Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera” (la dizione “Lo straniero espulso”, originariamente contenuta nella norma, è stata sostituita dal sintagma “Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione”, attualmente presente nel testo legislativo, ad opera dell’art. 3 d.l. 23 giugno 2011, n. 89); – il comma 13-bis, secondo cui: “Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni” (primo periodo); “Allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni” (secondo periodo). La legge punisce, quindi, con identica sanzione criminale il comportamento dello straniero che – espulso dal territorio dello Stato in esecuzione di provvedimento amministrativo (comma 13), ovvero di provvedimento giudiziale, emesso in applicazione di specifiche disposizioni recate dallo stesso T.U. innm. (comma 13-bis) – trasgredisca al divieto di non fare nuovamente ingresso nel territorio dello Stato, nel periodo indicato dall’atto dispositivo dell’espulsione (nel rispetto, comunque, dei limiti di durata del divieto in questione, stabiliti dallo stesso T.U. agli artt. 13, comma 14, nonché 16, commi 1 e 1-bis e, infine, 16, commi 5 e 8). Nonostante l’identità della sanzione, il comma 13 e il comma 13- bis disciplinano due distinte fattispecie di reato, in quanto diversa è la fonte (amministrativa in un caso, giudiziale nell’altro) dell’ordine di espulsione, che viene posto a fondamento della trasgressione al divieto di reingresso, conseguente all’adozione dell’atto autoritativo. Il succitato comma 13-bis, in conclusione, si applica alle espulsioni di stranieri (intendendosi per tali gli apolidi e i cittadini non appartenenti a uno Stato membro dell’Unione europea, ex art. 1, comma 1, T.U.) giudizialmente disposte in applicazione delle specifiche disposizioni previste dallo stesso T.U. (artt. 15, 16, commi 1, 1-bis e 5). La fattispecie prevista dal primo periodo di tale comma vede, quali elementi materiali del delitto, un ordine giudiziale di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, emesso in applicazione delle disposizioni contenute nel T.U. e il reingresso in Italia, non specificamente autorizzato dal Ministro dell’interno, dello straniero stesso, in epoca antecedente rispetto alla scadenza del termine del divieto al reingresso medesimo, fissato dal giudice nel rispetto delle disposizioni di legge sul punto. Trattasi, al pari del delitto previsto dal comma 13 dello stesso art. 13, di reato permanente, in quanto diretto ad impedire l’illegale reingresso e la permanenza illecita nel territorio dello Stato del soggetto espulso (il bene giuridico tutelato dalla norma è quello di impedire l’illegale permanenza e, dunque, la continuità della condotta antigiuridica volontariamente protratta nel tempo), la cui durata permane fino a quando il trasgressore al divieto, conseguente all’ordine, non abbandoni il territorio dello Stato, ponendo così in essere il comportamento per lui doveroso (Sez. 1, n. 10716 del 02/03/2010, Altin, Rv. 246517; Sez. 1, n. 40651 del 01/10/2008, Gjika, Rv. 241433; Sez. 1, n. 43028 del 07/11/2007, MazIami, Rv. 238115; Sez. 1, n. 17878 del 18/02/2004, Prenga, Rv. 228548; Sez. 1, n. 12821 del 05/03/2020, Melnic, n.m.). Sez. PRIMA PENALE, Sentenza n.45338 del 10/11/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:45338PEN), udienza del 13/09/2023, Presidente DI NICOLA VITO Relatore LANNA ANGELO VALERIO