Categoria: Varie

15 Nov

I filmati delle telecamere tra diritto d’accesso e tutela della privacy

Chi resta coinvolto in un sinistro ha diritto ad avere copia di eventuali filmati catturati dagli impianti di videosorveglianza comunale per valutare nelle sedi opportune tutte le responsabilità dei soggetti coinvolti. E il regolamento comunale o il contrario parere di un automobilista antagonista non possono limitare l’esercizio di questa opportunità difensiva che in ogni caso dovrà avvenire nel pieno rispetto della tutela della riservatezza di tutti i soggetti coinvolti.


di Stefano Manzelli – Coordinatore sicurezza urbana
TAR Puglia, sez. II, 2 novembre 2021, n. 1579

Presidente Mangia – Estensore Palmieri

Fatto e diritto

  1. Il ricorrente ha proposto l’odierno ricorso al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento del Comune di Casarano, Comando di Polizia Locale, del 18.05.2021, prot. 17134, notificato in pari data, con il quale – accogliendo parzialmente l’istanza di accesso agli atti del 16.04.2021 (limitatamente al rilascio di copia del solo rapporto dell’incidente stradale) – è stato denegato l’accesso agli atti afferenti i filmati di videosorveglianza del sinistro del 13.04.2021, avvenuto in Casarano, intersezione stradale con le vie Ruffano – Supersano – Viale De Matteis, tra le autovetture Fiat Seicento tg. (…) (condotta dal ricorrente) e Ford Puma tg. (…), con conseguente condanna dell’Amministrazione all’ostensione del chiesto filmato. Il tutto con vittoria delle spese di lite. Costituitosi in giudizio, il Comune di Casarano ha chiesto il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di lite. All’udienza camerale del 27.10.2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 2. Il ricorso è fondato. 2.1. Il diritto di accesso costituisce situazione attiva meritevole di autonoma protezione ex se, indipendentemente cioè dalla pendenza e dall’oggetto di una controversia giurisdizionale, non costituendo il diritto di accesso una pretesa strumentale alla difesa in giudizio, ma essendo in realtà diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita (C.d.S, AA.PP. nn. 5 e 6/2005). 2.2. Pertanto, la domanda giudiziale tesa ad ottenere l’accesso ai documenti è indipendente non solo dalla sorte del processo principale nel quale venga fatta valere l’anzidetta situazione, ma anche dall’eventuale infondatezza od inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre, non avendo carattere strumentale alla difesa in giudizio della posizione soggettiva del richiedente (cfr, ex plurimis: Consiglio Stato, Sez. V, 23 febbraio 2010, n. 1067; Sez. IV, 20 settembre 2012 n. 5047; Sez. III, 13 gennaio 2012 n. 116; Sez. VI, 14 agosto 2012, n. 4566; Sez. V, 22 giugno 2012, n. 3683), dovendo il diritto di accesso essere ricondotto unicamente alla sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante del richiedente che sia meritevole di tutela, collegata alla documentazione cui si chiede di accedere. 2.3. Il diritto di accesso riveste, difatti, valenza autonoma, non essendo stato configurato dall’ordinamento con carattere meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante, costituendo tale diritto un principio generale dell’ordinamento giuridico, ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità dell’esercizio della funzione pubblica da parte dell’interessato, e basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi, dovendo conseguentemente il collegamento tra l’interesse giuridicamente rilevante dell’istante e la documentazione oggetto di richiesta di accesso, di cui all’art. 22 comma 1, lett. b) della legge n. 241 del 1990, essere inteso in senso ampio, ed essere genericamente mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante dello stesso. 