Categoria: Minori

7 Gen

Grooming

di R. Feola

Il grooming è l’adescamento di un minore su internet tramite tecniche di manipolazione tese a superarne le resistenza e carpirne la fiducia a fini di abuso o sfruttamento sessuale

Cos’è il grooming

Una delle più rilevanti minacce in rete è rappresentata dall’adescamento online del minore: c.d. grooming.

I minori, infatti, sono esposti al rischio di essere adescati da soggetti che li manipolano carpendone la fiducia e riducendone l’autocontrollo, per fini di abuso o sfruttamento sessuale.

È necessario, quindi, che i minori siano educati al buon utilizzo di internet per evitare eventuali rischi, in più gli organi competenti, sono chiamati a controllare i siti sospetti come forma di garanzia.

Il mondo virtuale – nella maggior parte dei casi – elimina i freni inibitori e l’adescamento diviene molto più facile.

La convenzione di Lanzarote

Proprio a protezione dei bambini, contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, è stata firmata il 25 ottobre 2007 la Convenzione di Lanzarote.

Gli Stati firmando la stessa, si impegnano a criminalizzare ogni attività sessuale con bambini sotto l’età del consenso, la prostituzione minorile e la pornografia infantile. La Convenzione, inoltre, intraprende misure di prevenzione allo sfruttamento sessuale dei minori, tra cui l’educazione dei bambini, il monitoraggio dei responsabili e il controllo delle persone che lavorano con i minori.

Il grooming come fattispecie di reato

È stato il Regno Unito il primo paese ad introdurre il grooming come fattispecie di reato penalmente rilevante. In Italia, solo nel 2012, con la legge n. 172 è stata data esecuzione alla Convenzione di Lanzarote. Nel codice penale, infatti, è stato introdotto l’articolo 609 undecies che recita: “Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni.

Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”.

Naturalmente dalla semplice lettura del dettato legislativo, si evince che la tutela è stata ristretta ai soli minori di anni sedici, la peculiarità, però, sta nel fatto che si sanziona la condotta a prescindere dal verificarsi del danno, che, qualora dovesse verificarsi comporta un’aggravante.

Solo il Regno Unito specifica il grooming come “ogni condotta tesa ad organizzare un incontro, per se stessi o per conto di terzi, con un minore al fine di abusarne sessualmente”.

Molto più rigida appare la normativa australiana e canadese che prevede sanzioni penali per il solo fatto di instaurare via internet una comunicazione, al fine di sedurre un minore per poi abusarne.

Vai alla guida Reato di adescamento di minorenni

Istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia

Altra fattispecie di reato introdotta in Italia è quella prevista dall’articolo 414 bis del codice penale (istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia).

Esso recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater e 609-quinquies è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni. Alla stessa pena soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti previsti dal primo comma. Non possono essere invocate, a propria scusa, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume”.

Tale delitto ha inserito per la prima volta nel nostro ordinamento penale la parola “pedofilia”, ma molte questioni si sollevano per la collocazione dell’articolo in questione.

Esso seguendo l’articolo 414 codice penale – istigazione a delinquere – potrebbe configurarsi come un’aggravante e non come una fattispecie autonoma.

Per la dottrina, però, non vi sono dubbi, l’articolo 414 bis configura una fattispecie autonoma, ponendosi la norma in un rapporto di specialità.

Fonte Studio Cataldi

27 Ago

Bambino da solo a casa: è reato?

Il reato di abbandono di minore contemplato dall’art. 591 c.p. punisce quei soggetti che, tenuti a precisi obblighi di cura e custodia, non vi provvedono esponendo il minore al pericolo per la sua vita o la sua incolumità

E’ possibile lasciare solo a casa per un periodo di tempo limitato un bambino educato all’autosufficienza, che sa come evitare situazioni di pericolo evidente o volontariamente procurate, e sia davanti alla televisione a guardare il suo programma, magari con un coetaneo? in casi come questi si incorre nel reato di abbandono?

La domanda non è retorica perché spesso il reato in questione viene usato quale “arma impropria” dal genitore separato nei confronti dell’altro quando il figlio conteso è con il coniuge “rivale” e viene lasciato occasionalmente senza la presenza di questi per svolgere una commissione o una incombenza, limitata del tempo, di lavoro.

