Autore: Redazione web

25 Mar

Class action: il decreto in G.U.

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2023, n. 70, il decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 28 di attuazione della direttiva (UE) 2020/1828 relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, c.d. class action.

Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri (v. la news A Cutro il CdM e le novità su immigrazione, class action UE e crowdfunding per imprese) è stato pubblicato sulla Gazzetta il d.lgs. n. 28/2023 in materia di class action.

Il testo modifica il d.lgs. n. 206/2005 inserendo il Titolo II.1 rubricato Azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori. Dopo aver definito il campo di applicazione delle nuove disposizioni (nuovo art. 140-ter), il decreto definisce come legittimati ad agire « le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’articolo 137, gli organismi pubblici indipendenti nazionali di cui all’articolo 3, numero 6), del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2017, che facciano richiesta di essere legittimati e gli enti designati in un altro Stato membro e iscritti nell’elenco elaborato e pubblicato dalla Commissione europea» (art. 140-quater).

Nello specifico «le azioni rappresentative previste dal presente titolo possono essere promosse dagli enti legittimati, senza bisogno di mandato da parte dei consumatori interessati, al fine di richiedere, anche cumulativamente, l’adozione dei provvedimenti inibitori previsti dall’articolo 140-octies oppure dei provvedimenti compensativi previsti dall’articolo 140-novies, in caso di violazione delle disposizioni di cui all’allegato II-septies».

Oggetto delle azioni possono essere provvedimenti inibitori (art. 140-octies) e provvedimenti compensativi (art. 140-novies). Inoltre, fino alla discussione orale della causa, l’ente legittimato e il professionista possono depositare congiuntamente al tribunale una proposta transattiva o conciliativa concernente la domanda proposta ai sensi dell’art. 140-novies.

Sono previste misure di coercizione diretta: con il provvedimento che definisce il giudizio, nonchè con il provvedimento previsto dal comma 5 dell’art. 140-octies, il giudice «fissa un termine per l’adempimento degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della parte che ha agito in giudizio, dispone, in caso di inadempimento, il pagamento di una somma di denaro da 1.000 euro a 5.000 euro, per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravità del fatto tenuto conto della gravità e della durata della violazione».

Le disposizioni del decreto si applicano a decorrere dal 25 giugno 2023.

Fonte Diritto e Giustizia

7 Gen

Va sequestrato lo smartphone allo spacciatore che utilizza la galleria fotografica per pubblicizzare le droghe in vendita

Incontestabile la condanna per detenzione di sostanze stupefacenti a fine di spaccio. Legittima la confisca del denaro rinvenuto in possesso dell’uomo e non giustificabile con le sue disponibilità economiche. Legittimo, infine, anche il sequestro del telefono cellulare, utilizzato come mezzo per presentare la merce in vendita.

di A. Ievolella

Cass. pen., sez III, ud. 18 novembre 2022 (dep. 13 dicembre 2022), n. 47071
Legittimo il sequestro dello smartphone utilizzato dallo spacciatore per presentare, tramite foto, ai potenziali clienti le droghe in vendita.

Concordi il giudice per le indagini preliminari del Tribunale e i giudici della Corte d’Appello: l’uomo sotto processo, beccato ad avere a disposizione numerosa e varia sostanza stupefacente, va ritenuto colpevole di «detenzione di droga a fine di spaccio».

A margine i giudici sanciscono anche la confisca del denaro rinvenuto in possesso dell’uomo e degli smartphone da lui posseduti. E proprio su questi ultimi due elementi è centrato il ricorso proposto in Cassazione dal difensore dell’uomo.

Secondo il legale è palesemente erronea la confisca del denaro e dei telefoni cellulari posseduti dal suo cliente. Ciò perché, con riferimento alla pecunia, non si è tenuto conto, secondo il legale, «dell’attività lavorativa svolta dall’uomo» e tale da giustificare il possesso di denaro contante, e, allo stesso tempo, si è ignorato il fatto che all’uomo è stata contestata «una condotta di detenzione di sostanza, non di cessione».

Per quanto concerne poi i telefoni cellulari, il legale sostiene sia palese «l’assenza di un effettivo rapporto.