2.4. Il punto è stato di recente ripreso dal Consiglio di Stato, il quale ha ribadito che: “L’avvenuto decorso del termine per impugnare gli atti della procedura non incide sull’attualità dell’interesse all’accesso; non spetta all’amministrazione che detiene il documento valutare le modalità di tutela dell’interesse del richiedente e negare l’accesso per il caso in cui ritenga talune di esse non più praticabili; è solo del privato richiedente, una volta ottenuto il documento, la decisione sui rimedi giurisdizionali da attivare ove ritenga lesa la sua situazione giuridica soggettiva e se per taluni di essi (o per quelli unicamente esperibili) siano già spirati i termini di decadenza (o, eventualmente, di prescrizione) l’eventuale pronuncia di inammissibilità non può, certo, essere anticipata dall’amministrazione destinataria della richiesta di accesso allo scopo di negare l’ostensione del documento” (C.d.S, V, 27.6.2018, n. 3953). 3. Orbene, nella specie, reputa il Collegio senz’altro riscontrabile la sussistenza, in capo all’istante, di un interesse qualificato, diretto, attuale e concreto all’ostensione della richiesta documentazione, strettamente correlato alla difesa di un interesse giuridico, connesso all’accertamento delle reali responsabilità dei conducenti nel sinistro in esame. In particolare, nessun rilievo assumono le giustificazioni addotte dal Comune nella nota di diniego, in cui si oppone il rifiuto opposto dall’altro soggetto coinvolto nel sinistro, nonché quelle esposte in sede di costituzione nell’odierno giudizio (il contrario tenore del locale Regolamento relativo al trattamento dei dati personali e le finalità degli impianti di videosorveglianza). Sul punto, è sufficiente rilevare che, ai sensi dell’art. 24 co. 7 l. n. 241/90: “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. …”. Orbene, nel caso di specie, la visione dei filmati di sorveglianza relativi al citato sinistro del 13.4.2021 è strettamente correlata alla difesa degli interessi giuridici del ricorrente, essendo di intuitiva evidenza che soltanto l’accertamento della reale dinamica del sinistro consente di appurare in maniera certa le responsabilità dei soggetti in esso coinvolti. In particolare, non può ritenersi sufficiente a tal fine il rapporto redatto dalla Polizia Locale, in quanto esso risente della personale valutazione della dinamica del sinistro operata dai verbalizzanti, la quale potrebbe, in astratto, non essere strettamente aderente all’accadimento dei fatti. Viceversa, la ricostruzione della dinamica del sinistro operata sulla base dei filmati di videosorveglianza esclude qualsiasi valutazione e, dunque, anche eventuali errori umani, in quanto fondata su dati certi e oggettivi. Alla stessa stregua, non colgono nel segno le obiezioni fondate sul locale Regolamento sugli impianti di sorveglianza, per la semplice e dirimente ragione che la fonte del diritto di accesso è la legge dello Stato (art. 22 ss. l. n. 241/90), da ritenersi prevalente – sulla base dei normali principi in tema di gerarchia delle fonti – sul Regolamento locale 4. Per tali ragioni, in accoglimento del ricorso, va ordinato al Comune di Casarano di mettere a disposizione del ricorrente, entro gg. 30 dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza o, ove antecedente, dalla data di notificazione della stessa, di cui parte ricorrente è espressamente onerata, tutti i filmati di videosorveglianza relativi al sinistro del 13.04.2021, avvenuto in Casarano, intersezione stradale con le vie Ruffano – Supersano – Viale De Matteis, tra le autovetture Fiat Seicento tg. (…) e Ford Puma tg. (…). In difetto, si provvederà alla nomina del commissario ad acta, su apposita istanza della parte interessata. 5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e ordina per l’effetto al Comune di Casarano di mettere a disposizione del ricorrente, entro gg. 30 dalla pubblicazione della presente sentenza, tutta la documentazione indicata al punto n. 4 della parte motivazionale. Condanna il Comune di Casarano al rimborso delle spese di lite sostenute dal ricorrente, che si liquidano in € 1.000 per onorario, oltre rimborso contributo unificato, spese generali e IVA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Fonte Diritto e Giustizia

6 Nov
16 Ott

Condannata la madre che pubblica video e foto della figlia minore sui social network senza il consenso del padre.

