Categoria: Ambiente

24 Apr

Ambiente: Trasporto rifiuti

Il trasporto di rifiuti con mezzi propri e non autorizzati integra una condotta riconducibile alla previsione sanzionatoria cui all’art. 256, comma 1, del D.Igs. 152/2006, norma che non richiede né la sistematicità del trasporto né particolari caratteristiche di imprenditorialità della condotta, rilevando unicamente un “minimum” di organizzazione nella realizzazione della condotta (Sez. 3, n.2575 del 25/01/2019). Ai fini della configurabilità del reato di trasporto non autorizzato di rifiuti non pericolosi di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), del D.Igs. 152/2006, è sufficiente anche una sola condotta, sia pure isolata ed occasionale. Difatti, il reato ha natura istantanea e si perfeziona anche con un singolo trasporto (Sez. 3, 27/09/2017, n.44438; Sez.3, 24/06/2016, n. 26435; Sez.3, 29/02/2016, n. 8193). Sez. SETTIMA PENALE, Ordinanza n.16270 del 18/04/2024 (ECLI:IT:CASS:2024:16270PEN), udienza del 09/02/2024, Presidente LIBERATI GIOVANNI  Relatore MAGRO MARIA BEATRICE

12 Feb

Ambiente: Reati edilizi la prosecuzione di lavori edili su manufatti abusivamente realizzati concretizza una nuova condotta illecita

La giurisprudenza ha sempre affermato, in tema di reati edilizi, che la prosecuzione di lavori edili su manufatti abusivamente realizzati concretizza una nuova condotta illecita, a prescindere dall’entità dei lavori eseguiti ed anche quando per le condotte relative alla iniziale edificazione sia maturato il termine di prescrizione, atteso che i nuovi interventi ripetono le stesse caratteristiche di illegittimità dall’opera principale alla quale strutturalmente ineriscono (Sez. 3, n. 30673 del 24/06/2021, Saracino, Rv. 282162 – 01).Qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l’abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente (Sez. 3, n. 48026 del 10/10/2019, Casola, Rv. 277349). Si veda anche Sez. 3, n. 41079 del 20/09/2011, Latone, Rv. 251290 – 01, per cui integra il reato contravvenzionale previsto dall’art. 44, comma primo, lett. b), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la prosecuzione dell’attività edilizia vietata in vista dell’ultimazione dei lavori eseguita successivamente al dissequestro e alla restituzione dell’immobile abusivo all’indagato, ciò a prescindere dall’entità degli interventi eseguiti (in applicazione di tale principio la Corte ha disatteso la tesi difensiva secondo cui nessun reato era ipotizzabile in quanto gli interventi eseguiti per l’ultimazione dei lavori non necessitavano del permesso di costruire). Sez. TERZA PENALE, Sentenza n.4758 del 02/02/2024 (ECLI:IT:CASS:2024:4758PEN), udienza del 20/12/2023, Presidente RAMACCI LUCA  Relatore SEMERARO LUCA

17 Apr

Ambiente: Reati Edilizi 

Tramezzature nell’immobile per ricavare più stanze: lavori legittimi anche senza permesso di costruire  a patto che non vi sia alcun mutamento della volumetria complessiva o dell’originaria destinazione d’uso dell’immobile. Cass. pen., sez III, ud. 21 dicembre 2022 (dep. 11 aprile 2023), n. 14964

27 Ago

Risarciti i danni causati dai guaiti dei cani del vicino di casa

di A. Villafrate

Confermata la sentenza che ha riconosciuto al vicino di casa il risarcimento per i danni riportati alla saluta a causa degli ululati e guaiti dei cani nelle ore notturne destinate al riposo

La Cassazione, con l’ordinanza n. 23408/2022 (sotto allegata) conferma la sentenza della Corte di appello, stante l’inammissibilità del ricorso del proprietario di due cani che, di notte, con guaiti e ululati disturbavano il sonno e il riposo del vicino, che a causa di questi suoni fastidiosi ha riportato danni alla salute.

La vicenda processuale
In sede di appello la sentenza di primo grado viene parzialmente modificata. Viene infatti accolto in parte l’appello principale dell’appellante, che ha avanzato domanda di risarcimento per danni alla salute derivanti dagli ululati cupi e dagli ululati fastidiosi dei cani dei vicini. Questi animali, tenuti sul terrazzo e nel terreno comune, guaivano e abbaiavano soprattutto di notte, nelle ore deputate al riposo delle persone.

Violate le norme sul risarcimento danni

Parte soccombente ricorre in Cassazione, sollevando per 5 motivi di doglianza in cui contesta anche la violazione anche norme del codice civile, che prevedono il risarcimento del danno a vario titolo (art. 2043 c.c, art. 2059 c.c, art. 2052 c.c) e le regole di valutazione dei danni come l’art. 2056 c.c.