Cass. pen., sez III, ud. 18 novembre 2022 (dep. 13 dicembre 2022), n. 47071
Presidente Marini – Relatore Mengoni

Fonte Studio Cataldi

7 Gen

Grooming

di R. Feola

Il grooming è l’adescamento di un minore su internet tramite tecniche di manipolazione tese a superarne le resistenza e carpirne la fiducia a fini di abuso o sfruttamento sessuale

Cos’è il grooming

Una delle più rilevanti minacce in rete è rappresentata dall’adescamento online del minore: c.d. grooming.

I minori, infatti, sono esposti al rischio di essere adescati da soggetti che li manipolano carpendone la fiducia e riducendone l’autocontrollo, per fini di abuso o sfruttamento sessuale.

È necessario, quindi, che i minori siano educati al buon utilizzo di internet per evitare eventuali rischi, in più gli organi competenti, sono chiamati a controllare i siti sospetti come forma di garanzia.

Il mondo virtuale – nella maggior parte dei casi – elimina i freni inibitori e l’adescamento diviene molto più facile.

La convenzione di Lanzarote

Proprio a protezione dei bambini, contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, è stata firmata il 25 ottobre 2007 la Convenzione di Lanzarote.

Gli Stati firmando la stessa, si impegnano a criminalizzare ogni attività sessuale con bambini sotto l’età del consenso, la prostituzione minorile e la pornografia infantile. La Convenzione, inoltre, intraprende misure di prevenzione allo sfruttamento sessuale dei minori, tra cui l’educazione dei bambini, il monitoraggio dei responsabili e il controllo delle persone che lavorano con i minori.

Il grooming come fattispecie di reato

È stato il Regno Unito il primo paese ad introdurre il grooming come fattispecie di reato penalmente rilevante. In Italia, solo nel 2012, con la legge n. 172 è stata data esecuzione alla Convenzione di Lanzarote. Nel codice penale, infatti, è stato introdotto l’articolo 609 undecies che recita: “Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni.

Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”.

Naturalmente dalla semplice lettura del dettato legislativo, si evince che la tutela è stata ristretta ai soli minori di anni sedici, la peculiarità, però, sta nel fatto che si sanziona la condotta a prescindere dal verificarsi del danno, che, qualora dovesse verificarsi comporta un’aggravante.

Solo il Regno Unito specifica il grooming come “ogni condotta tesa ad organizzare un incontro, per se stessi o per conto di terzi, con un minore al fine di abusarne sessualmente”.

Molto più rigida appare la normativa australiana e canadese che prevede sanzioni penali per il solo fatto di instaurare via internet una comunicazione, al fine di sedurre un minore per poi abusarne.

Vai alla guida Reato di adescamento di minorenni

Istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia

Altra fattispecie di reato introdotta in Italia è quella prevista dall’articolo 414 bis del codice penale (istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia).

Esso recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater e 609-quinquies è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni. Alla stessa pena soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti previsti dal primo comma. Non possono essere invocate, a propria scusa, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume”.

Tale delitto ha inserito per la prima volta nel nostro ordinamento penale la parola “pedofilia”, ma molte questioni si sollevano per la collocazione dell’articolo in questione.

Esso seguendo l’articolo 414 codice penale – istigazione a delinquere – potrebbe configurarsi come un’aggravante e non come una fattispecie autonoma.

Per la dottrina, però, non vi sono dubbi, l’articolo 414 bis configura una fattispecie autonoma, ponendosi la norma in un rapporto di specialità.

Fonte Studio Cataldi

7 Gen

Cassazione: condanna per il padrone che non tiene a bada il cane

di A. Villafrate

Il cane di razza pericolosa deve essere tenuto al guinzaglio e indossare la museruola, se il padrone non adotta queste accortezze è responsabile per il morso dell’animale alla persona offesa

Condanna per il padrone che non riesce a badare al cane

Responsabile il padrone per le lesioni provocate dal morso del cane di razza pericolosa alla persona offesa Il padrone deve tenere a bada il proprio cane per evitare che rechi danno a terzi, tanto più se rientra tra i cani di razza pericolosa per i quali, oltre al guinzaglio, è prevista la museruola. Queste le conclusioni della Cassazione n. 46108/2022 (sotto allegata) nel respingere il ricorso dell’imputato.

Lesioni colpose per morso di cane

Il padrone di un cane viene condannato per lesioni colpose a causa del morso al gomito che l’animale sferra al gomito della persona offesa. Applicata al responsabile la pena pecuniaria di 300 euro e l’obbligo di risarcimento del danno di 350 euro poiché il morso è stato dichiarato guaribile in 6 giorni.