La Redazione
Trib. Trani, ord., 30 agosto 2021

Un padre proponeva reclamo nei confronti del provvedimento che dichiarava inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c., finalizzato ad ottenere la condanna della ex moglie alla rimozione dai social network di immagini e video della figlia minore, in quanto pubblicati senza il suo consenso.

Il ricorso è fondato. Il Tribunale di Trani, infatti, afferma che «i requisiti del fumus e del periculum vengono valutati anche tenendo conto di elementi quali l’a-territorialità della rete, che consente agli utenti di entrare in contatto ovunque, con chiunque, spesso anche attraverso immagini e conversazioni simultanee, nonché la possibilità, insita nello strumento, di condividere dati con un pubblico indeterminato, per un tempo non circoscrivibile». Secondo i Giudici la madre, postando i video della figlia minore su Tik Tok ha violato diverse norme comunitarie, internazionali e interne: l’art. 8 Reg. n. 679/2016, infatti, considera l’immagine fotografica dei figli come un dato personale, ai sensi dell’art. 4, lett. a), b) e c) del c.d. Codice della Privacy (d.lgs n. 196/2003) e la sua diffusione integra un’interferenza nella vita privata; nel caso di minori di sedici anni, inoltre, occorre il consenso alla pubblicazione da parte di entrambi i genitori e di comune accordo, «senza arrecare pregiudizio all’onore, al decoro e alla reputazione dell’immagine del minore» (art. 97 l. n. 633/41).

Nel caso di specie, manca del tutto il consenso del padre alla pubblicazione dei video: l’accesso al profilo social della moglie, infatti, non può considerarsi come accettazione alla pubblicazione delle foto della minore, così come non rileva l’intervenuta transazione tra i coniugi, non contenente alcun riferimento alla pubblicazione di immagini della figlia sui social.

Per il Tribunale, inoltre, essendo comprovato che la minore all’epoca della pubblicazione dei video avesse nove anni, ricorda che «l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto online, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati. Dunque, il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network, sicché l’ordine di inibitoria e di rimozione va impartito immediatamente» (Trib. Mantova, 19 settembre 2017).

Per questi motivi, il Tribunale di Trani accoglie il reclamo e ordina alla madre:

di rimuovere le immagini, i dati e le informazioni che si riferiscono alla figlia e che sono inseriti nei social network;
dalla comunicazione del provvedimento, di diffondere immagini, informazioni e dati che si riferiscono alla minore senza il consenso espresso anche del padre;
di versare 50 euro sul conto della minore per ogni giorno di ritardo nell’eseguire l’ordine di rimozione.
Trib. Trani, ord., 30 agosto 2021
Presidente Binetti – Relatore Guerra

Svolgimento del procedimento

Con ricorso depositato il 6.7.2021 Il padre ha proposto reclamo avverso l’ordinanza n. 1544/2021 del giudice monocratico del Tribunale di Trani, depositata il 18.6.2021, e comunicata il 22.6.2021, con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c., proposto dall’odierno istante per la condanna di Caia, coniuge da cui è legalmente separato a partire dal 2019, alla rimozione dai social network ed inibizione di pubblicazione di immagini e video della figlia minore ……, nata il …..2011, in quanto pubblicati senza il consenso del padre. In particolare, il Tribunale ha fondato la decisione di inammissibilità sulla mancata indicazione del giudizio di merito che il ricorrente in primo grado avrebbe intrapreso in caso di accoglimento della domanda cautelare.

A sostegno del gravame, il reclamante ha rilevato che l’ordinanza impugnata sarebbe fondata sulla non corretta interpretazione della disciplina del provvedimento cautelare atipico e del contenuto del ricorso, da cui era possibile evincere l’instauranda azione di merito. Tutto ciò premesso, ha chiesto la revoca dell’ordinanza reclamata ed il conseguente accoglimento della domanda di cautelare, il tutto con vittoria delle spese della doppia fase processuale.

La reclamata, nonostante la regolare notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione di udienza, avvenuta il 26.7.2021 all’indirizzo pec del procuratore costituito nella fase cautelare, non ha inteso partecipare al gravame.