Emergenze probatorie non rivedibili in Cassazione

La Cassazione però rigetta il ricorso ritenendolo inammissibile sotto diversi profili perché tutti i motivi sollevati sono finalizzati ad ottenere una diversa rilettura nel merito della vicenda.

“evidente come l’odierno l’odierno ricorrente inammissibilmente prospetti in realtà una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Fonte Studio Cataldi

11 Ago

Danni causati da animali selvatici

di A. Villafrate

La fauna selvatica, disciplinata dalla legge n. 157/1992, in caso di danni a terzi vede come legittimata passiva della richiesta risarcitoria la Regione. La norma applicabile è l’art. 2052 c.c. come ribadito dalla Cassazione

Gli animali selvatici sono oggetto di diversi provvedimenti normativi. La prima legge di riferimento è la n. 157/1992 che contiene le “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.”
All’art. 1 si precisa che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e che compiti particolari, in relazione a diverse specie di animali, sono affidate alle Regioni e alle Province. Per l’argomento però che qui interessa trattare la norma di riferimento più importante è senza dubbio l’articolo 2052 del codice civile il quale così dispone: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo hai in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.”
La conferma di quanto detto proviene dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che con una recente ordinanza ha riepilogato i principi giuridici guida da seguire nelle cause risarcitorie intraprese per danni causati da animali selvatici. Vediamo di cosa si tratta.

Danni provocati da animali selvatici: art. 2052 c.c.

Un uomo conviene in giudizio la Regione Molise e la Provincia di Isernia per ottenere il risarcimento dei danni portati dal suo veicolo dopo l’impatto con un grosso cinghiale. Sia la Regione che la Provincia però eccepiscono la propria legittimazione passiva nel giudizio ai sensi degli articoli 2043 e 2052 c.c. La Cassazione nell’ordinanza n. 18454/2022 dichiara che per risolvere il caso di specie deve darsi seguito all’indirizzo di legittimità con cui questa Sezione della Corte ha affermato i seguenti principi di diritto:
Applicabilità dell’art. 2052 cc.
“I danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c. c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema.

Legittimata passiva è la Regione

Nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno.

Al danneggiato l’onere del nesso tra evento e condotta dell’animale

In materia di danni da fauna selvatica a norma dell’art. 2052 c.c., grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi.
Invocabile l’art. 2052 c.c.
Con detto indirizzo giurisprudenziale che oramai può considerarsi consolidato – Cass. 05/11/2021, n. 32018; Cass. 9/02/2021, n. 3023; Cass. 20/04/2020, n. 7969; Cass. 29/04/2020, nn. 8384 e 8385; Cass. 6/07/2020, n. 13848; Cass. 2/10/2020, n. 20997; Cass. 31/08/2020, n. 18085; Cass. 31/08/2020, n. 18087; Cass. 15/09/2020, n. 19101; Cass. 1.2/11/2020, n. 25466 – è stato superato il precedente quadro interpretativo che riteneva impossibile invocare per la fauna selvatica il regime previsto dall’art. 2052 c.c., attesa l’inestensibilità del dovere di custodia ivi previsto agli animali selvatici che vivono in libertà.

La Regione per liberarsi deve provare il caso fortuito

Questa Corte, invece, oggi ritiene che la proprietà pubblica delle specie protette disposta in funzione della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, che avviene anche attraverso la tutela e la gestione di dette specie, mediante l’attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere di sostituzione) sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate, determina una situazione equiparabile (nell’ambito del diritto pubblico) a quella della “utilizzazione”, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l’ambiente e l’ecosistema, degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario.

Di conseguenza, è la Regione a dover essere considerata, ex art. 2052 cod.civ., l’esclusiva responsabile dei danni causati dagli animali – perché se ne serve nel senso dianzi precisato – salvo che provi il caso fortuito. Ciò comporta, evidentemente, che sull’attore che allega di avere subito un danno, cagionato da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, graverà l’onere di dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.

Al conducente dimostrare di aver fatto il possibile per evitare il danno

Ove si controverta di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici non basta – ai fini dell’applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. – la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l’impatto tra l’animale ed il veicolo, in quanto, poiché al danneggiato spetta di provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” del danno e poiché, ai sensi dell’art. 2054, comma 1, c.c., in caso di incidenti stradali, il conducente del veicolo è comunque onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quest’ultimo – per ottenere l’integrale risarcimento del danno che afferma di aver subito – dovrà anche allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro , dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida, da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici, e che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno.”

