Categoria: Codice della strada

25 Dic

Lesioni gravi o gravissime per violazione colposa delle norme sulla circolazione stradale: la procedibilità d’ufficio è (di nuovo) salva

Benché le condotte integranti il delitto di lesioni gravi o gravissime per violazione colposa delle norme in materia di circolazione stradale siano connotate da un minor disvalore rispetto a quelle caratterizzate dalla consapevole (o addirittura temeraria) assunzione di rischi irragionevoli, la procedibilità d’ufficio, anche per le prime, non è manifestamente irragionevole.

di Giuseppe Marino
Corte Cost., ord., 17 dicembre 2021, n. 244

Lo ha confermato la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 244, pubblicata il 17 dicembre 2021.

Il caso. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, comma 1, c.p., come sostituito dall’art. 1, comma 2, l. n. 41/2016 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al d.lgs. n. 285/1992, e al d.lgs. n. 274/2000), e del d.lgs. n. 36/2018 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della l. n. 103/2017) nella parte in cui non prevedono la procedibilità a querela nelle ipotesi di lesioni personali stradali gravi o gravissime per le quali la persona offesa risulti integralmente risarcita in ordine ai danni subiti a seguito dell’evento.

Le censure del rimettente. Secondo il giudice a quo, la disciplina censurata sarebbe irragionevole, sotto il duplice profilo della carenza di proporzionalità tra mezzi scelti e finalità perseguite e del mancato rispetto del canone di coerenza sistematica dell’ordinamento, in quanto essa prevede la procedibilità d’ufficio anche in relazione alle lesioni stradali gravi nei casi in cui l’autore del fatto abbia integralmente risarcito la vittima e questa abbia scelto di non proporre querela.

Essendo la circolazione stradale un’attività lecita, per compiere la quale è obbligatoria la sottoscrizione di una polizza assicurativa, ad avviso del rimettente, sarebbe eccessivo e irragionevole, oltre che contrario alla concreta offensività del fatto (art. 13, comma 2, Cost.) ed alla finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.) prevedere, a fronte di condotte non connotate da particolare allarme sociale e caratterizzate dalla generica violazione di norme in materia di circolazione stradale, l’indefettibile celebrazione del processo penale, anche in assenza di istanza punitiva della persona offesa che sia stata integralmente risarcita dei danni patiti.

La previsione indiscriminata della procedibilità d’ufficio sia per le lesioni stradali gravi ex art. 590-bis, comma 1, c.p., cui sia seguito il risarcimento del danno in favore della persona offesa, sia per le ipotesi aggravate di cui ai commi successivi della medesima disposizione, realizzerebbe, quindi, un trattamento omogeneo di situazioni differenti, in contrasto con l’art. 3 Cost., indebitamente equiparando l’automobilista c.d. modello, che abbia sempre rispettato tutte le prescrizioni all’uopo richieste dalla legge e colui il quale circoli ignorando le norme del codice della strada o, in particolare, guidi un mezzo privo di copertura assicurativa.

Il quadro normativo. La fattispecie criminosa delle lesioni personali stradali gravi o gravissime, procedibile d’ufficio, è stata introdotta dalla l. n. 41/2016. Successivamente, la l. n. 103/2017 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) ha delegato il Governo a prevedere la procedibilità a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, salva in ogni caso la procedibilità d’ufficio qualora la persona offesa sia incapace per età o per infermità, oppure ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’articolo 339 c.p.

Nell’esercitare la delega con l’adozione del d.lgs. n. 36/2018, il Governo ha omesso di annoverare tra le fattispecie oggetto della modifica del regime di procedibilità quella di cui al primo comma dell’art. 590-bis c.p., pur punita con una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni.

Violazione colposa delle norme sulla circolazione stradale: chi provoca lesioni personali gravi non può essere considerato un “automobilista modello”. Chiamata a pronunciarsi sulle questioni prospettante dal rimettente – che mirano, in sostanza, ad estendere alla fattispecie base di lesioni stradali il regime di punibilità a querela della persona offesa – la Corte ritiene che le stesse siano manifestamente infondate, essendo in larga parte analoghe a quelle già riconosciute non fondate dalla sentenza n. 248/2020.

In quella occasione, il giudice delle leggi, pur riconoscendo che le condotte indicate al primo comma dell’art. 590-bis c.p. sono connotate da un minor disvalore sul piano della condotta e del grado della colpa rispetto a quelle contemplate dai commi successivi della citata disposizione, ha ritenuto che la procedibilità d’ufficio, anche per le prime, non sia manifestamente irragionevole e, pertanto, lesiva dell’art. 3 Cost.

Ed infatti, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, non può considerarsi “automobilista modello” chi abbia violato, sia pure occasionalmente, le norme attinenti alla circolazione stradale, provocando – in conseguenza di tale violazione – lesioni personali gravi o gravissime a carico di terzi, sicché neppure sotto tale profilo la previsione della procedibilità d’ufficio potrebbe essere ritenuta manifestamente irragionevole, così come non lo è – ancor prima – la scelta legislativa di conferire rilevanza penale a una simile condotta.