All’udienza del 24.8.2021 il Collegio, udita la discussione orale del procuratore di parte reclamante, si è riservato per la decisione.

Motivi della decisione

Il proposto reclamo può trovare accoglimento per le ragioni di seguito indicate.

In via generale, la necessità della formulazione, nel ricorso cautelare, dell’eventuale azione di merito è stata desunta dalla giurisprudenza in via di interpretazione teleologica al fine di

consentire al Giudice adito il controllo della propria competenza, la verifica del rapporto di strumentalità fra la tutela cautelare richiesta e l’azione di cognizione i cui effetti si intende anticipare o assicurare provvisoriamente ed infine la calibrazione dell’istruttoria in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto.

A più riprese la giurisprudenza di merito ha affermato che “La mancata indicazione nel ricorso cautelare delle conclusioni di merito comporta l’inammissibilità dello stesso, sempre che dal tenore dello stesso non sia possibile dedurre chiaramente il contenuto del futuro giudizio di merito; in altre parole, il ricorso contenente una domanda cautelare proposta prima dell’inizio della causa di merito deve contenere l’esatta indicazione di quest’ultima o, almeno, deve consentirne l’individuazione in modo certo, in quanto solo tale indicazione consente di accertare il carattere strumentale, rispetto al diritto cautelando, della misura richiesta” (si veda, Trib. Roma, 16.4.2020; Trib. Lodi, 23.8.2019; Trib. Torino, 15.1.2018).

Tale orientamento è stato fatto proprio dal Giudice della cautela il quale ha fondato la propria decisione sulla scorta della mancata indicazione, neppure di massima, da parte del ricorrente dell’eventuale instauranda azione di merito.

Non può però prescindersi dal dato sistematico in quanto alcuna norma positiva sanziona con la nullità o l’inammissibilità l’omessa indicazione del contenuto della causa di merito futura.

Conseguentemente, in distonia con il suindicato orientamento, deve ritenersi che la sola mancata indicazione nel ricorso ex art. 700 c.p.c. delle conclusioni di merito non potrebbe comportare l’inammissibilità dello stesso se dal suo tenore complessivo fosse possibile dedurre il contenuto del futuro giudizio.

In altri termini, poiché tale elemento costituisce semplicemente un requisito di carattere teleologico, ricavato sistematicamente in funzione dello scopo dell’atto, è evidente che non occorre il rispetto di formule solenni e sacramentali, e neppure l’esposizione di precise conclusioni di merito (che in molti casi risulterà addirittura impossibile formulare); è invece sufficiente, nella prospettiva del conseguimento dello scopo dell’atto (art. 156, commi 2 e 3 c.p.c.) che dal ricorso sia possibile desumere con sufficiente precisione il tenore della domanda di merito a cui la tutela cautelare invocata risulta preordinata.

Tale conclusione tiene conto delle peculiarità della fattispecie in esame in cui vi è totale coincidenza fra il tenore della richiesta cautelare e il contenuto della pronuncia di merito futura (condanna alla rimozione dei video e foto pubblicati sui profili social della madre e inibizione, per il futuro, alla pubblicazione di ulteriori senza il consenso del padre) che è lecito evincere dall’intero ricorso, letto secondo buona fede e ragionevolezza. Appare, infatti, evidente che il ricorrente mira ad ottenere ora, urgentemente e in sede cautelare, quella stessa pronuncia che potrebbe richiedere poi in sede di ordinaria cognizione.

Inoltre, tale interpretazione, più attenta all’aspetto sostanziale, è coerente con la nuova disciplina dei provvedimenti cautelari atipici a contenuto anticipatorio, introdotta dal D.L. n.

35/2005 e caratterizzata dalla forte attenuazione per i provvedimenti anticipatori del c.d. vincolo di strumentalità, con conseguente non necessità di instaurazione del giudizio di merito.

Il referente normativo della natura eventuale della fase a cognizione piena è rappresentato dal sesto comma dell’art. 669 octies c.p.c., che esclude l’applicabilità dell’art. 669 novies primo comma c.p.c. (inefficacia del provvedimento cautelare a seguito di mancata instaurazione del giudizio di merito entro il termine perentorio fissato dal giudice della cautela e comunque oltre i sessanta giorni) per i provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’art. 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito”.