L’imputato però ricorre in Cassazione per contestare l’addebito della responsabilità penale sostenendo che il morso del cane è stato motivato dal fatto che la persona offesa, intenta a spazzare sulla pubblica via, aveva colpito il cane con la scopa. Si è quindi trattato di una reazione del tutto imprevedibile dell’animale causata a sua volta da una condotta anomala della persona offesa.

Al cane di razza pericolosa guinzaglio e museruola

Motivo che la Cassazione respinge dichiarando il ricorso inammissibile nel suo complesso perché l’animale, sottoposto alla custodia del suo padrone, che lo teneva al guinzaglio, avrebbe dovuto anche indossare la museruola. Il cane infatti rientrava in quelli ritenuti di razza pericolosa in relazione ai quali le accortezze del padrone dovevano ritenersi improntate all’obbligo di custodia sullo stesso e alla posizione di garanzia del detentore.

Fonte Studio Cataldi

26 Set

Lasci l’auto aperta? Multe fino a 173 euro

di Lucia Izzo

Il Codice della Strada sanziona chi non adotta le opportune cautele per evitare l’uso del veicolo senza il suo consenso
Art. 158 del Codice della Strada
Lasciare l’auto aperta è un comportamento non solo rischioso per la possibilità che qualcuno possa appropriarsene o rubare gli oggetti ivi contenuti, ma anche passabile di una sanzione. Una conseguenza che è apparsa assurda a molti automobilisti che hanno trovato sul proprio parabrezza una multa per non aver chiuso a chiave le portiere della propria vettura.

La norma di riferimento che giustifica la sanzione è l’art. 158 del Codice della Strada, il quale precisa al comma 4 che “durante la sosta e la fermata il conducente deve adottare le opportune cautele atte a evitare incidenti ed impedire l’uso del veicolo senza il suo consenso”.

In sostanza, il conducente deve fare il possibile per dissuadere i malintenzionati, attraverso l’adozione di tutte quelle cautele necessarie a tutelare il proprio bene dall’intrusione altrui o da rischi correlati. Trattandosi di una norma aperta, che non esplicita i singoli comportamenti sanzionabili, la multa è stata comminata per fattispecie diverse.
Multa per chi lascia le portiere dell’auto aperte
In estate, ad esempio, complice la calura estiva che costringe a viaggiare con i finestrini abbassati, non è affatto difficile incorrere in una dimenticanza sanzionata dalla norma, magari anche in relazione ai sedili posteriori che non sono direttamente visibili dal guidatore.

Dunque anche lasciare il finestrino abbassato espone al rischio di una sanzione (v. anche Auto col finestrino abbassato: multa da 41 euro!) così come lasciare le chiavi nell’auto, poichè si tratta di situazioni che pongono a rischio il proprio veicolo del quale potrebbe facilmente appropriarsene altro soggetto senza il consenso del proprietario.

Ed è proprio questo l’interesse che la norma intende tutelare, ovverosia che dei veicoli non ne venga fatto un uso contrario alla legge: simili comportamenti, infatti, parrebbero porre in essere una sorta di “induzione a commettere reato” e dunque è sul conducente che ricade l’onere di porre in essere tutte le accortezze necessarie ad impedirlo.

Ancora, non sono rari i casi in cui per dimenticanza si lascia l’auto aperta, dunque facilmente accessibile da chiunque. Anche in questo caso la multa è dietro l’angolo e nulla si può eccepire alla sanzione in quanto questa è legittimata direttamente dal codice della strada.

La violazione di questo sottinteso obbligo di custodia del proprio veicolo, dal quale potrebbe derivare un uso improprio del mezzo, espone al rischio del pagamento di una sanzione amministrativa da euro 25 a euro 100 per i ciclomotori e i motoveicoli a due ruote e da euro 42 a euro 173 per i restanti veicoli.

Fonte Studio Cataldi

26 Set

Diritto di antenna

di Laura Bazzan

Il diritto di antenna riconosciuto dalla legge n. 554/40 e regolato dall’art. 209 del dlgs n. 259/2003 ha natura soggettiva perfetta e personale ma incontra il limite della proprietà altrui

Il cd. diritto di antenna consiste nel diritto ad installare proprie antenne per le telecomunicazioni, ed accessori necessari al loro funzionamento, su beni condominiali o beni altrui.

Si tratta di un diritto soggettivo perfetto di natura personale, cui la giurisprudenza maggioritaria riconosce carattere assoluto quale espressione del diritto costituzionalmente garantito all’informazione.