Per le stesse ragioni non può considerarsi manifestante irragionevole e, pertanto, contraria all’art. 3 Cost., la scelta compiuta dal legislatore con il d.lgs. n. 36/2018 di confermare la procedibilità d’ufficio del delitto di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen., già prevista dalla legge n. 41/2016.

Esclusione della punibilità a querela: scelta discrezionale del legislatore. Analogamente, risultano manifestamente infondate le doglianze, ancora formulate in riferimento all’art. 3 Cost., ma in realtà attinenti al rapporto tra le scelte del legislatore delegato e quelle del legislatore delegante, relative alla mancata previsione della procedibilità a querela per il delitto di cui all’art. 590-bis, comma 1, c.p., per contrasto con la ratio complessiva della l. n. 103/2017 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario).

Anche a prescindere dall’incongruità del parametro evocato rispetto alla sostanza della doglianza prospettata, infatti, la Consulta ha già ritenuto – con riferimento all’allora denunciata violazione dell’art. 76 Cost. – che, nell’escludere la procedibilità a querela del delitto di cui all’art. 590-bis, comma 1, c.p., il Governo avesse adottato una interpretazione non implausibile – e non distonica rispetto alla ratio di tutela sottesa alle indicazioni del legislatore delegante – del criterio dettato dall’art. 1, comma 16, lett. a), n. 1), della l. n. 103/2017 (Corte Cost., n. 223/2019): il Governo, quindi, non ha travalicato i fisiologici margini di discrezionalità impliciti in qualsiasi legge delega, rispettando la ratio di quest’ultima e le esigenze sistematiche proprie della materia penale, tanto più che, nel caso di specie, si era al cospetto di una delega “ampia” o “vaga”.

Il regime di procedibilità non è incostituzionale, ma andrebbe rivisto. Da ultimo, risultano manifestamente infondate anche le doglianze formulate in riferimento agli artt. 13, co. 2, e 27, comma 3, Cost., per le quali manca qualsiasi autonoma motivazione rispetto ai profili di censura attinenti all’allegata violazione dell’art. 3 Cost.

Ciò nonostante, la pronuncia in commento rinnova l’auspicio che il legislatore rimediti sulla congruità dell’attuale regime di procedibilità per le diverse ipotesi di reato contemplate dall’art. 590-bis c.p. (cfr. Corte Cost., n. 223/2019 e n. 248/2020). Come detto, le violazioni di cui al primo comma sono connotate da un disvalore inferiore a quello proprio delle assai più gravi ipotesi di colpa cui si riferiscono i commi successivi dell’art. 590-bis c.p., le quali sono caratterizzate in gran parte dalla consapevole (o addirittura temeraria) assunzione di rischi irragionevoli: ad esempio, da parte di chi si ponga alla guida di un veicolo avendo assunto sostanze stupefacenti o significative quantità di alcool, ovvero superi del doppio la velocità massima consentita, circoli contromano o, ancora, inverta il senso di marcia in prossimità di una curva o di un dosso.

Inoltre, potrebbe discutersi dell’opportunità dell’indefettibile celebrazione del processo penale a prescindere dalla volontà della persona offesa, specie laddove a quest’ultima sia stato assicurato l’integrale risarcimento del danno subito; e ciò anche a fronte dell’esigenza – di grande rilievo per la complessiva efficienza della giustizia penale – di non sovraccaricare quest’ultima dell’onere di celebrare processi penali non funzionali alle istanze di tutela della vittima.
Corte Cost., ord., 17 dicembre 2021, n. 244

Presidente Amato – Relatore Viganò

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), e del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103), promosso dal Tribunale ordinario di Lecce, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di S. T., con ordinanza del 10 dicembre 2019, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 novembre 2021 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio dell’11 novembre 2021.

Ritenuto che con ordinanza del 10 dicembre 2019, il Tribunale ordinario di Lecce, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,13, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), e del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103) «nella parte in cui non prevedono la procedibilità a querela nelle ipotesi di lesioni personali stradali gravi per le quali la persona offesa risulti integralmente risarcita in ordine ai danni subiti a seguito dell’evento»;

che il rimettente deve giudicare della responsabilità di S. T., imputato del reato previsto dall’art. 590-bis cod. pen., per avere, alla guida di un’autovettura, investito il velocipede condotto da P. L., causando a quest’ultimo lesioni gravi consistite in un’emorragia subaracnoidea senza perdita di conoscenza, con pericolo di vita;

che, quanto alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo reputa sussistente la responsabilità dell’imputato in ordine al reato contestatogli, sicché un esito del processo diverso dalla condanna sarebbe prospettabile solo ove il delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. fosse procedibile a querela, dal momento che nel caso di specie essa non è stata presentata dalla persona offesa, integralmente risarcita dei danni subiti attraverso l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile;

che, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni prospettate, il rimettente rammenta che la fattispecie criminosa delle lesioni personali stradali gravi o gravissime, procedibile d’ufficio, è stata introdotta dalla legge n. 41 del 2016;

che l’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) ha successivamente delegato il Governo a prevedere la procedibilità a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, salva in ogni caso la procedibilità d’ufficio qualora la persona offesa sia incapace per età o per infermità, oppure ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’articolo 339 cod. pen.;

che, nell’esercitare la delega con l’adozione del d.lgs. n. 36 del 2018, il Governo ha omesso di annoverare tra le fattispecie oggetto della modifica del regime di procedibilità quella di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen., pur punita con una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni;

che la disciplina recata dall’art. 590-bis cod. pen. sarebbe irragionevole, sotto il duplice profilo della carenza di «proporzionalità tra mezzi scelti e finalità perseguite» e del mancato rispetto del canone di «coerenza sistematica dell’ordinamento» (è citata la sentenza di questa Corte n. 84 del 1997), in quanto essa prevede la procedibilità d’ufficio anche in relazione alle lesioni stradali gravi di cui al primo comma della disposizione, nei casi in cui l’autore del fatto abbia integralmente risarcito la vittima e questa abbia scelto di non proporre querela;

che, essendo la circolazione stradale un’attività lecita, per compiere la quale è obbligatoria la sottoscrizione di una polizza assicurativa, sarebbe eccessivo e irragionevole, oltre che contrario «al principio di eguaglianza davanti alla legge (art. 3 Cost.), alla concreta offensività del fatto (art. 13 comma 2 Cost.) ed alla finalità rieducativa della pena (art. 27 comma 3 Cost.)» prevedere, a fronte di condotte non connotate da particolare allarme sociale, quali le lesioni colpose gravi contemplate dal primo comma dell’art. 590-bis cod. pen. e caratterizzate dalla generica violazione di norme in materia di circolazione stradale, l’indefettibile celebrazione del processo penale, anche in assenza di istanza punitiva della persona offesa che sia stata integralmente risarcita dei danni patiti;

che le vittime di un sinistro stradale che abbiano riportato lesioni gravi non verserebbero per ciò stesso in una condizione di incapacità che renda impossibile la presentazione della querela nel termine trimestrale previsto dall’art. 124 cod. pen.;

che la previsione indiscriminata della procedibilità d’ufficio sia per le lesioni stradali gravi ex art. 590-bis, primo comma, cod. pen., cui sia seguito il risarcimento del danno in favore della persona offesa, sia per le ipotesi aggravate di cui ai commi successivi della medesima disposizione, realizzerebbe un trattamento omogeneo di situazioni differenti, in contrasto con l’art. 3 Cost., indebitamente equiparando «l’automobilista c.d. modello, che abbia sempre rispettato tutte le prescrizioni all’uopo richieste dalla legge» e «colui il quale circoli ignorando le norme del codice della strada o, in particolare, guidi un mezzo privo di copertura assicurativa»;

che le lesioni personali stradali, nell’ipotesi base di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen., non si connoterebbero per particolare disvalore, a differenza delle ipotesi di cui ai commi successivi, aggravate dalla violazione di regole cautelari specifiche, o dall’uso di sostanze alcooliche o stupefacenti, sicché la previsione della procedibilità d’ufficio sarebbe contraria al canone di proporzionalità;

che sarebbe incoerente mantenere la procedibilità d’ufficio in un ordinamento che consente l’estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162-ter cod. pen.) ed esclude la punibilità per la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis cod. pen.), così frustrando la «finalità deflattiva del contenzioso penale sottesa ai recenti interventi legislativi»;

che la scelta compiuta dal d.lgs. n. 36 del 2018, di non prevedere la procedibilità a querela per le lesioni stradali di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., pur essendo stata ritenuta da questa Corte, nella sentenza n. 223 del 2019, non viziata da eccesso di delega, si paleserebbe comunque contraria agli artt. 3,13, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.;

che, pur ammettendo che l’avere subito delle lesioni stradali possa compromettere la capacità della persona offesa di presentare querela, tale rischio dovrebbe considerarsi scongiurato in presenza di un documentato risarcimento del danno;

che non avere previsto, nel d.lgs. n. 36 del 2018, la procedibilità a querela nelle ipotesi in cui la persona offesa sia stata ristorata, determinerebbe un’indebita equiparazione tra l’«automobilista modello» che sia incorso in un’occasionale violazione colposa delle norme sulla circolazione stradale, ma abbia integralmente risarcito la persona offesa, e l’automobilista che circoli con un mezzo privo di copertura assicurativa e non provveda al ristoro alla vittima;

che la conservazione della procedibilità d’ufficio sarebbe ingiustificata, anche per lo scarso allarme sociale suscitato dalle condotte punite dal primo comma dell’art. 590-bis cod. pen.;

che l’attività del legislatore delegato, pur connotata da margini di discrezionalità, deve inserirsi in modo coerente nel complessivo quadro normativo, rispettando la ratio della legge delega (sono citate le sentenze di questa Corte n. 59 del 2016, n. 146 e 98 del 2015, n. 119 del 2013);