Per tali ragioni, dunque, il reclamo deve essere accolto con riforma integrale del provvedimento impugnato.

Passando all’esame del merito, la domanda proposta in primo grado può trovare accoglimento, sussistendo entrambi i requisiti per la concessione della tutela cautelare. Appare opportuno ribadire, come già precisato da questo Tribunale in analoga fattispecie, che “i requisiti del fumus e del periculum vengono valutati anche tenendo conto di elementi quali l’a – territorialità della rete, che consente agli utenti di entrare in contatto ovunque, con chiunque, spesso anche attraverso immagini e conversazioni simultanee, nonché la possibilità, insita nello strumento, di condividere dati con un pubblico indeterminato, per un tempo non circoscrivibile” (Trib. Trani, ord. 7.6.2021). Il fatto storico è incontestato, in quanto la stessa Caia, nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado (depositata il 4.6.2021) non ha negato di aver postato i video della minore ……. sul social network Tiktok a partire dal maggio 2020. Tale comportamento integra violazione di plurime norme, nazionali, comunitarie ed internazionali:art. 10 c.c. (concernente la tutela dell’immagine), artt. 1 e 16 I co. della Convenzione di New York del 20.1111989 ratificata dall’Italia con L. n. 176/1991 (in particolare, l’art. 1 prevede l’applicazione delle norme della convenzione ai minori di anni diciotto mentre l’art. 16 stabilisce che “1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. 2. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge

contro tali interferenze o tali affronti”); art. 8 Reg. 679 /2016 (entrato in vigore il 25.5.2018) che considera l’ immagine fotografica dei figli dato personale, ai sensi del c.d. Codice della Privacy (e specificamente dell’art. 4, lett. a), b) c) D.Lgs n. 196/20039 e la sua diffusione integra un’interferenza nella vita privata, sicchè nel caso di minori di anni sedici, è necessario che il consenso alla pubblicazione di tali dati sia prestato dai genitori, in vece dei propri figli, concordemente fra loro e senza arrecare pregiudizio all’onore, al decoro e alla reputazione dell’immagine del minore (art. 97 L. n. 633/41). In tale prospettiva, il legislatore italiano, all’art. 2 quinquies del D.Lgs. 101/2018 ha fissato il limite di età da applicare in Italia a 14 anni.

Nel caso di specie non vi è prova del consenso del padre alla pubblicazione di tali video. Non può trovare accoglimento la tesi difensiva della … secondo cui i Tizio era a conoscenza della

pubblicazione degli stessi avendo egli accesso al profilo della moglie. La possibilità di visionare un profilo social non equivale ad accettazione della pubblicazione di video e foto ritraenti la figlia minore. La proposizione del ricorso cautelare, seppur a distanza di qualche mese dalla pubblicazione, è espressione del dissenso, i.e. mancato consenso, del genitore. Né può tener luogo del consenso l’intervenuta transazione del 22.4.2021 regolante aspetti

patrimoniali dei rapporti familiari e non contenente alcun riferimento alla pubblicazione di foto e video sui social da parte dei due genitori.

È inoltre incontestato che la minore … al momento della pubblicazione dei video e foto aveva circa nove anni.

Oltre al prospettato fumus boni iuris sussiste, altresì, il periculum in mora, in quanto, come precisato dalla giurisprudenza di merito, “l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto online, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati. Dunque, il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l’ordine di inibitoria e di rimozione va impartito immediatamente” (cfr. Trib. Mantova, 19.9.2017). Alla luce delle suesposte considerazioni, dunque, il provvedimento gravato deve essere integralmente riformato con conseguente accoglimento della domanda cautelare e condanna di Caia alla rimozione dai propri profili social delle immagini relative alla minore … … ed alla contestuale inibitoria dalla futura diffusione di tali immagini, in assenza del consenso di entrambi i genitori.