Il precedente sulla responsabilità della Regione

L’appena citato mutamento giurisprudenziale sulla responsabilità della Regione in materia di danni cagionati dalla fauna selvatica, come ricorda la Cassazione n. 22271/2021 è la Cassazione n. 7969/2020 “che ha espressamente riconosciuto la legittimazione passiva in via esclusiva alla regione in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti” (nei cui confronti, peraltro, la regione può rivalersi, anche chiamandoli in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) -, sulla cui scorta si sono espresse, tra le pronunce massimate, Cass. sez. 3, 22 giugno 2020 n. 12113 e Cass. sez. 3, ord. 6 luglio 2020 n. 13848; l’orientamento è stato ribadito da tutti i successivi arresti non massimati (Cass. sez. 6-3,ord. 31 agosto 2020 nn. 18085 e 18087; Cass. sez. 6-3, ord. 15 settembre 2020 n. 19101; Cass. sez. 6-3,ord. 2 ottobre 2020 n. 20997; Cass. sez. 3, ord.11 novembre 2020 n. 25280; Cass. sez. 6-3, ord. 9 febbraio 2021 n. 3023).”

16 Ott

Reato lasciare i cani in auto per ore

di Annamaria Villafrate


La Cassazione afferma che per integrare il reato di abbandono non occorre il dolo e la sofferenza dell’animale si desume dalla incompatibilità della detenzione con la sua natura

Ai fini della configurazione del reato di abbandono non occorre che vi sia la prova delle sofferenze e che le stesse siano inferte volontariamente. La sofferenza arrecata all’animale è desumibile dal contesto. Va quindi confermata la condanna alla pena dell’ammenda irrogata ai due imputati, responsabili di aver lasciato due cani di grossa taglia all’interno dell’auto la notte di Capodanno senza acqua. Questo quanto emerge dalla sentenza della Cassazione n. 36713/2021

La vicenda processuale
In primo grado due imputati vengono condannati per il reato di abbandono di animali contemplato dall’art. 727 c.p per aver lasciato per più di tre ore, nella notte di San Silvestro del 2017, due cani di grossa taglia all’interno di un’auto, parcheggiata sulla via pubblica, senza acqua. Condizione che ha arrecato ai due animali grosse sofferenze anche per l’impossibilità degli stessi di muoversi adeguatamente.

Senza la prova della sofferenza dell’animale non c’è reato

I due imputati, in disaccordo con l’esito del giudizio di primo grado, impugnano la sentenza innanzi alla Corte di Cassazione sollevando un unico motivo, con il quale fanno presente che l’art. 727 c.p punisce chi detiene gli animali in condizioni incompatibili con la loro natura quando la detenzione produce gravi sofferenze.

In relazione al reato contestato i due imputanti evidenziano che la motivazione della sentenza di condanna difetta nel punto in cui dovrebbe dimostrare il nesso di causa tra la condotta e le gravi sofferenze che i due animali avrebbero subito. Non basta la mera condizione di detenzione per dedurre che i due animali abbiano patito a causa della assenza di acqua, dello spazio ridotto in cui muoversi e delle carenti protezioni dal freddo. Nessuna prova inoltre è stata fornita della sofferenza degli animali. Per gli imputati l’auto non è un luogo insalubre in cui detenere due cani, anche perché capace di proteggere dalle intemperie.

Detenzione incompatibile con la natura dell’animale

La Cassazione adita, non condividendo la tesi difensiva dei due imputati, respinge i ricorsi perché non li ritiene meritevoli di accoglimento.

Per la Corte, l’abitacolo di un’autovettura, anche a volerlo ritenere confortevole, è comunque sempre diverso dall’habitat naturale in cui dovrebbero essere detenuti i due animali, senza contare il tempo di stazionamento dentro l’auto e il contesto generale.

Anche a prescindere dalle sofferenze fisiche, non si può certo trascurare l’esperienza vissuta dai due animali in rapporto alla loro sensibilità, aspetto che la norma vuole tutelare, preservandoli da condizioni di detenzione o custodia in grado di cagionare una sofferenza superiore alla soglia di tollerabilità.

Occorre inoltre sottolineare che la norma, che contempla un reato contravvenzionale, non richiede ai fini della punibilità, la volontà da parte dell’agente di recare sofferenza all’animale, bastando la colpa.

Il giudice di merito, per gli Ermellini, ha ben valutato gli elementi probatori a sua disposizione deducendo che, a causa dello spazio ridotto, dell’assenza di ciotole per l’acqua e del freddo, i due animali abbiano patito gravi sofferenze. Sofferenze per le quali non occorre prova, potendo desumersi dal contesto, come ha correttamente concluso il giudice di merito, che ha rilevato la mancata adozione delle accortezze necessarie a soddisfare i compiti di cura degli animali al fine di garantire il loro benessere.

E’ in pratica dalla incompatibilità delle condizioni di detenzione con la natura dell’animale che deve desumersi la sua sofferenza e poiché tale elemento deve desumersi dalle condotte che incidono sulla sua sensibilità, è stato sufficiente appurare la condizione di nervosismo dei due cani accertate dai verbalizzanti, per giungere alle conclusioni a cui è arrivato il giudice di merito.

Fonte Studio Cataldi