espellere o può essere trasformata al fine di espellere un colpo, una pallottola o un proiettile mediante l’azione di un propellente combustibile, ad eccezione degli oggetti di cui al punto III dell’allegato I della direttiva 91/477/CEE, e successive modificazioni. Si considera, altresì, “arma da fuoco” qualsiasi oggetto idoneo a essere trasformato al fine di espellere un colpo, una pallottola o un proiettile mediante l’azione di un propellente combustibile se: 1) ha l’aspetto di un’arma da fuoco e, 2) come risultato delle sue caratteristiche di fabbricazione o del materiale a tal fine utilizzato, può essere così trasformato…>>. In una corretta lettura della norma, a fronte della specifica indicazione che deve essere considerata “arma da fuoco” anche quella che può essere trasformata in modo da essere in grado di espelle rè un proiettile, si deve ritenere che il legislatore faccia riferimento alla potenzialità offensiva del mezzo e non tanto e non solo all’effettiva e concreta capacità dell’arma di offendere. La natura di un’arma, infatti, non viene meno per il solo fatto che lo strumento non sia attualmente funzionante, atteso che il pericolo per l’ordine pubblico sussiste anche in presenza di un guasto riparabile, a meno che non risulti obiettivamente la difficoltà della riparazione, per l’impossibilità di reperire pezzi di ricambio o comunque per la non sostituibilità di essi con altri accorgimenti. Ciò in quanto l’arma non perde la propria qualità qualora, pur priva di un qualche componente, anche essenziale, essa sia comunque ripristinabile con il pezzo mancante o anche con accorgimenti tali da surrogare il pezzo originale (Sez. 1, n. 28814 del 22/02/2019, Largitto, Rv. 276493 – 01; Sez. 1, n. 28796 del 04/06/2018, Contando, Rv. 273297; Sez. 1, n. 16638 del 27/03/2013, Farciglia, Rv. 255686; Sez. 1, n. 35648 del 04/07/2008, Saitta, Rv. 240677). 1.2. Nel caso di specie l’arma, originariamente “a salve”, era stata modificata e la verifica effettuata dal consulente con ripetute prove ha consentito di accertare che il ciclo di sparo fosse regolare benché, per un difetto della canna, l’utilizzo sarebbe stato pericoloso. Sotto tale profilo, pertanto, l’arma detenuta dal ricorrente, pure allo stato inefficiente, potendo essere riparata con l’opportuna sostituzione della canna, ha conservato la propria potenzialità offensiva così che la conclusione cui sono pervenuti i giudici di merito è corretta e non ulteriormente sindacabile in questa sede.‘Sez. PRIMA PENALE, Sentenza n.46338 del 16/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:46338PEN), udienza del 07/07/2023, Presidente ROCCHI GIACOMO  Relatore MONACO MARCO MARIA

23 Nov

Sicurezza sul lavoro : Videosorveglianza Lavoratori

Innanzitutto, va osservato che la presenza di lavoratori nel luogo ripreso dagli impianti di videosorveglianza è requisito imprescindibile per la configurabilità del reato in contestazione. Invero, detto reato, sulla base di quanto previsto dall’art. 15 d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, che costituisce la disposizione incriminatrice, è integrato dalla violazione dell’art. 4, comma 1, legge 20 maggio 1970, n. 300, previsione a sua volta diretta a regolamentare l’uso, da parte del datore di lavoro, degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti «dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori». Va poi rilevato che, secondo un principio enunciato in giurisprudenza, non è configurabile la violazione della disciplina di cui agli artt. 4 e 38 legge n. 300 del 1970 – tuttora penalmente sanzionata in forza dell’art. 171 d.lgs. n. 196 del 2003, come modificato dalla legge n. 101 del 2018 – quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti o resti necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi (così Sez. 3, n. 3255 del 14/12/2020, dep. 2021, Wang Yong Kang, Rv. 280542-01).. La sentenza impugnata si presenta lacunosa sotto entrambi i profili. La decisione del Tribunale di Messina, infatti, si limita a dare atto che, nel bar di cui l’imputata era titolare, erano stati installati un monitor e cinque telecamere, sebbene in difetto di espressa autorizzazione. Sez. TERZA PENALE, Sentenza n.46188 del 16/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:46188PEN), udienza del 26/09/2023, Presidente GALTERIO DONATELLA  Relatore CORBO ANTONIO

