Categoria: Codice della strada

23 Gen

La responsabilità nei tamponamenti a catena

di Lucia Izzo

A chi va addebitata la responsabilità del sinistro quando sono coinvolti più veicoli. Guida alla responsabilità nei tamponamenti a catena
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Il tamponamento è un tipo di sinistro stradale che si realizza quando un veicolo con la sua parte anteriore urta la parte posteriore di un altro veicolo che lo precede in strada.

In questi casi, la responsabilità viene normalmente addebitata in capo al veicolo che ha dato luogo al tamponamento, poiché l’art. 141 del Codice della Strada afferma che “è obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione”.

Pertanto, si presume che la colpa sia di chi tampona, a causa dell’inosservanza delle prescritte distanze di sicurezza che avrebbero consentito un adeguato spazio di frenatura e manovra; ciò a meno che il tamponatore non dimostri che il sinistro si è verificato per causa a lui non imputabile (ad es. a causa di un comportamento abnorme della vettura tamponata).

La responsabilità nel tamponamento multiplo “a catena”

Ipotesi molto frequente e maggiormente problematica per quanto riguarda l’individuazione del “colpevole” è quella dei cc.dd. tamponamenti a catena, ovverosia quelli che coinvolgono diverse autovetture l’una dietro l’altra.

In simili ipotesi, per individuare il responsabile, è necessario effettuare una distinzione tra il sinistro avvenuto tra veicoli fermi in colonna e quello avvenuto tra veicoli in movimento.

Tamponamento a catena tra veicoli fermi

Nell’ipotesi di colonna di veicoli ferma (ad esempio perché in coda dinanzi a un semaforo rosso, bloccati nel traffico, ecc.) la giurisprudenza ha ritenuto che la responsabilità vada addebitata al conducente dell’ultimo veicolo, ossia a colui che, con la sua condotta, genera la prima collisione dalla quale promanano i successivi tamponamenti.

Pertanto, in caso di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile delle conseguenze delle collisioni è il conducente che le abbia determinate tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna (cfr. Cass., n. 8646/2003; Cass., n. 18234/2008).

Le richieste risarcitorie andranno, pertanto, rivolte al veicolo che ha cagionato il primo tamponamento.

Tamponamento a catena tra veicoli in movimento

Diverso è il caso in cui il tamponamento a catena coinvolga autoveicoli in movimento.

In simile ipotesi, per giurisprudenza costante (si veda, da ultimo, Cass. 27 aprile 2015 n. 8481) occorre fare riferimento all’art. 2054 c.c., comma 2 il quale sancisce che “nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”.

Di conseguenza, opera la presunzione iuris tantum di colpa in forza della quale devono ritenersi responsabili del sinistro, in eguale misura, entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), a causa dell’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante (Cass., n. 4021/2013).

In pratica, la presunzione fa scattare in capo ad ogni conducente la responsabilità nei confronti del veicolo che gli sta davanti, per i danni che questa abbia subito nella sua parte posteriore.

Prova liberatoria

In caso di tamponamenti a catena di veicoli in movimento, il rinvio all’articolo 2054 c.c. lascia salva la possibilità di fornire adeguata prova liberatoria e di essere così tenuto indenne all’addebito di responsabilità.

Tale prova avrà come oggetto l’aver fatto tutto il possibile, una volta tamponati, per evitare di tamponare il veicolo davanti, rispetto al quale erano comunque rispettate le distanze di sicurezza.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui si riesca a provare che l’urto con il veicolo anteriore non sia derivato dall’eccessiva vicinanza con lo stesso ma solo ed esclusivamente dall’eccessiva velocità del veicolo proveniente da tergo.

Resta da dire che, come è evidente, il primo veicolo della colonna (il quale viene tamponato, ma non tampona nessun altro) non avrà mai alcuna responsabilità.

Tamponamento a catena e indennizzo diretto

L’ipotesi del tamponamento a catena, vedendo il coinvolgimento di più veicoli, rientra tra quelle che esulano dal campo di applicazione del sistema del cd. indennizzo diretto.

Di conseguenza, la domanda risarcitoria non andrà mai inoltrata alla propria compagnia di assicurazione.