Il diritto di antenna comprende, altresì, il diritto di accedere alle parti comuni o di proprietà esclusiva per provvedere alla manutenzione e riparazione degli impianti di ricezione e trasmissione.

Tale diritto è riconosciuto dagli artt. 1 e 3 della L. n. 554/1940 ed è regolato dall’art. 209 del d.lgs. n. 259/2003 (cd. Codice delle comunicazioni elettroniche).

Limiti legali al diritto di antenna

Il diritto di antenna, in base a quanto previsto dall’art. 2 della legge n. 554/1940, non deve in alcun modo impedire il libero uso della proprietà in base alla sua destinazione e non deve arrecare danni alla proprietà stessa e ai terzi.

L’art. 209 del Codice delle comunicazioni elettroniche fornisce maggiori dettagli sui limiti del diritto di antenna, affrontando anche il problema della installazione in condominio, oggetto si estremo interesse per la complessità delle problematiche giuridiche che pone la installazione delle antenne negli edifici condominiali.

Nel dettaglio l’art. 209 sopra richiamato dispone che: “1. I proprietari di immobili o di porzioni di immobili non possono opporsi alla installazione sulla loro proprieta’ di antenne appartenenti agli abitanti dell’immobile stesso destinate alla ricezione dei servizi di radiodiffusione e per la fruizione dei servizi radioamatoriali. 2. Le antenne, i relativi sostegni, cavi ed accessori non devono in alcun modo impedire il libero uso della proprietà, secondo la sua destinazione, ne’ arrecare danno alla proprietà medesima od a terzi. 3. Si applicano all’installazione delle antenne l’articolo 91, nonche’ il settimo comma dell’articolo 92. 4. Gli impianti devono essere realizzati secondo le norme tecniche emanate dal Ministero. 5. Nel caso di antenne destinate a servizi di comunicazione elettronica ad uso privato e’ necessario il consenso del proprietario o del condominio, cui e’ dovuta un’equa indennità che, in mancanza di accordo fra le parti, sarà determinata dall’autorità giudiziaria.”

Diritto di antenna su proprietà altrui

Come ha precisato in maggiore dettaglio la Cassazione riguardo alla installazione dell’antenna sulla proprietà esclusiva altrui, condividendo pienamente quanto affermato dalla sentenza impugnata della Corte di Appello: “il diritto derivante dalla normativa in materia di installazione di antenne televisive “incontra il divieto di menomare il diritto di proprietà di colui che deve consentire l’installazione su parte del proprio immobile, ove l’istante abbia la possibilità di collocare un’antenna in una parte dell’immobile di proprietà personale o condominiale”. Ne discende che il diritto di proprietà non costituisce affatto, secondo il giudice di seconde cure, l’oggetto della tutela azionata in giudizio, ma solo un limite al diritto all’installazione, laddove l’istante abbia la possibilità di collocare le antenne su di una parte del dell’immobile di sua proprietà o di proprietà condominiale” (cfr. sentenza n. 16865/2017).

Concetto che è stato ribadito più dettagliatamente dalla Cassazione nella sentenza n. 6088/2021: ” l’art. 209 (del dlgs n. 259/2003) dispone che il proprietario non possa opporsi alla installazione sulla sua proprietà di “antenne appartenenti agli abitanti dell’immobile stesso destinate alla ricezione dei servizi di radiodiffusione e per la fruizione dei servizi radioamatoriali – con il limite che – le antenne, i relativi sostegni, cavi ed accessori non devono in alcun modo impedire il libero uso della proprietà, secondo la sua destinazione, ne’ arrecare danno alla proprietà medesima od a terzi”.

L’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte di Cassazione qualifica il c.d. diritto di antenna alla stregua di un diritto soggettivo perfetto e assoluto di natura personale, avente la sua fonte nella primaria libertà, costituzionalmente garantita, all’informazione. Il riconoscimento di tale diritto, tuttavia, incontra un limite nella tutela dell’altrui diritto di proprietà nonché nel principio della necessità. In particolare, in caso di edifici condominiali, il sacrificio imposto al proprietario che debba tollerare l’installazione di antenne televisive altrui si giustifica solamente qualora l’avente diritto non possa utilizzare a tal fine spazi propri o condominiali.

