Polizia Giudiziaria: Art. 350 e 351 cpp Dichiarazioni indizianti e spontanee dichiarazioni

3 Mag

Polizia Giudiziaria: Art. 350 e 351 cpp Dichiarazioni indizianti e spontanee dichiarazioni

L’art. 63 c.p.p., comma 1, stabilisce che: “Se davanti all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente ne interrompe l’esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese”.  L’art. 350 c.p.p., comma 7, prevede che: “La polizia giudiziaria può ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini”. La diversa operatività delle norme è di palmare evidenza: l’art. 63 c.p.p., comma 1, si applica alle dichiarazioni autoaccusatorie rese da persona “non” sottoposta alle indagini; l’art. 350 c.p.p., comma 7, riguarda invece le dichiarazioni “spontanee” della persona che, nel momento in cui le rende, ha già assunto la veste di persona sottoposta alle indagini. La distinzione è tracciata con chiarezza dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui alle dichiarazioni spontanee non si applica la disciplina di cui all’art. 63 c.p.p., la quale concerne l’esame di persone non imputate e non sottoposte ad indagini; mentre le dichiarazioni spontanee (art. 350 c.p.p., comma 7) sono quelle provenienti dalla persona nei confronti della quale vengono svolte indagini e sono utilizzabili nel caso di riti alternativi “a prova contratta” ovvero nel giudizio dibattimentale, se, in questa seconda ipotesi, il relativo verbale è stato acquisito con il consenso delle parti (cfr. Sez. 5, n. 12445 del 23/02/2005, Di Stadio, Rv. 231689; Sez. 6, n. 34151 del 27/06/2008, Vanese, Rv. 241466; Sez. 3, n. 29641 del 14/03/2018, Ermo, Rv. 273209).  La ragione della differente disciplina riposa sul fatto, esattamente colto anche dal P.G. di legittimità nella propria requisitoria, che l’art. 63 c.p.p., comma 1, riguarda dichiarazioni rese nel corso di un “esame”, atto processuale in cui un soggetto è convocato dall’autorità procedente (sia essa autorità giudiziaria o di polizia) per essere escusso sui fatti oggetto del procedimento, con l’obbligo di comparire, di rispondere e di dire la verità: “E’ la particolare natura e struttura dell’atto processuale compiuto che consente di comprendere la ratio di garanzia sottesa alla norma, evidentemente informata al principio del nemo tenetur se detegere e da utilizzarsi ai fini della sua interpretazione (così in motivazione Sez. 3, n. 29641 del 14/03/2018, Ermo, cit.): la confessione di un reato da parte di soggetto legittimamente sentito in origine come persona informata sui fatti impone la immediata interruzione del verbale e la conseguente inutilizzabilità contra se delle dichiarazioni in precedenza rese.  Nel caso in esame A.A. è stato convocato dalla polizia giudiziaria e sentito come persona informata sui fatti; egli non è stato sentito come persona sottoposta alle indagini e, a detta dello stesso ricorrente, non poteva essere sentito in tale veste data l’assenza di elementi a suo carico. Deriva che le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria ricadono nell’alveo applicativo dell’art. 63 c.p.p., comma 1, e, sono, pertanto inutilizzabili. Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28/03/2023) 17-04-2023, n. 16285

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