23 Nov

Penale : Artt. 351  co 1 ter  e 362 co 1 bis  cp Soggetti in condizione di particolare vulnerabilità

La difesa sostiene che in ragione del titolo di reato provvisoriamente ascritto, che vede contestata l’aggravante ex art. 416bis.1 cod.pen., la persona offesa denunziante doveva essere inscritta nella categoria dei soggetti in “condizione di particolare vulnerabilità” ex art 90 quater cod.proc.pen. con conseguente necessità di documentare le dichiarazioni rese, a pena di inutilizzabilità, mediante integrale ripresa audiovisiva o fonografica. La Corte ha disatteso l’eccezione difensiva con ampia motivazione confutata a mezzo di rilievi che non possono trovare concordi. 1.1 Le fonti internazionali, tra cui le Convenzioni di Varsavia (2005), di Lanzarote (2007), di Istanbul (2011) e le Direttive europee (per tutte, Direttiva2012/29/UE) al pari della legislazione interna, nella enunciazione dei parametri per l’individuazione delle vittime di reato meritevoli di particolare tutela processuale si ispirano a un criterio misto, coniugando caratteristiche soggettive, da un lato, e tipologia, natura e circostanze del reato dall’altro. In coerenza con detti parametri selettivi l’art. 90 quater cod.proc.pen. ha individuato quali elementi che debbono orientare la valutazione degli operatori giudiziari criteri soggettivi quali l’età, la condizione di infermità o deficienza psichica della vittima e altri di carattere oggettivo, desumibili da natura e modalità dell’illecito. La seconda parte della disposizione, nel recepire l’art. 23 della Direttiva 2012/29/UE, sollecita inoltre l’interprete a tener presente dati di contesto potenzialmente rilevanti in quanto indici di una possibile soggezione della vittima rispetto all’autore del reato, richiamando l’attenzione sui fatti commessi con violenza alla persona, per odio razziale ovvero riconducibili ad ambiti di criminalità organizzata, terrorismo, tratta di esseri umani, con finalità di discriminazione o in danno di chi versi in una condizione di dipendenza affettiva, psicologica o economica con l’autore. La latitudine della disposizione attesta l’insostenibilità della tesi difensiva di un’automatica applicazione della stessa in presenza del solo dato oggettivo costituito dal titolo di reato in assenza di alcun indice che deponga per la ” particolare” vulnerabilità della vittima, non essendo sufficiente per scelta legislativa (se non in relazione ad alcune categorie quali i minori e gli incapaci ) la sola generica condizione di vulnerabilità per l’accesso alla protezione processuale né risultando legittimo il ricorso a presunzioni sullo stato di soggezione e fragilità del dichiarante se non nelle ipotesi oggetto di espressa previsione al riguardo. La componente soggettiva della vulnerabilità, che concorre in senso essenziale a definire lo status, e i caratteri che debbono connotarla nel senso di una profonda incisione della sfera di libertà psichica e morale della vittima, risultano estranei alle deduzioni difensive, qualificando come infondate le doglianze difensive. Altra questione è quella inerente l’individuazione dei soggetti competenti a verificare la peculiare fragilità della vittima al fine di attivare le tutele normative. Se non appare revocabile in dubbio sulla scorta degli artt. 351, comma 1 ter, e 362, comma 1 bis, cod.proc.pen che le tutele per l’offeso vulnerabile si applicano anche nella fase delle indagini, esito coerente con la portata statica e generale dell’art. 90quater codice di rito, e che quindi sono attivabili anche ad opera della P.g., è tuttavia necessario che gli indici di vulnerabilità siano percepibili ed apprezzabili dagli inquirenti, tanto più in una fase assai precoce delle investigazioni quale quella della denunzia, versante in ordine al quale non si rinvengono ne risultano allegati elementi a sostegno dell’assunto difensivo.Sez. SECONDA PENALE, Sentenza n.46100 del 15/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:46100PEN), udienza del 15/09/2023, Presidente IMPERIALI LUCIANO  Relatore DE SANTIS ANNA MARIA

23 Nov

Polizia Giudiziaria: Art. 337 e 341 bis cp   L’oltraggio non è assorbito dalla resistenza a p.u.