Infine, merita accoglimento la richiesta di condanna ex art. 614 bis c.p.c., tenuto conto della necessità, nella vicenda in esame, di tutelare l’integrità della minore e l’interesse ad evitare la diffusione delle proprie immagini a mezzo web nonché, in quanto collegato a questo, dell’interesse del genitore a cui spetta pretendere il rispetto degli obblighi sopra sanciti.

L’accoglimento del reclamo impone una nuova statuizione sulle spese da porsi a carico della reclamata soccombente e da liquidarsi in dispositivo, secondo lo scaglione valoriale, previsto dal D.M. n. 55/2014 e s.m.i. per le controversie di non particolare complessità (da ? 5.200,00 a 26.000,00) e con esclusione della fase istruttoria, tenuto conto della natura documentale del procedimento.

P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando sul reclamo avverso

l’ordinanza del giudice monocratico del Tribunale di Trani n. 1544/2021 depositata il 18.6.2021 e comunicata il 22.6.2021 nel procedimento iscritto al n. 3445/2021 R.G.A.C.C., proposto dal padre con ricorso depositato il 6.7.2021 così provvede:

  1. accoglie il reclamo e, per l’effetto, riforma integralmente il provvedimento impugnato;

sempre per l’effetto, in accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., dispone che … provveda, entro il 10.9.2021, alla rimozione di immagini, informazioni, dati relativi alla minore…, inseriti su social networks, comunque denominati;

  1. inibisce dal momento della comunicazione del presente provvedimento a Caia la diffusione

sui social networks, comunque denominati, e nei mass media delle immagini, delle informazioni e di ogni dato relativo alla minore … …, in assenza dell’espresso consenso di Il padre;

  1. determina ex art. 614-bis c.p.c., nella misura di Euro 50,00, la somma dovuta da Caia, per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di rimozione nonché per ogni episodio di violazione dell’inibitoria, in favore della minore, da versarsi su conto corrente intestato alla medesima;
  2. condanna Caia a rifondere al padre le spese della fase cautelare e di quella del reclamo, che si liquidano in complessivi Euro 250,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari, oltre rimborso forfettario del 15% delle spese generali, CPA e IVA, come per legge.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di rito.

Così deciso in Trani il 30 agosto 2021.

Fonte Diritto e Giustizia

16 Ott

Bullizzato dal finto amico: episodio più grave e 20 mila euro come risarcimento per il danno morale

Pomeriggio da incubo per un ragazzino con fragilità psichiche. Per lui botte e offese dal finto amico che lo ha invitato per giocare a casa. Coinvolti come aguzzini anche altri due ragazzi. Evidenti le responsabilità di tutti e tre i bulli: dovranno ora risarcire la vittima delle loro incresciose condotte.
La Redazione

Trib. Forlì, sent., 23 settembre 2021

Condanna sacrosanta per i bulli che prendono di mira un loro amico, già fragile psicologicamente, e ne minano ancora di più la capacità di relazionarsi con le persone.

Ora dovranno non solo assumersi la responsabilità dei loro bestiali comportamenti ma anche versare al giovane bullizzato 20mila euro come risarcimento (Trib. Forlì, sent., 23 settembre 2021).

Scenario della drammatica vicenda è la provincia emiliana. Lì un ragazzino – Paolo, nome di fantasia – viene invitato da un amico a…

Trib. Forlì, sent., 23 settembre 2021
Giudice Vecchietti

Motivazione in fatto e in diritto

Il sig. (…) (di seguito anche “l’attore”) citava in giudizio (…), in persona dei genitori, (…), in persona dei genitori, (…) (“i convenuti”) per sentire accertata e dichiarata la responsabilità dei convenuti nella produzione delle lesioni fisiche e psichiche inferte all’attore per i fatti di causa e per la condanna dei convenuti al risarcimento all’attore di tutti i danni patrimoniali e non quantificati in Euro 70.000,00.