A seconda dei casi, occorrerà rivolgersi o al veicolo direttamente tamponante (in ipotesi di veicoli in movimento) o all’ultimo veicolo, che ha dato origine all’incidente complessivo (in ipotesi di veicoli incolonnati in sosta).

Il trasportato su uno dei veicoli coinvolti, tuttavia, dovrà sempre richiedere i danni alla compagnia che assicura il mezzo sul quale si trovava al momento dello scontro.

Il tamponamento a catena nella giurisprudenza

Ecco alcune sentenze interessanti che si sono occupate di tamponamento a catena:
Cassazione n. 4304/2021

Nell’ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento, trova applicazione l’art. 2054, secondo comma, cod. civ., con conseguente presunzione “iuris tantum” di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, mentre c) nel caso di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa (Cass., 19/02/2013, n. 4021, Cass., 15/06/2018, n. 15788).
Cassazione n. 15788/2018
In tema di circolazione stradale, nell’ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l’art. 2054, comma 2, c.c., con conseguente presunzione iuris tantum di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nel caso, invece, di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa.
Cassazione n. 22813/2017

La pretesa violazione dell’art. 2054 2° co. c.c. non sussiste, in quanto esso ha funzione meramente sussidiaria, operando solo nel caso in cui non sono accertabili, mediante indagini specifiche sulle concrete modalità del sinistro, le singole responsabilità. In altri termini la presunzione rileva quando non sia possibile accertare l’incidenza delle singole colpe nella causazione dell’evento e non è possibile stabilire la proporzione tra le colpe concorrenti dei conducenti.

Cassazione n. 4021/2013

In tema di circolazione stradale, nell’ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l’art. 2054, comma 2, c.c., con conseguente presunzione iuris tantum di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nel caso, invece, di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa.

Cassazione n. 7804/2010

In tema di tamponamento a catena sull’autostrada, spetta al conducente dimostrare che il mancato tempestivo arresto del veicolo e la collisione sono stati provocati dalla presenza di una chiazza di gasolio sull’asfalto; l’incidente, infatti, pone a carico dell’automobilista una presunzione “de facto” di inosservanza della distanza di sicurezza, escludendo, pertanto, l’applicazione della presunzione di pari colpa di cui dell’art. 2054 c.c.

Corte d’appello Milano n. 463/2008

È corretta l’attribuzione del 10% di corresponsabilità all’automobilista che, coinvolto in un tamponamento a catena, con l’auto in avaria in ultima posizione, viene travolto da altra auto sopraggiunta per essersi trattenuto sulla sede stradale, anziché mettersi al riparo, come aveva fatto la moglie, assumendo di essersi voluto occupare di eventuali feriti, circostanza rivelatasi non vera, ma piuttosto per indulgere a constatare l’entità dei guasti, mentre egli avrebbe dovuto subito allontanarsi, essendo del tutto prevedibile l’arrivo di altre vetture e notorio che la velocità delle vetture in autostrada è elevata con rischio di difficile o mancato controllo dei mezzi.

Trib. Milano 6 giugno 1994

Nel tamponamento a catena di veicoli, qualora manchi la prova della presunzione di causazione di ciascun danno, trova applicazione il principio della presunzione di cui all’art. 2054, comma 2 c.c. secondo il quale deve presumersi che tutti i conducenti, la cui condotta colposa potrebbe avere causato il danno in questione, abbiano ugualmente concorso alla sua produzione. Al contempo, la presunzione semplice di pari responsabilità di cui all’art. 2054 c.c. rimane assorbita o superata dalla presunzione “de facto” dell’inosservanza della distanza di sicurezza a carico del conducente del veicolo che segue, sicché il conducente del veicolo che precede va ritenuto non responsabile della collisione, a meno che risulti che egli non abbia lasciato al conducente dell’auto che lo segue alcuna possibilità di manovrare utilmente per evitare l’evento dannoso.