L’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, ha osservato che il reato di oltraggio, previsto dall’art. 341-bis cod.pen., non è assorbito, bensì concorre con il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, anche qualora la condotta offensiva sia finalizzata allo scopo di opporsi all’azione del pubblico ufficiale, in quanto la condotta ingiuriosa non è elemento costitutivo del reato previsto dall’art. 337 cod. pen. (Sez. 6, n. 39980 del 17/05/2018, Petrenko, Rv. 273769). Questa Corte di cassazione ha osservato, invero, (Sez. 6, n. 34951 del 26/06/2018, Muoio, non massimata) come i due reati presentino una struttura diversa e, sotto altro profilo, tutelano beni giuridici differenti, con conseguente irrilevanza del fatto che gli stessi possano coincidere o, addirittura, coesistere, come avvenuto nella vicenda in esame.  Il bene tutelato dall’art. 337 cod. pen. è rappresentato dalla sicurezza e dalla libertà di azione del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nel compimento di individuati atti del proprio pubblico ufficio o servizio; il reato di oltraggio (quale reintrodotto, dopo anteriore abrogazione, dalla legge n. 94 del 2009) tutela certamente anche l’onorabilità e il prestigio individuali (immagine esterna) del pubblico ufficiale che compie attività d’istituto. Sotto altro profilo, l’offesa rivolta nei confronti del pubblico ufficiale non rientra tra gli elementi strutturali ricompresi nella fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale, con conseguente impossibilità che detta azione possa ritenersi assorbita nella fattispecie di cui all’art. 337 cod. pen. in ragione della mera sovrapposizione di plurime condotte costituenti differenti reati (cfr.: Sez. 5, n. 49478 del 09/10/2013, Mereu, Rv. 257830; Sez. 6, n. 36367 del 06/06/2013, Lorusso, Rv. 257100). La differente consistenza delle varie condotte ricomprese strutturalmente nella resistenza a pubblico ufficiale e nell’oltraggio, emerge palese anche dal venir meno dell’aggravante della commissione del fatto realizzato con violenza o “minaccia”, prevista nel previgente oltraggio ex art. 341, terzo comma, cod. pen.; la eliminazione di una concreta modalità di realizzazione della fattispecie prevista dall’attuale art. 341-bis cod. pen. rende palese l’autonomia attuativa del reato di resistenza, rispetto a coeve, ma non sovrapponibili, frasi offensive rivolte al pubblico ufficiale (arg. ex Sez. 6, n. 24630 del 15/05/2012, Fiorillo, Rv. 253108). Sez. SESTA PENALE, Sentenza n.46020 del 15/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:46020PEN), udienza del 26/10/2023, Presidente DI STEFANO PIERLUIGI  Relatore COSTANTINI ANTONIO

20 Nov

Polizia Giudiziaria: Art. 385 cp Evasione

La costante giurisprudenza di questa Corte qualifica il delitto di evasione come reato istantaneo ad effetti permanenti da intendersi cioè consumato nel momento in cui l’agente si allontana, senza giustificato motivo, dall’abitazione o dal luogo in cui si trovi agli arresti o in espiazione pena. Ne consegue che il delitto si protrae fino al momento in cui l’autore torna in quel luogo, tanto da ripristinare effettivamente i controlli da parte delle forze di polizia o abbia consentito la sua sottoposizione ad essi, nucleo della fattispecie (Sez. 6, n. 27900 del 22/09/2020, Harfachi, Rv.279676). Il rientro temporaneo ed occasionale nell’abitazione in cui l’autore è tenuto dall’autorità giudiziaria, determinato da esigenze contingenti ed estemporanea, non interrompe l’effetto permanente della precedente evasione. Perché sia configurabile una nuova condotta illecita è necessario che l’evaso torni nel luogo fissato per l’esecuzione della misura cautelare o dell’espiazione pena in modo da ripristinare nuovamente la sottoposizione agli accertamenti da parte delle autorità. Sez. SESTA PENALE, Sentenza n.45510 del 10/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:45510PEN), udienza del 26/10/2023, Presidente DI STEFANO PIERLUIGI  Relatore DI NICOLA TRAVAGLINI PAOLA

20 Nov

Polizia Giudiziaria: Art. 116 cp Concorso anomalo nel reato

In tema di concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., l’agente risponde della porzione di condotta “voluta” a titolo di dolo e del reato più grave ove vi sia «un nesso, non solo causale ma anche psicologico, tra la condotta del soggetto che ha voluto soltanto il reato meno grave e l’evento diverso, che si identifica con il coefficiente della colpa in concreto» (Sez. 5, n. 306 del 18/11/2020, dep. 2021, Tasca, Rv. 280489), Sez. QUINTA PENALE, Sentenza n.45503 del 10/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:45503PEN), udienza del 17/10/2023, Presidente ZAZA CARLO  Relatore BORRELLI PAOLA