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili, improcedibili o comunque non fondate;

che il rimettente avrebbe chiesto a questa Corte un intervento additivo «del tutto improprio», mirante a legare il regime di procedibilità del reato di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. a un elemento – l’avvenuto risarcimento del danno in favore della persona offesa – «assolutamente estraneo alla fattispecie penale», eventuale e rimesso alla volontà dell’autore del reato;

che le censure mosse nei confronti del d.lgs. n 36 del 2018, pur formulate in riferimento a parametri costituzionali diversi dall’art. 76 Cost., sarebbero in realtà del tutto analoghe a quelle già disattese nella sentenza di questa Corte n. 223 del 2019, sicché esse dovrebbero ritenersi manifestamente infondate;

che parimenti da respingere sarebbero le censure indirizzate all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., in riferimento all’art. 3 Cost., non avendo il legislatore oltrepassato – nel prevedere la procedibilità d’ufficio per tale fattispecie criminosa – la soglia della manifesta irrazionalità, che sola consente il sindacato delle scelte legislative sul regime di procedibilità dei reati (sono citate le sentenze di questa Corte n. 220 del 2015 e n. 7 del 1987, le ordinanze n. 324 del 2013, n. 178 del 2003 e n. 204 del 1988);

che tale scelta legislativa risponderebbe, di contro, a una «precisa valutazione in ordine alla tutela dell’integrità fisica delle persone, in relazione alla specifica natura delle norme di cautela violate e alla gravità del danno»;

che non sussisterebbe alcuna irragionevole equiparazione tra colui che abbia stipulato l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile e colui che ne sia sprovvisto, essendo la presenza della polizza assicurativa elemento totalmente estraneo alla fattispecie di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen.;

che la circostanza che l’ordinamento riconnetta alle condotte riparatorie effetti estintivi del reato, ai sensi dell’art. 162-ter, o di attenuazione della responsabilità dell’imputato, ex art. 62, primo comma, numero 6), cod. pen., dimostrerebbe come tali condotte non possano assumere rilievo al diverso fine della procedibilità;

che le censure del rimettente riferite agli artt. 13, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. sarebbero insufficientemente argomentate e in ogni caso non fondate, inconferente essendo, in particolare, il riferimento all’art. 13, secondo comma, Cost.;

che non potrebbe ravvisarsi alcuna irragionevolezza nell’irrogazione della sanzione penale nonostante l’avvenuto risarcimento del danno patito dalla persona offesa, atteso che «l’ordinamento (salvo l’operare di istituti specifici) prevede la normale convivenza tra intervento risarcitorio e applicazione della sanzione penale»;

che l’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. si applica alle sole lesioni stradali gravi e gravissime, e non a quelle lievi, che restano perseguibili a querela di parte ex art. 590, primo comma, cod. pen.;

che le lesioni colpose gravi commesse in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 590, terzo comma, cod. pen.), anch’esse procedibili d’ufficio (sesto comma del medesimo articolo), sono punite con una pena più contenuta – atteso che si tratta di una pena alternativa – di quella prevista dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., sicché «sarebbe semmai distonico nel sistema il fatto che a parità di entità della lesione un fatto ritenuto dal legislatore più grave (perché punito più gravemente) sia procedibile a querela rispetto ad un altro fatto ritenuto dal legislatore meno grave».

Considerato che con ordinanza del 10 dicembre 2019, il Tribunale ordinario di Lecce, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,13, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274) e del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103) «nella parte in cui non prevedono la procedibilità a querela nelle ipotesi di lesioni personali stradali gravi per le quali la persona offesa risulti integralmente risarcita in ordine ai danni subiti a seguito dell’evento»;

che – sia pure attraverso un petitum che, come rilevato dall’Avvocatura generale dello Stato, parrebbe voler ancorare il regime di procedibilità alla circostanza, successiva alla commissione del reato, dell’avvenuto integrale risarcimento del reato – le questioni prospettate mirano, in sostanza, a estendere alla fattispecie base di lesioni stradali il regime di punibilità a querela della persona offesa;

che tali questioni sono manifestamente infondate;

che, infatti, censure in larga parte analoghe a quelle oggi in esame sono già state riconosciute non fondate dalla sentenza n. 248 del 2020;

che in tale occasione questa Corte, pur riconoscendo che le condotte di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen. sono connotate da «un minor disvalore sul piano della condotta e del grado della colpa» rispetto a quelle contemplate dai commi successivi della disposizione, ha ritenuto che la procedibilità d’ufficio, anche per le prime, non sia manifestamente irragionevole e, pertanto, lesiva dell’art. 3 Cost.;

che, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, non può considerarsi «automobilista modello» chi abbia violato, sia pure occasionalmente, le norme attinenti alla circolazione stradale, provocando – in conseguenza di tale violazione – lesioni personali gravi o gravissime a carico di terzi, sicché neppure sotto tale profilo la previsione della procedibilità d’ufficio potrebbe essere ritenuta manifestamente irragionevole, così come non lo è – ancor prima – la scelta legislativa di conferire rilevanza penale a una simile condotta;

che per le medesime ragioni non può considerarsi manifestante irragionevole, e pertanto contraria all’art. 3 Cost., la scelta compiuta dal legislatore con il d.lgs. n. 36 del 2018 di confermare la procedibilità d’ufficio del delitto di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen., già prevista dalla legge n. 41 del 2016;

che, del pari, manifestamente infondate sono le doglianze, ancora formulate in riferimento all’art. 3 Cost., ma in realtà attinenti al rapporto tra le scelte del legislatore delegato e quelle del legislatore delegante, relative alla mancata previsione della procedibilità a querela per il delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., per contrasto con la ratio complessiva della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario);

che infatti, anche a prescindere dall’incongruità del parametro evocato rispetto alla sostanza della doglianza prospettata, nella sentenza n. 223 del 2019 questa Corte ha già ritenuto – con riferimento all’allora denunciata violazione dell’art. 76 Cost. – che, nell’escludere la procedibilità a querela del delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., il Governo avesse adottato «una interpretazione non implausibile – e non distonica rispetto alla ratio di tutela sottesa alle indicazioni del legislatore delegante – del criterio dettato dall’art. 1, comma 16, lettera a), numero 1), della legge n. 103 del 2017»;

che manifestamente infondate sono, infine, le doglianze formulate in riferimento agli artt. 13, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., per le quali manca qualsiasi autonoma motivazione rispetto ai profili di censura attinenti all’allegata violazione dell’art. 3 Cost., essi stessi manifestamente infondati per le ragioni di cui si è detto;

che resta attuale, peraltro, l’auspicio che il legislatore rimediti sulla congruità dell’attuale regime di procedibilità per le diverse ipotesi di reato contemplate dall’art. 590-bis cod. pen., per le ragioni già illustrate nelle sentenze n. 223 del 2019 e n. 248 del 2020.

Per Questi Motivi

La Corte Costituzionale

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274) e del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103), sollevate, in riferimento agli artt. 3,13, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce, sezione prima penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Fonte Diritto e Giustizia

19 Dic

Sinistri stradali: il terzo trasportato coinvolto non può testimoniare

di A.Villafrate

Per la Cassazione, la terza trasportata coinvolta in maniera diretta nel sinistro non può testimoniare perché portatrice di un interesse che la legittima a diventare parte

La terza trasportata coinvolta direttamente in un sinistro stradale non può testimoniare nella causa intrapresa dalla proprietaria del veicolo danneggiato che la trasportava. Questo perché il terzo, in un caso come questo, ha un interesse concreto, attuale e personale ad agire in giudizio che lo rende incompatibile con il ruolo di testimone. Puntualizzazioni contenute nell’ordinanza della Cassazione n. 35552/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale
A causa di un sinistro stradale una donna aziona una causa di risarcimento per i danni riportati al proprio veicolo nei confronti di due enti comunali. Il giudice di primo e quello di secondo grado però rigettano le richieste risarcitorie dell’attrice. Il giudice dell’impugnazione evidenzia la correttezza della decisione di primo grado nel ritenere incapace a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c l’unica testimone in quanto terza trasportata all’interno del veicolo danneggiato.

Contestata la decisione sull’incapacità a testimoniare

La ricorrente nel ricorrere in Cassazione contesta quindi con un unico motivo l’erronea conclusione del giudice di appello, nel ritenere incapace di testimoniare la donna trasportata sul veicolo danneggiato, in quanto la stessa, per il giudicante, sarebbe portatrice di un interesse concreto e attuale a prendere parte al giudizio.

Chi può essere parte di un processo non può testimoniare

Per la Cassazione il ricorso è manifestamente infondato perché secondo il consolidato orientamento della stessa un soggetto, ai sensi dell’art 246 c.p.c, è incapace di testimoniare quando è titolare di un interesse personale, ma anche attuale e concreto che lo vede coinvolto del rapporto controverso, qualificabile come interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c, che lo legittima a prendere parte al giudizio in cui gli è stato chiesto di rendere testimonianza.

Correttamente il giudice ha concluso per l’incapacità a testimoniare della teste, stante il suo diretto coinvolgimento del sinistro, nella veste di terza trasportata.