Ha in proposito statuito la S.C.: “Con riguardo ad un edificio in condominio ed all’installazione d’apparecchi per la ricezione di programmi radiotelevisivi, il diritto di collocare nell’altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dagli artt. 1 e 3 della legge 6 maggio 1940, n. 554 e 231 del Dpr 29 marzo 1973, n. 156 (ed attualmente regolato dagli artt. 91 e 209 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259), è subordinato all’impossibilità per l’utente di servizi radiotelevisivi di utilizzare spazi propri, poiché il diritto all’installazione non comporta anche quello di scegliere a piacimento il sito preferito per l’antenna” (v. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9427 del 21/04/2009). La citata sentenza soggiunge altresì che il diritto di antenna “va coordinato con la esistenza di una effettiva esigenza di soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini … e quindi con il dovere della proprietà servente di soggiacere alla pretesa del vicino solo qualora costui non possa autonomamente provvedere ai propri bisogni” (v. Cass. n. 9427/2009; conf. Cass. n. 16865/2017).

Come rilevato, nel caso di specie, si tratterebbe non già di riconoscere il diritto degli attori di installare l’antenna sulla proprietà esclusiva altrui, quanto di imporre al proprietario dell’appartamento sito all’ultimo piano di consentire il passaggio nella sua proprietà al fine del compimento delle attività necessarie all’installazione dell’antenna e della successiva manutenzione. Orbene, sebbene in forza della richiamata normativa ciò non costituirebbe in sé un limite insuperabile all’installazione dell’antenna (astraendo dal fatto che il proprietario interessato non è stato evocato in giudizio), deve rilevarsi come, nel caso di specie, la domanda risulti carente in quanto all’allegazione di un’effettiva esigenza da soddisfare, all’indicazione delle modalità con cui si vorrebbe soddisfarla e all’inesistenza di soluzioni di minore disagio individuale e collettivo.

Non è stato infatti indicato in modo sufficientemente specifico il punto preciso in cui l’antenna dovrebbe essere installata, né è stato indicato quale debba essere il percorso dei cavi di collegamento dell’antenna all’appartamento dell’istante e su quali proprietà, individuali e/o comuni, tale percorso dovrebbe snodarsi. Parimenti, non è stato dimostrato che la soluzione prospettata da parte attrice sia l’unica tecnicamente possibile ovvero preferibile alle altre, né è stata provata la necessità di parte attrice di installare l’antenna anche in relazione alla presenza di altra antenna centralizzata, già presente sulla copertura condominiale.Pertanto, nel caso di specie non può reputarsi soddisfatto l’onere probatorio che la normativa e la giurisprudenza testé citate richiedono al fine del riconoscimento in concreto del diritto di antenna”.

Fonte Studio Cataldi

26 Set

Autovelox: fotogrammi di due veicoli? Verbale annullato

di A. Villafrate

Se nel fotogramma scattato dal rilevatore di velocità figurano due veicoli, di cui solo uno di proprietà del presunto trasgressore, non è possibile accertare quale dei due abbia commesso la violazione

Il Giudice di Pace di Milano con la sentenza n. 2008/2022 (sotto allegata) e una sintetica motivazione accoglie il ricorso di una donna, rappresentata e difesa dalla Globoconsumatori Onlus, a cui è stato notificato un verbale di accertamento con il quale le è stata contestata la violazione dei limiti di velocità accertati con autovelox. Nel fotogramma compaiono due veicoli, di cui uno della ricorrente, ma come si può stabilire con certezza quale due ha commesso la violazione?

Violato il limite di velocità

La proprietaria di un veicolo si oppone a un verbale con il quale la Polizia della città di Milano ha contestato la violazione dell’art. 142 comma 8 del Codice della Strada il quale punisce “Chiunque supera di oltre 10 km/h e di non oltre 40 km/h i limiti massimi di velocità è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 173 a € 694.”

Due veicoli nel fotogramma impediscono di capire quale ha trasgredito

Il Giudice di Pace adito accoglie il ricorso della ricorrente, perché le prove prodotte dall’ente impositore non dimostrano la violazione. In giudizio infatti sono stati prodotti i fotogrammi di due veicoli, come processati dall’apparecchio elettronico utilizzato per il rilevamento dell’illecito, dei quali uno solo della ricorrente. La presenza però di due veicoli nello stesso fotogramma e la mancata deduzione delle modalità di funzionamento dell’autovelox, non consente di stabilire con certezza quale due due veicoli abbia commesso la violazione contestata. Il verbale quindi va annullato.