Fonte Studio Cataldi

19 Gen

Codice della strada : Art. 189 CdS Investimento di pedone

L’art 189 cds ha natura di reato omissivo di pericolo e si perfeziona istantaneamente nel momento in cui il conducente del veicolo investitore viola l’obbligo di fermarsi, ponendo in essere, con il semplice allontanamento, una condotta contraria al precetto di legge, di talché il reato è configurabile anche se il conducente, allontanandosi, abbia agito in modo da rendere possibile la sua identificazione presentandosi successivamente al più vicino posto di polizia, dato che la finalità della norma è anche quella di rendere possibile l’accertamento immediato delle modalità e circostanze dell’incidente (cfr. sez. 4 n. 11195 del 12/2/2015, Rv. 262709; n. 3982 del 12/11/2002, Mancini V., Rv. 223499, in cui la Corte ha precisato che non è necessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle persone, peraltro non accertabile immediatamente nella sua sussistenza e consistenza e che una diversa interpretazione che collegasse l’obbligo di fermarsi alla condotta da cui sia derivato un danno effettivo alle persone limiterebbe l’ambito di operatività della fattispecie ai soli casi di macroscopica e immediata evidenza di lesioni o di morte). In altri termini, poichè l’elemento soggettivo può essere integrato anche dal dolo eventuale, ossia dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, è del tutto irrilevante il riscontro della esistenza di un effettivo danno alle persone (cfr. Sez. 4 n. 17220 del 06/03/2012, Rv. 252374). È stato poi chiarito che – affinché il precetto dell’obbligo di fermarsi sia rispettato – occorre che l’agente effettui una fermata che, per le concrete modalità, gli consenta di rendersi conto dell’accaduto ed eventualmente mettersi in condizione di prestare assistenza ai feriti, e, comunque, di essere identificato ai fini della compiuta ricostruzione dell’accaduto e di eventuali azioni risarcitorie (cfr. sez. 4 n. 9212 del 11/2/2020, Milani anton, Rv. 278606; n. 20235 del 25/1/2006, Mischiatti, Rv. 234581) Sez. QUARTA PENALE, Sentenza n.7926 del 01/03/2021 (ECLI:IT:CASS:2021:7926PEN), udienza del 05/11/2020, Presidente IZZO FAUSTO  Relatore CIAMPI FRANCESCO MARIA 

19 Gen

Codice della strada : Investimento pedone responsabilità

Sempre in tema di pedoni, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di reati colposi (omicidio o lesioni) posti in essere nell’ambito della circolazione stradale, per escludere la responsabilità del conducente per l’investimento del pedone è necessario che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (così questa Sez. 4, sent. n. 10635/2013 e, nello stesso senso sent. 33207/2013 secondo cui “il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedi- bile, da sola sufficiente a produrre l’evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile”).

   Sez. QUARTA PENALE, Sentenza n.7094 del 24/02/2021 (ECLI:IT:CASS:2021:7094PEN), udienza del 27/01/2021, Presidente CIAMPI FRANCESCO MARIA  Relatore PEZZELLA VINCENZO 

17 Gen

Il divieto ai residenti di circolare con veicolo immatricolato all’estero costituisce una restrizione alla libera circolazione di capitali

L’art. 63, par. 1, TFUE osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato da più di 60 giorni di circolarvi con un veicolo immatricolato in un altro Stato membro, senza tener conto della durata di utilizzo di detto veicolo nel primo Stato membro e senza che l’interessato possa far valere un diritto a un’esenzione, qualora il veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo.
di Fabio Piccioni

Corte di Giustizia UE, sez. VI, 16 dicembre 2021, n. C-274/20

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Corte di Giustizia UE, sez. VI, 16 dicembre 2021, n. C-274/20