In casi come quello di specie, precisano gli Ermellini, il terzo non può non essere considerato come portatore di un interesse in grado di prendere al giudizio. Lo stesso non risulta portatore di un interesse attuale e concreto solo se risulta non avere riportato danni “all’eventuale riscontro della fondatezza nel merito della prospettabile pretesa avanzabile in sede di partecipazione al giudizio e non già al riscontro della legittimazione a detta partecipazione, cui sola è riferita la previsione di cui all’art. 246 c.p.c.”

L’art 246 c.pc infatti, ricordiamolo, prevede che “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.”

La norma in pratica sancisce l’incompatibilità tra la posizione di parte, anche solo in via potenziale e di testimone. L’interesse in causa a cui fa riferimento la norma è quello di cui all’art. 100 sull’interesse ad agire, che rappresenta una delle condizioni determinanti l’ipotetica accoglibilità della domanda.

L’interesse che impedisce la testimonianza deve essere, come precisato anche dalla Cassazione, personale, concreto e attuale, tanto da legittimare una partecipazione al giudizio mediante un intervento principale, un intervento adesivo autonomo o adesivo dipendente in base a quanto previsto dall’art. 105.

Fonte Studio Cataldi

15 Dic

Cds: Smartphone espressamente vietato al volante

di A. Villafrate

Il decreto infrastrutture, convertito nella legge n. 156/2021 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 267 del 09.11.2021, interviene su alcune norme di comportamento contenute nel Codice della Strada.

Ricordiamo che le norme di comportamento sono contenute nel titolo V del Codice della Strada dall’art. 140 all’art. 193.

L’art. 140 apre il titolo sancendo il principio informatore base della circolazione stradale in base al quale ciascun utente della strada non deve costituire un pericolo o un intralcio per la circolazione perché è necessario salvaguardare sempre la sicurezza.

I singoli comportamenti vengono poi specificati dalle diverse norme del Codice della Strada, alcune delle quali sono contenute nelle disposizioni successive all’art. 140.

Tra queste figura l’art. 173, dedicato all’uso delle lenti o di apparecchi determinate durante la guida. Su questo, come su altri articoli del titolo V, è intervenuto il decreto infrastrutture, con l’obiettivo di rendere ancora più sicura la guida e quindi la circolazione su strada.

Niente smartphone mentre si guida

Il testo interviene sull’art. 173 del Codice della Strada andando a modificare in particolare il comma 2 della norma.

La formulazione del comma 2 dell’art. 173 ante riforma così recitava: “E’ vietato al conducente di far uso durante la marcia di apparecchi radiotelefonici ovvero di usare cuffie sonore, fatta eccezione per i conducenti dei veicoli delle Forze armate e dei Corpi di cui all’art. 138, comma 11, e di polizia. E’ consentito l’uso di apparecchi a viva voce o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguata capacità uditiva ad entrambe le orecchie che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani.”

Questo comma, già modificato dalla legge n. 168/2002 e dalla legge n. 11/2012, viene da ultimo modificato dal decreto infrastrutture il quale, dopo la parola “apparecchi radiofonici” aggiunge le seguenti “smartphone, computer portatili, notebook, tablet e dispositivi analoghi che comportino anche solo temporaneamente l’allontanamento delle mani dal volante”.

In questo modo si amplia lo spettro dei dispositivi che non possono essere utilizzati mentre il conducente è alla guida, per evitare che le mani siano occupate in funzioni diverse e che l’uso degli apparecchi rappresenti una fonte di distrazione pericolosa per il conducente.

Il decreto infrastrutture nell’introdurre questo elemento di novità recepisce il contenuto di alcune sentenze, che anche di recente si sono espresse negativamente sull’uso di apparecchi elettronici durante la guida. Tale condotta infatti, contraria alle norme di comune prudenza richiesta agli utenti della strada, altera inevitabilmente la soglia di attenzione con conseguente aumento delle probabilità di provocare sinistri stradali e quindi di vedersi aumentare il premio assicurativo.

Nessun aumento delle sanzioni

Per quanto riguarda poi la violazione del divieto di uso dello smartphone alla guida era emersa negli scorsi mesi anche l’ipotesi di aumentare le sanzioni previste attualmente dall’art 173 del Codice della Strada.

Dal testo definitivo del decreto infrastrutture però non emerge nessuna novità al riguardo, così come non è stata introdotta la sospensione della patente come sanzione accessoria dopo la prima violazione.

Ne consegue che la multa per questa infrazione è la stessa contemplata dal comma 3 bis dell’art. 173 del Codice della Strada, ossia “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 165 a euro 660” e “la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi, qualora lo stesso soggetto compia un’ulteriore violazione nel corso di un biennio.”