Fonte Studio Cataldi

27 Ago

Cassazione: screditare con sanzioni un dipendente è mobbing

di A. Pagliuca

Per i giudici del Palazzaccio, l’irrogazione di sanzioni disciplinari atte a screditare il dipendente configura il mobbing
Screditare il lavoratore è mobbing
Il ricorso del Miur

La Corte di Cassazione, con ordinanza 22381/2022, ha stabilito che l’irrogazione di provvedimenti disciplinari che hanno come unico obiettivo quello di screditare il lavoratore configura mobbing.
Lo stesso lavoratore potrà quindi chiedere il risarcimento dei danni per gli atti subiti.
Viene infatti riconosciuta dai giudici, l’illegittimità di taluni provvedimenti presi da un istituto scolastico nei confronti di una insegnante sospesa e quindi trasferita successivamente senza una valida motivazione. La mancanza di motivazione, costituisce una lesione all’autorevolezza ed al prestigio del lavoratore.

Il ricorso del Miur

La docente di un liceo romano, a seguito di atti persecutori da parte del preside dell’istituto, ha sviluppato una sindrome ansioso-depressiva che l’ha portata a ricorrere al TAR, che dopo un’attenta analisi ha effettivamente accertato la condotta mobbizzante del MIUR. Una condotta che è stata successivamente accertata anche in sede civile presso la Corte d’Appello di Roma. A ricorrere in Corte di Cassazione è stato il MIUR.
Ricorso respinto in quanto è stata acclarata l’intenzione di voler ledere la dignità della docente “minandone gravemente dignità e prestigio”.

Provvedimenti disciplinari vessatori reiterati

Poichè i provvedimenti disciplinari non sono isolati ma reiterati, dimostrando quindi l’intenzionalità nel voler colpire la lavoratrice, si può parlare di mobbing.
La docente ha infatti subito “comportamenti di carattere vessatorio, con la conseguenza dell’evento lesivo della salute o della dignità del dipendente e l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti” come riportato da Cass.19782/2014.
La Corte ha quindi respinto il ricorso, riconoscendo alla lavoratrice un risarcimento del danno in relazione agli atti subiti.

Fonte Diritto e Giustizia

27 Ago

Bambino da solo a casa: è reato?

Il reato di abbandono di minore contemplato dall’art. 591 c.p. punisce quei soggetti che, tenuti a precisi obblighi di cura e custodia, non vi provvedono esponendo il minore al pericolo per la sua vita o la sua incolumità

E’ possibile lasciare solo a casa per un periodo di tempo limitato un bambino educato all’autosufficienza, che sa come evitare situazioni di pericolo evidente o volontariamente procurate, e sia davanti alla televisione a guardare il suo programma, magari con un coetaneo? in casi come questi si incorre nel reato di abbandono?

La domanda non è retorica perché spesso il reato in questione viene usato quale “arma impropria” dal genitore separato nei confronti dell’altro quando il figlio conteso è con il coniuge “rivale” e viene lasciato occasionalmente senza la presenza di questi per svolgere una commissione o una incombenza, limitata del tempo, di lavoro.

Nell’analisi del reato previsto e punito dall’art. 591 c.p. va individuato anzitutto il bene giuridico tutelato dalla norma in esame, che è costituito dalla vita e dall’incolumità individuale delle persone che, a causa dell’età o per qualsiasi altro motivo, siano incapaci di provvedere in maniera autonoma a loro stesse e che si trovino, di conseguenza, esposte a situazioni di pericolo.

Vai alla guida Abbandono di incapace

La posizione di garanzia del reo

Sebbene l’art. 591 c.p. faccia riferimento genericamente a “chiunque”, occorre precisare che il soggetto attivo dell’illecito penale deve trovarsi in una particolare relazione con la parte lesa, in termini di dovere di cura e custodia. Il legislatore ha inteso infatti circoscrivere l’ambito di applicazione della disposizione ai casi nei quali sia individuabile un soggetto titolare di una specifica posizione di garanzia.