Nell’analisi del reato previsto e punito dall’art. 591 c.p. va individuato anzitutto il bene giuridico tutelato dalla norma in esame, che è costituito dalla vita e dall’incolumità individuale delle persone che, a causa dell’età o per qualsiasi altro motivo, siano incapaci di provvedere in maniera autonoma a loro stesse e che si trovino, di conseguenza, esposte a situazioni di pericolo.

Vai alla guida Abbandono di incapace

La posizione di garanzia del reo

Sebbene l’art. 591 c.p. faccia riferimento genericamente a “chiunque”, occorre precisare che il soggetto attivo dell’illecito penale deve trovarsi in una particolare relazione con la parte lesa, in termini di dovere di cura e custodia. Il legislatore ha inteso infatti circoscrivere l’ambito di applicazione della disposizione ai casi nei quali sia individuabile un soggetto titolare di una specifica posizione di garanzia.

Lo ha ribadito di recente la Cassazione nella sentenza n. 22588/2022: “Il delitto di abbandono di persone minori o incapaci, previsto dall’articolo 591 cod. pen., è un reato proprio, che può essere commesso solamente da parte di un soggetto che riveste una posizione di garanzia nei confronti del soggetto passivo, sia esso un minore o un incapace; e la condotta incriminata consiste nell’abbandono della vittima, cioè nella volontaria sottrazione anche solo parziale o temporanea ai propri obblighi di custodia o di cura, nella consapevolezza della esposizione a pericolo della vita o dell’incolumità individuale del soggetto incapace di attendervi da solo (Sez. 5, n. 7974 del 19/10/2015); tale condotta è integrata da qualunque azione od omissione, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o per l’incolumità del soggetto passivo (Sez. 1, n. 5945 del 15/01/2009, Sez. 5, n. 15245 del 23/02/2005; Sez. 5, n. 10126 del 21/09/1995); tanto che risponde del delitto anche colui che, pur non allontanandosi dal soggetto passivo, ometta di far intervenire persone idonee ad evitare il pericolo stesso (Sez. 5, n. 7974/2015; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012). Inoltre, in tema di abbandono di persone minori o incapaci, il dovere di custodia implica una relazione tra l’agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una sua spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall’esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell’agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali (Sez. 5, n. 18665 del 03/02/2021).”

In che cosa consiste l’abbandono

Per “abbandono” si intende quindi, una condotta diretta a lasciare una persona incapace o minore in completa balia di sé stessa, in modo che da tale situazione possa derivare un pericolo per la vita o per l’incolumità del soggetto passivo. Su questo aspetto in particolare la Cassazione nell’ordinanza n. 13266/2022 ha ricordato che: “l’abbandono di cui all’art. 591 c.p. (Abbandono di persone minore o incapaci) consiste nel lasciare la persona in balia di sé stessa o di terzi che non siano in grado di provvedere adeguatamente alla sua custodia e cura, in modo che ne derivi un pericolo per la vita e l’incolumità della persona medesima).”

Occorre tuttavia chiarire che ai fini del reato è necessario accertare in concreto la sussistenza delle situazioni pregiudizievoli per l’incolumità del minore. La Cassazione nella sentenza n. 22207/2017 ha infatti avuto modo di precisare che: “secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 591 c.p (abbandono di persone minori o incapaci) è necessario accertare in concreto, salvo che si tratti di minore di anni quattordici, l’incapacità del soggetto passivo di provvedere a se stesso.”

Se dunque il minore che ha acquisito un minimo di raziocinio, viene lasciato momentaneramente a casa, in assenza di qualunque fonte di pericolo, anche solo meramente potenziale, e in un ambiente, la casa del padre o della madre appunto, ben noto e conosciuto, e dunque inidoneo a produrre al minore stesso qualsiasi stato di ansia o patema d’animo, il reato non pare sussistere.

Sarà al proposito utile dimostrare di aver diligentemente eliminato ogni situazione di potenziale pericolo (spento il gas dal rubinetto centrale, chiuso tutte le finestre e le tapparelle con sicura, controllare con cura che in casa non vi siano alla portata dei minori oggetti pericolosi, tipo coltelli, forbici, accendini o altro).