20 Nov

Forze dell’ordine : Art. 615 ter cp Accesso abusivo sistema informatico da parte di operatore autorizzato

«integra il delitto previsto dall’art. 615 ter, secondo comma, n. 1, cod. pen. la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico  protetto per delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita (Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, Rv. 271061 – 01). Sez. QUINTA PENALE, Sentenza n.45467 del 10/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:45467PEN), udienza del 14/07/2023, Presidente MICCOLI GRAZIA ROSA ANNA  Relatore BIFULCO DANIELA

20 Nov

Penale : Art. 13 co 13 TU Stranieri divieto reingresso

Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera” (la dizione “Lo straniero espulso”, originariamente contenuta nella norma, è stata sostituita dal sintagma “Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione”, attualmente presente nel testo legislativo, ad opera dell’art. 3 d.l. 23 giugno 2011, n. 89); – il comma 13-bis, secondo cui: “Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni” (primo periodo); “Allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni” (secondo periodo). La legge punisce, quindi, con identica sanzione criminale il comportamento dello straniero che – espulso dal territorio dello Stato in esecuzione di provvedimento amministrativo (comma 13), ovvero di provvedimento giudiziale, emesso in applicazione di specifiche disposizioni recate dallo stesso T.U. innm. (comma 13-bis) – trasgredisca al divieto di non fare nuovamente ingresso nel territorio dello Stato, nel periodo indicato dall’atto dispositivo dell’espulsione (nel rispetto, comunque, dei limiti di durata del divieto in questione, stabiliti dallo stesso T.U. agli artt. 13, comma 14, nonché 16, commi 1 e 1-bis e, infine, 16, commi 5 e 8). Nonostante l’identità della sanzione, il comma 13 e il comma 13- bis disciplinano due distinte fattispecie di reato, in quanto diversa è la fonte (amministrativa in un caso, giudiziale nell’altro) dell’ordine di espulsione, che viene posto a fondamento della trasgressione al divieto di reingresso, conseguente all’adozione dell’atto autoritativo. Il succitato comma 13-bis, in conclusione, si applica alle espulsioni di stranieri (intendendosi per tali gli apolidi e i cittadini non appartenenti a uno Stato membro dell’Unione europea, ex art. 1, comma 1, T.U.) giudizialmente disposte in applicazione delle specifiche disposizioni previste dallo stesso T.U. (artt. 15, 16, commi 1, 1-bis e 5). La fattispecie prevista dal primo periodo di tale comma vede, quali elementi materiali del delitto, un ordine giudiziale di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, emesso in applicazione delle disposizioni contenute nel T.U. e il reingresso in Italia, non specificamente autorizzato dal Ministro dell’interno, dello straniero stesso, in epoca antecedente rispetto alla scadenza del termine del divieto al reingresso medesimo, fissato dal giudice nel rispetto delle disposizioni di legge sul punto. Trattasi, al pari del delitto previsto dal comma 13 dello stesso art. 13, di reato permanente, in quanto diretto ad impedire l’illegale reingresso e la permanenza illecita nel territorio dello Stato del soggetto espulso (il bene giuridico tutelato dalla norma è quello di impedire l’illegale permanenza e, dunque, la continuità della condotta antigiuridica volontariamente protratta nel tempo), la cui durata permane fino a quando il trasgressore al divieto, conseguente all’ordine, non abbandoni il territorio dello Stato, ponendo così in essere il comportamento per lui doveroso (Sez. 1, n. 10716 del 02/03/2010, Altin, Rv. 246517; Sez. 1, n. 40651 del 01/10/2008, Gjika, Rv. 241433; Sez. 1, n. 43028 del 07/11/2007, MazIami, Rv. 238115; Sez. 1, n. 17878 del 18/02/2004, Prenga, Rv. 228548; Sez. 1, n. 12821 del 05/03/2020, Melnic, n.m.). Sez. PRIMA PENALE, Sentenza n.45338 del 10/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:45338PEN), udienza del 13/09/2023, Presidente DI NICOLA VITO  Relatore LANNA ANGELO VALERIO