Fonte Studio Cataldi

15 Dic

Cds: L’accertamento effettuato mediante autovelox è atto dell’organo di polizia stradale

Il giudice di merito deve accertare se l’assistenza tecnica della società noleggiatrice sia limitata all’installazione e impostazione del dispositivo, mentre l’accertamento della violazione riservato ai pubblici ufficiali, può essere solo supportato e non sostanzialmente sostituto dall’operatore privato.

di Fabio Piccioni
Cass. civ., sez. II, sent., 3 dicembre 2021, n. 38276

Il caso. La vicenda sottostante alla pronuncia in commento riguarda l’illecito di cui all’art. 142 c. 8 c.d.s.,concernente la violazione dei limiti di velocità.
Avverso il relativo verbale veniva presentata opposizione con cui si contestava la legittimità del rilevamento in quanto l’autovelox non era di proprietà, né nella disponibilità, dell’organo accertatore. Si costituiva l’Amministrazione.

Cass. civ., sez. II, sent., 3 dicembre 2021, n. 38276
Presidente Lombardo – Relatore Giannaccari

Fatti di causa

  1. Il giudizio trae origine dal verbale di contestazione, elevato in data (OMISSIS) dalla Polizia Municipale del Comune di Arborea a S.R. per violazione dell’
    art. 142 C.d.S., comma 8 per aver viaggiato ad una velocità superiore al limite consentito; l’accertamento era avvenuto tramite rilevatore della velocità.

Fonte Diritto e Giustizia

7 Dic

Codice della strada : Art. 186 CdS Anche un solo scontrino è sufficiente

In tema di guida in stato d’ebbrezza, ai fini della prova della sussistenza di una delle fattispecie di cui alle lett. b) e c) dell’art. 186, comma 2, cod. strada, è sufficiente anche una sola misurazione alcolimetrica che produca risultati rientranti nelle fasce rispettivamente previste se corroborata da elementi sintomatici desumibili dagli atti (Sez. 4, n. 22604 del 04/04/2017, Mendoza Roque, Rv. 269979).   Sez. QUARTA PENALE, Sentenza n.2081420814 del 15/05/2019 (ECLI:IT:CASS:2019:20814PEN)2019, udienza del 06/02/2019, Presidente PICCIALLI PATRIZIA  Relatore DAWAN DANIELA 

7 Dic

Codice della strada : Art.186 CdS Rifiuto

Il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcoli metrici integra reato di natura istantanea che si perfeziona con la manifestazione di indisponibilità da parte dell’agente, non rilevando il successivo atteggiamento collaborativo di volersi sottoporre agli accertamenti medesimi (sez.IV, 8.1.2013 n.5909) attiene invero a tutte le ipotesi, pure esplorate dalla giurisprudenza del S.C. ove il conducente opponga agli operanti un comportamento ostruzionistico, apparentemente collaborativo, ma sostanzialmente teso ad eludere gli accertamenti sulla condizione di ebbrezza alcolica. A tale proposito l’orientamento del S.C. è costante nell’affermare che il rifiuto dell’esame alcolimetrico  può essere integrato da un comportamento ostruzionistico del conducente sottoposto all’esame e non solo in presenza di manifestazioni espresse di indisponibilità a sottoporsi al test, ma anche quando il conducente del veicolo – pur opportunamente edotto circa le modalità di esecuzione dell’accertamento – attui una condotta ripetutamente elusiva del metodo di misurazione del tasso alcolemico (Fattispecie in cui l’imputato, durante l’ alcoltest, aveva per quattro o cinque volte aspirato anziché soffiare come richiestogli, impedendo così la rilevazione del tasso alcolemico, sez. IV, 27.1.2015, Avondo, Rv.262162).  Sez. QUARTA PENALE, Sentenza n.2082520825 del 15/05/2019 (ECLI:IT:CASS:2019:20825PEN)2019, udienza del 26/03/2019, Presidente PICCIALLI PATRIZIA  Relatore BELLINI UGO 

1 Dic

Codice della strada: Art. 186 CdS Aggravante sinistro

La norma di cui all’art. 186 c. 2-bis C.d.S. non richiede l’accertamento del nesso eziologico tra l’incidente e la condotta dell’agente, ma evoca unicamente il collegamento materiale tra il verificarsi dell’incidente e lo stato di alterazione dell’agente («Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale»), si ribadisce il principio secondo cui il maggior disvalore della condotta risiede proprio nella condizione di alterata reattività del conducente in stato di ebbrezza rispetto alla situazione di pericolo in cui egli si venga a trovare, riconducibile alla sua impoverita capacità di approntare manovre idonee a scongiurare l’incidente, direttamente ricollegabile allo stato di alterazione psicofisica. Sez. QUARTA PENALE, Sentenza n.7284 del 25/02/2021 (ECLI:IT:CASS:2021:7284PEN), udienza del 09/12/2020, Presidente IZZO FAUSTO  Relatore CAPPELLO GABRIELLA 