Insomma se il minore non è “abbandonato”, ma lasciato per poco per un tempo ragionevolmente circoscritto, in una situazione di assoluta sicurezza e tranquillità a guardare la televisione piuttosto che a leggere i fumetti o a fare i compiti, il reato non può dirsi perfezionato.

Questo può affermarsi perché in punto di “pericolosità” della situazione, quale status integrante gli estremi del reato, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che non se ne possa prescindere in concreto: “L’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sull’agente, da cui derivi uno stato di pericolo per l’incolumità della persona, incapace di provvedere a sè stessa… Venendo in considerazione un reato di pericolo,….. la condotta deve essere oggettivamente idonea a determinare, anche in via potenziale, l’aggressione del bene protetto dalla norma incriminatrice. Ne consegue, che il criterio giuridico di determinazione del fatto oggettivo, necessario per accertare se una determinata azione o omissione costituisca abbandono di persona incapace, deve essere correlato, da una parte, alla pericolosità del fatto e, dall’altra parte, al contenuto dell’obbligo violato e alla natura dell’incapacità (Cassazione Penale n. 4407/1998).”

Nella analisi di ogni concreta fattispecie in esame andrà quindi considerata l’età del minore, sulla base della quale può inferirsi se lo stesso fosse capace di valutare eventuali situazioni di eclatante pericolo, l’educazione ricevuta all’auto-protezione e in generale sulle sua abitudini di vita. Il genitore per andare esente da responsabilità deve avere cioè la fondata consapevolezza, basata su parametri oggettivi e non su mere convinzioni, di una situazione di sicurezza del figlio, diversa da quella di “abbandono”di una persona incapace, in quella specifica situazione, di provvedere a sé stessa.

L’elemento soggettivo del reato

Sempre la Cassazione 22588/2022 ha anche ribadito che: “Sotto il profilo soggettivo, il dolo richiesto dalla norma incriminatrice è generico e consiste nella coscienza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo, che non abbia la capacità di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità di cui si abbia l’esatta percezione (Sez. 5, n. 7974/2015; Sez. 2, n. 10994/2012; Sez. 5, n. 15147 del 14/03/2007; Sez. 5, n. 19476 del 25/02/2010); esso può assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l’agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilità del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l’incolumità fisica di quest’ultimo, persiste nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l’evento si verifichi» (Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017).

Abbandono e omicidio

L’ordinanza n. 13266/2022 della Cassazione sopra menzionata merita di essere ripresa nuovamente anche perché, alla luce dei recenti fatti di cronaca, ha il pregio di chiarire che: “il delitto di abbandono di minore si distingue da quello di tentato omicidio per il diverso elemento psicologico.

Nel primo caso l’elemento soggettivo è costituito dalla coscienza di abbandonare la persona minore o incapace con la consapevolezza del pericolo inerente all’incolumità fisica della stessa con l’instaurarsi di una situazione di pericolo, sia pure potenziale.

Nella seconda ipotesi è necessario che il soggetto compia la condotta vietata con la volontà e la consapevolezza di cagionare la morte del soggetto passivo o tale evento si rappresenti come probabile o possibile conseguenza del suo operare, accettando il rischio implicito del suo verificarsi (Cass. pen. n. 9562/1989; n. 2269/1991).

Il delitto è aggravato se dal fatto deriva una lesione personale o la morte (art. 591, 3° co.). Se la lesione o la morte siano volute, anche a titolo di dolo eventuale (secondo l’opinione della dottrina maggioritaria), l’abbandono concorre con le lesioni personali ex artt. 582 o 583 c.p. o l’omicidio ex art. 575 c.p.

Consegue da quanto sopra che il delitto di abbandono, anche nella forma aggravata dall’evento morte, non può a priori, e qualunque sia il giudizio morale sulla condotta dell’agente, farsi rientrare fra le ipotesi previste dall’art. 463, n. 2, c.c., perché la legge non dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio.

Se poi l’abbandono sia stato posto in essere con la volontà di cagionare la morte, nel senso sopra indicato, il fatto non deve ritenersi compreso nel predetto n. 2, ma nel n. 1 dell’art. 463 c.c.”.

Fonte Studio Cataldi