Lo ha ribadito di recente la Cassazione nella sentenza n. 22588/2022: “Il delitto di abbandono di persone minori o incapaci, previsto dall’articolo 591 cod. pen., è un reato proprio, che può essere commesso solamente da parte di un soggetto che riveste una posizione di garanzia nei confronti del soggetto passivo, sia esso un minore o un incapace; e la condotta incriminata consiste nell’abbandono della vittima, cioè nella volontaria sottrazione anche solo parziale o temporanea ai propri obblighi di custodia o di cura, nella consapevolezza della esposizione a pericolo della vita o dell’incolumità individuale del soggetto incapace di attendervi da solo (Sez. 5, n. 7974 del 19/10/2015); tale condotta è integrata da qualunque azione od omissione, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o per l’incolumità del soggetto passivo (Sez. 1, n. 5945 del 15/01/2009, Sez. 5, n. 15245 del 23/02/2005; Sez. 5, n. 10126 del 21/09/1995); tanto che risponde del delitto anche colui che, pur non allontanandosi dal soggetto passivo, ometta di far intervenire persone idonee ad evitare il pericolo stesso (Sez. 5, n. 7974/2015; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012). Inoltre, in tema di abbandono di persone minori o incapaci, il dovere di custodia implica una relazione tra l’agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una sua spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall’esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell’agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali (Sez. 5, n. 18665 del 03/02/2021).”

In che cosa consiste l’abbandono

Per “abbandono” si intende quindi, una condotta diretta a lasciare una persona incapace o minore in completa balia di sé stessa, in modo che da tale situazione possa derivare un pericolo per la vita o per l’incolumità del soggetto passivo. Su questo aspetto in particolare la Cassazione nell’ordinanza n. 13266/2022 ha ricordato che: “l’abbandono di cui all’art. 591 c.p. (Abbandono di persone minore o incapaci) consiste nel lasciare la persona in balia di sé stessa o di terzi che non siano in grado di provvedere adeguatamente alla sua custodia e cura, in modo che ne derivi un pericolo per la vita e l’incolumità della persona medesima).”

Occorre tuttavia chiarire che ai fini del reato è necessario accertare in concreto la sussistenza delle situazioni pregiudizievoli per l’incolumità del minore. La Cassazione nella sentenza n. 22207/2017 ha infatti avuto modo di precisare che: “secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 591 c.p (abbandono di persone minori o incapaci) è necessario accertare in concreto, salvo che si tratti di minore di anni quattordici, l’incapacità del soggetto passivo di provvedere a se stesso.”

Se dunque il minore che ha acquisito un minimo di raziocinio, viene lasciato momentaneramente a casa, in assenza di qualunque fonte di pericolo, anche solo meramente potenziale, e in un ambiente, la casa del padre o della madre appunto, ben noto e conosciuto, e dunque inidoneo a produrre al minore stesso qualsiasi stato di ansia o patema d’animo, il reato non pare sussistere.

Sarà al proposito utile dimostrare di aver diligentemente eliminato ogni situazione di potenziale pericolo (spento il gas dal rubinetto centrale, chiuso tutte le finestre e le tapparelle con sicura, controllare con cura che in casa non vi siano alla portata dei minori oggetti pericolosi, tipo coltelli, forbici, accendini o altro).

Insomma se il minore non è “abbandonato”, ma lasciato per poco per un tempo ragionevolmente circoscritto, in una situazione di assoluta sicurezza e tranquillità a guardare la televisione piuttosto che a leggere i fumetti o a fare i compiti, il reato non può dirsi perfezionato.

Questo può affermarsi perché in punto di “pericolosità” della situazione, quale status integrante gli estremi del reato, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che non se ne possa prescindere in concreto: “L’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sull’agente, da cui derivi uno stato di pericolo per l’incolumità della persona, incapace di provvedere a sè stessa… Venendo in considerazione un reato di pericolo,….. la condotta deve essere oggettivamente idonea a determinare, anche in via potenziale, l’aggressione del bene protetto dalla norma incriminatrice. Ne consegue, che il criterio giuridico di determinazione del fatto oggettivo, necessario per accertare se una determinata azione o omissione costituisca abbandono di persona incapace, deve essere correlato, da una parte, alla pericolosità del fatto e, dall’altra parte, al contenuto dell’obbligo violato e alla natura dell’incapacità (Cassazione Penale n. 4407/1998).”

Nella analisi di ogni concreta fattispecie in esame andrà quindi considerata l’età del minore, sulla base della quale può inferirsi se lo stesso fosse capace di valutare eventuali situazioni di eclatante pericolo, l’educazione ricevuta all’auto-protezione e in generale sulle sua abitudini di vita. Il genitore per andare esente da responsabilità deve avere cioè la fondata consapevolezza, basata su parametri oggettivi e non su mere convinzioni, di una situazione di sicurezza del figlio, diversa da quella di “abbandono”di una persona incapace, in quella specifica situazione, di provvedere a sé stessa.