Fonte Diritto e Giustizia

16 Ott

La diffamazione tramite Whatsapp secondo la Cassazione

di Antonella Bua

“Le affermazioni lesive dell’onore e del decoro della persona offesa enunciate sullo status di Whatsapp posso integrare il reato di diffamazione qualora i contenuti ivi presenti siano visibili ai contatti presenti in rubrica”. E’ quanto ha affermato la Cassazione nella sentenza n. 33219/2021.

Il caso di specie
Nel caso di specie, la quinta sezione penale della S.C., si pronuncia in merito al ricorso presentato dal difensore dell’imputato contro la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Caltanissetta, la quale confermava la responsabilità dello stesso per il reato di diffamazione commesso pubblicando nel proprio stato di Whatsapp contenuti lesivi della reputazione della persona offesa e che, in riforma della decisione del Tribunale, concedeva la sospensione condizionale della pena.

Espressioni lesive sullo stato di WhatsApp

Preliminarmente la Corte ha rilevato l’inammissibilità del primo motivo per assenza di specificità, così come risulta inammissibile per novità la questione relativa alla possibilità di escludere la visione dello stato di WhatsApp a tutti o ad alcuni dei contatti presenti, con conseguente limitazione della propagazione delle affermazioni diffamatorie. Pertanto, la pubblicazione di espressioni lesive e diffamatorie sul proprio stato whatsapp, integra, di fatto, il reato di diffamazione, potendo tali affermazioni essere lette da tutti i soggetti presenti nella rubrica dell’imputato e dotati dell’applicazione.

In virtù di quanto suesposto, la Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

La Corte ha, altresì, condannato il medesimo alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile liquidate in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

Il dispositivo dell’art. 595 c.p.

<<Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate>>.

La ratio legis della disposizione trova il proprio fondamento nella necessità di garantire la reputazione dell’individuo, ovvero l’onore inteso in senso soggettivo, quale considerazione che il mondo esterno ha del soggetto stesso.

I presupposti del reato sono i seguenti:

  • l’assenza dell’offeso, consistente nell’impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente l’addebito diffamatorio;
  • l’offesa alla reputazione, intendendosi la possibilità che l’uso di parole diffamatorie possano ledere la reputazione dell’offeso;
  • la presenza di almeno due persone in grado di percepire le parole diffamatorie.

Si tratta di reato di evento, che si consuma nel momento della percezione da parte del terzo delle parole diffamatorie.

La condotta è scriminata nell’ipotesi di esercizio del diritto di cronaca, critica e satira, quando attuata nei limiti di verità, continenza e pertinenza.

Fonte Diritto e Giustizia

16 Ott

Condannato l’uomo che prevarica la compagna e la controlla ossessivamente

Confermata la responsabilità penale dell’uomo, reo di avere sottoposto a maltrattamenti fisici e morali l’oramai ex compagna. Evidente il disagio sopportato a lungo dalla donna.
di Attilio Ievolella

Cass. pen., sez. VI, ud. 13 luglio 2021 (dep. 1° ottobre 2021), n. 35937

Tenere sotto controllo, costantemente, la propria compagna vale una condanna per maltrattamenti. Condanna inevitabile per l’uomo che ha tenuto a lungo un comportamento prevaricatore nei confronti della partner (Cass. pen., sez. VI, 1° ottobre 2021, n. 35937).

Ricostruita la vicenda, i giudici di merito ritengono evidente la colpevolezza dell’uomo sotto processo, reo di avere sottoposto a maltrattamenti – fisici e morali – la propria compagna, tanto da spingerla a rompere la relazione e ad andare via dal…

Cass. pen., sez. VI, ud. 13 luglio 2021 (dep. 1° ottobre 2021), n. 35937
Presidente Fidelbo – Relatore De Amicis

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 8 gennaio 2021 la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, assolvendo B.F. dal reato di maltrattamenti in danno della ex convivente G.E. per il periodo successivo al (omissis) e confermando nel resto la sentenza di condanna impugnata, che lo riconosceva responsabile per tale reato irrogandogli la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione.

Fonte Diritto e Giustizia