1 Dic

Codice della strada : Art. 189 CdS dolo eventuale

Secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità, l’elemento soggettivo del reato previsto dall’art.189, comma 6, cod. strada è infatti integrato anche in presenza del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente che, per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità – che dall’incidente sia derivato un danno alle persone e, ciononostante, ometta di fermarsi (Sez.4, n.17220 del 06/03/2012, Turcan, Rv. 25237401; Sez. 6, n.21414 del 16/02/2010, Casule, Rv. 24736901). Sez. SETTIMA PENALE, Ordinanza n.2160621606 del 17/05/2019 (ECLI:IT:CASS:2019:21606PEN)2019, udienza del 09/04/2019, Presidente PICCIALLI PATRIZIA  Relatore BRUNO MARIAROSARIA 

29 Nov

Sinistri stradali: il terzo trasportato coinvolto non può testimoniare

di A. Villafrate

Per la Cassazione, la terza trasportata coinvolta in maniera diretta nel sinistro non può testimoniare perché portatrice di un interesse che la legittima a diventare parte

La terza trasportata coinvolta direttamente in un sinistro stradale non può testimoniare nella causa intrapresa dalla proprietaria del veicolo danneggiato che la trasportava. Questo perché il terzo, in un caso come questo, ha un interesse concreto, attuale e personale ad agire in giudizio che lo rende incompatibile con il ruolo di testimone. Puntualizzazioni contenute nell’ordinanza della Cassazione n. 35552/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale
A causa di un sinistro stradale una donna aziona una causa di risarcimento per i danni riportati al proprio veicolo nei confronti di due enti comunali. Il giudice di primo e quello di secondo grado però rigettano le richieste risarcitorie dell’attrice. Il giudice dell’impugnazione evidenzia la correttezza della decisione di primo grado nel ritenere incapace a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c l’unica testimone in quanto terza trasportata all’interno del veicolo danneggiato.

Contestata la decisione sull’incapacità a testimoniare

La ricorrente nel ricorrere in Cassazione contesta quindi con un unico motivo l’erronea conclusione del giudice di appello, nel ritenere incapace di testimoniare la donna trasportata sul veicolo danneggiato, in quanto la stessa, per il giudicante, sarebbe portatrice di un interesse concreto e attuale a prendere parte al giudizio.

Chi può essere parte di un processo non può testimoniare

Per la Cassazione il ricorso è manifestamente infondato perché secondo il consolidato orientamento della stessa un soggetto, ai sensi dell’art 246 c.p.c, è incapace di testimoniare quando è titolare di un interesse personale, ma anche attuale e concreto che lo vede coinvolto del rapporto controverso, qualificabile come interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c, che lo legittima a prendere parte al giudizio in cui gli è stato chiesto di rendere testimonianza.

Correttamente il giudice ha concluso per l’incapacità a testimoniare della teste, stante il suo diretto coinvolgimento del sinistro, nella veste di terza trasportata.

In casi come quello di specie, precisano gli Ermellini, il terzo non può non essere considerato come portatore di un interesse in grado di prendere al giudizio. Lo stesso non risulta portatore di un interesse attuale e concreto solo se risulta non avere riportato danni “all’eventuale riscontro della fondatezza nel merito della prospettabile pretesa avanzabile in sede di partecipazione al giudizio e non già al riscontro della legittimazione a detta partecipazione, cui sola è riferita la previsione di cui all’art. 246 c.p.c.”

L’art 246 c.pc infatti, ricordiamolo, prevede che “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.”

La norma in pratica sancisce l’incompatibilità tra la posizione di parte, anche solo in via potenziale e di testimone. L’interesse in causa a cui fa riferimento la norma è quello di cui all’art. 100 sull’interesse ad agire, che rappresenta una delle condizioni determinanti l’ipotetica accoglibilità della domanda.

L’interesse che impedisce la testimonianza deve essere, come precisato anche dalla Cassazione, personale, concreto e attuale, tanto da legittimare una partecipazione al giudizio mediante un intervento principale, un intervento adesivo autonomo o adesivo dipendente in base a quanto previsto dall’art. 105.

Fonte Studio Cataldi

23 Nov

Codice della strada :Art 186 cds ai fini dell’avviso al conducente di farsi assistere da un difensore è sufficiente che risulti nel verbale, senza che sia necessaria la sottoscrizione dell’interessato.

“In tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di previo avviso al conducente coinvolto in un incidente stradale di farsi assistere da un difensore di fiducia, è sufficiente che ciò risulti nel verbale, senza che sia necessaria la sottoscrizione dello stesso da parte dell’interessato, poiché l’avviso è atto degli operanti che redigono il verbale, mentre la sottoscrizione della parte è necessaria solo qualora essa abbia reso una dichiarazione, tra cui quella di nomina di difensore di fiducia” (così Sez. 4, n. 5011 del 04/12/2018, dep. 01/02/2019, Rv. 274978 – 01).  Sez. SETTIMA PENALE, Ordinanza n.2092620926 del 15/05/2019 (ECLI:IT:CASS:2019:20926PEN)2019, udienza del 20/03/2019, Presidente PICCIALLI PATRIZIA  Relatore BRUNO MARIAROSARIA