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 18, 21, 26, 45, da 49 a 55 e da 56 a 62 TFUE. 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone GN e WX alla Prefettura di Massa Carrara – Ufficio Territoriale del Governo di Massa Carrara (Italia) in merito ad un verbale di contravvenzione. Contesto normativo 3 L’articolo 93, comma 1-bis, del decreto legislativo del 30 aprile 1992, n. 285 – Nuovo codice della strada (supplemento ordinario alla GURI n. 114 del 18 maggio 1992), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «codice della strada»), prevede quanto segue: «Salvo quanto previsto dal comma 1-ter, è vietato, a chi ha stabilito la residenza in Italia da oltre [60] giorni, circolare con un veicolo immatricolato all’estero». 4 Dall’ordinanza di rinvio risulta che per la violazione dell’articolo 93, comma 1‑bis, di tale codice è prevista una sanzione amministrativa di importo compreso tra EUR 712 e EUR 2 848. 5 L’articolo 93, comma 1-ter, di detto codice dispone quanto segue: «Nell’ipotesi di veicolo concesso in leasing o in locazione senza conducente da parte di un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria o altra sede effettiva, nonché nell’ipotesi di veicolo concesso in comodato a un soggetto residente in Italia e legato da un rapporto di lavoro o di collaborazione con un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o aderente allo Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria od altra sede effettiva, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice doganale comunitario, a bordo del veicolo deve essere custodito un documento, sottoscritto dall’intestatario e recante data certa, dal quale risultino il titolo e la durata della disponibilità del veicolo. In mancanza di tale documento, la disponibilità del veicolo si considera in capo al conducente». 6 L’articolo 43 del codice civile, nella versione applicabile al procedimento principale, definisce la «residenza» come «il luogo in cui la persona ha la dimora abituale». Procedimento principale e questioni pregiudiziali 7 GN risiede in Italia mentre sua moglie, WX, risiede in Slovacchia. 8 Il 17 febbraio 2019, mentre WX si trovava in Italia, GN e WX utilizzavano l’autovettura di quest’ultima, immatricolata in Slovacchia, per recarsi a un supermercato. 9 L’autovettura veniva condotta inizialmente da WX, successivamente da GN. 10 In tale occasione venivano fermati e controllati dalla polizia stradale di Massa Carrara. Nel corso di tale controllo di polizia veniva elevata una contravvenzione nei confronti di GN, conducente del veicolo in questione al momento del controllo, e nei confronti di WX, in quanto proprietaria del veicolo, e veniva disposto il sequestro dell’auto per violazione dell’articolo 93, comma 1-bis, del codice della strada, in quanto GN, residente in Italia da più di 60 giorni, era alla guida di un’auto immatricolata all’estero. 11 Il giudice del rinvio rileva che, in forza del diritto nazionale applicabile, le persone che risiedono da più di 60 giorni in Italia non sono autorizzate a circolarvi con un autoveicolo immatricolato all’estero e, per farlo, sono obbligate a far immatricolare il veicolo in Italia, conformandosi a formalità amministrative complesse e costose. 12 Il giudice precisa che l’immatricolazione di un autoveicolo in Italia, oltre alle spese di immatricolazione e all’iter burocratico piuttosto complesso, obbliga l’interessato a far revisionare nuovamente il veicolo in Italia, a pagare la tassa automobilistica in Italia anche per l’anno in corso, per il quale la corrispondente tassa è già stata pagata all’estero, e ad acquistare una nuova polizza assicurativa presso una compagnia italiana. 13 Detto giudice considera che il divieto di circolazione in Italia con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale l’autoveicolo è intestato, imposto dalla normativa italiana a chiunque risieda in Italia da più di 60 giorni, costituisce una discriminazione fondata sulla cittadinanza. Inoltre, ritiene che l’obbligo di immatricolare in Italia autoveicoli già immatricolati in un altro Stato membro possa rendere difficile o limitare, in maniera indiretta ma notevole, l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione interessati, di taluni diritti sanciti dal Trattato FUE. 14 Ciò premesso, il Giudice di pace di Massa (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se la nozione di divieto di “discriminazione effettuata in base alla nazionalità”, ai sensi dell’articolo 18 TFUE, debba essere interpretata nel senso che è vietata, da parte degli Stati membri, ogni legiferazione che possa, in maniera anche indiretta, occulta e/o materiale, mettere in difficoltà i cittadini degli altri Stati membri. 2) Nel caso in cui alla prima domanda sia data risposta positiva, se il comma 1‑bis dell’articolo 93 del codice della strada, sul divieto di circolazione con targhe estere (a chiunque intestate) dopo [60] giorni di residenza in Italia, possa mettere in difficoltà i cittadini degli altri Stati membri (possessori di auto con targa estera) e conseguentemente avere natura discriminatoria in base alla nazionalità. 