L’elemento soggettivo del reato

Sempre la Cassazione 22588/2022 ha anche ribadito che: “Sotto il profilo soggettivo, il dolo richiesto dalla norma incriminatrice è generico e consiste nella coscienza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo, che non abbia la capacità di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità di cui si abbia l’esatta percezione (Sez. 5, n. 7974/2015; Sez. 2, n. 10994/2012; Sez. 5, n. 15147 del 14/03/2007; Sez. 5, n. 19476 del 25/02/2010); esso può assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l’agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilità del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l’incolumità fisica di quest’ultimo, persiste nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l’evento si verifichi» (Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017).

Abbandono e omicidio

L’ordinanza n. 13266/2022 della Cassazione sopra menzionata merita di essere ripresa nuovamente anche perché, alla luce dei recenti fatti di cronaca, ha il pregio di chiarire che: “il delitto di abbandono di minore si distingue da quello di tentato omicidio per il diverso elemento psicologico.

Nel primo caso l’elemento soggettivo è costituito dalla coscienza di abbandonare la persona minore o incapace con la consapevolezza del pericolo inerente all’incolumità fisica della stessa con l’instaurarsi di una situazione di pericolo, sia pure potenziale.

Nella seconda ipotesi è necessario che il soggetto compia la condotta vietata con la volontà e la consapevolezza di cagionare la morte del soggetto passivo o tale evento si rappresenti come probabile o possibile conseguenza del suo operare, accettando il rischio implicito del suo verificarsi (Cass. pen. n. 9562/1989; n. 2269/1991).

Il delitto è aggravato se dal fatto deriva una lesione personale o la morte (art. 591, 3° co.). Se la lesione o la morte siano volute, anche a titolo di dolo eventuale (secondo l’opinione della dottrina maggioritaria), l’abbandono concorre con le lesioni personali ex artt. 582 o 583 c.p. o l’omicidio ex art. 575 c.p.

Consegue da quanto sopra che il delitto di abbandono, anche nella forma aggravata dall’evento morte, non può a priori, e qualunque sia il giudizio morale sulla condotta dell’agente, farsi rientrare fra le ipotesi previste dall’art. 463, n. 2, c.c., perché la legge non dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio.

Se poi l’abbandono sia stato posto in essere con la volontà di cagionare la morte, nel senso sopra indicato, il fatto non deve ritenersi compreso nel predetto n. 2, ma nel n. 1 dell’art. 463 c.c.”.

Fonte Studio Cataldi

27 Ago

Risarciti i danni causati dai guaiti dei cani del vicino di casa

di A. Villafrate

Confermata la sentenza che ha riconosciuto al vicino di casa il risarcimento per i danni riportati alla saluta a causa degli ululati e guaiti dei cani nelle ore notturne destinate al riposo

La Cassazione, con l’ordinanza n. 23408/2022 (sotto allegata) conferma la sentenza della Corte di appello, stante l’inammissibilità del ricorso del proprietario di due cani che, di notte, con guaiti e ululati disturbavano il sonno e il riposo del vicino, che a causa di questi suoni fastidiosi ha riportato danni alla salute.

La vicenda processuale
In sede di appello la sentenza di primo grado viene parzialmente modificata. Viene infatti accolto in parte l’appello principale dell’appellante, che ha avanzato domanda di risarcimento per danni alla salute derivanti dagli ululati cupi e dagli ululati fastidiosi dei cani dei vicini. Questi animali, tenuti sul terrazzo e nel terreno comune, guaivano e abbaiavano soprattutto di notte, nelle ore deputate al riposo delle persone.

Violate le norme sul risarcimento danni

Parte soccombente ricorre in Cassazione, sollevando per 5 motivi di doglianza in cui contesta anche la violazione anche norme del codice civile, che prevedono il risarcimento del danno a vario titolo (art. 2043 c.c, art. 2059 c.c, art. 2052 c.c) e le regole di valutazione dei danni come l’art. 2056 c.c.

Emergenze probatorie non rivedibili in Cassazione

La Cassazione però rigetta il ricorso ritenendolo inammissibile sotto diversi profili perché tutti i motivi sollevati sono finalizzati ad ottenere una diversa rilettura nel merito della vicenda.

“evidente come l’odierno l’odierno ricorrente inammissibilmente prospetti in realtà una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Fonte Studio Cataldi