3) Se le nozioni di: a. “diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri” di cui all’articolo 21 TFUE; b. “mercato interno” che “comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati” di cui all’articolo 26 TFUE; c. “libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione […] assicurata” di cui all’articolo 45 TFUE; d. “restrizioni [vietate] alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro”, di cui agli articoli da 49 a 55 TFUE, e di e. “restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione […] vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione” di cui agli articoli da 56 a 62 TFUE debbano essere interpretate nel senso che le previsioni nazionali che possano, anche solo in maniera indiretta, occulta e/o materiale, limitare o rendere difficoltoso, per i cittadini europei, l’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri, del diritto di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, della libertà di stabilimento e della libertà di prestazioni dei servizi o influire in qualche modo sui suddetti diritti, sono ugualmente vietate. 4) Nel caso in cui alla terza domanda sia data risposta positiva, se il comma 1‑bis dell’articolo 93 del codice della strada, sul divieto di circolazione con targhe estere (a chiunque intestate) dopo [60] giorni di residenza in Italia, possa limitare, rendere difficoltoso o influire in qualche modo sull’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri, del diritto di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, della libertà di stabilimento e della libertà di prestazioni dei servizi». Sulle questioni pregiudiziali 15 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 18, 21, 26, 45, da 49 a 55 e da 56 a 62 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una disposizione di diritto nazionale, la quale vieta a chiunque risieda da più di 60 giorni in uno Stato membro di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona a cui tale veicolo è intestato. 16 A tal riguardo, occorre ricordare che, sebbene formalmente le questioni sollevate dal giudice del rinvio vertano sull’interpretazione degli articoli 18, 21, 26, 45, da 49 a 55 e da 56 a 62 TFUE, tale circostanza non osta a che la Corte gli fornisca tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per dirimere la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che il giudice vi abbia fatto o meno riferimento nel formulare dette questioni (v., in particolare, sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 20 e giurisprudenza ivi citata). 17 Infatti, la Corte ha già avuto modo di statuire, con riferimento a un prestito convenuto tra cittadini residenti di Stati membri diversi, che il prestito per uso transfrontaliero, a titolo gratuito, di un autoveicolo costituisce un movimento di capitali ai sensi dell’articolo 63 TFUE (sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 23 e giurisprudenza ivi citata). 18 Giacché è applicabile l’articolo 63 TFUE, che prevede specifici divieti di discriminazione, non va quindi applicato l’articolo 18 TFUE (sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 24). 19 Oltre a ciò, gli articoli da 49 a 55 TFUE, che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento, non sono pertinenti nell’ambito della controversia principale dal momento che, secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, tale controversia non riguarda né l’accesso ad attività autonome né il loro esercizio. 20 Parimenti, poiché il fascicolo sottoposto alla Corte non contiene alcun elemento che consenta di stabilire un nesso tra la situazione di cui trattasi nel procedimento principale e l’esercizio della libertà di prestazione dei servizi prevista agli articoli da 56 a 62 TFUE, neppure l’interpretazione di questi ultimi risulta rilevante ai fini della soluzione di detta controversia. 21 Inoltre, l’ordinanza di rinvio non contiene alcun elemento che consenta di stabilire un nesso tra tale situazione e l’esercizio della libera circolazione dei lavoratori, prevista all’articolo 45 TFUE. 22 Infine, dato che l’articolo 26 TFUE prevede che il mercato interno comporti uno spazio senza frontiere interne nel quale, in particolare, è assicurata la libera circolazione dei capitali secondo le disposizioni dei Trattati e che è applicabile l’articolo 63 TFUE, il primo articolo non si applica. 23 Infatti, poiché la controversia di cui al procedimento principale riguarda il prestito di un autoveicolo da parte di un residente di uno Stato membro a un residente di un altro Stato membro, occorre esaminare le questioni sollevate anzitutto alla luce dell’articolo 63 TFUE e poi, se del caso, alla luce dell’articolo 21 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 25). 24 Di conseguenza, per fornire una risposta utile al giudice del rinvio, occorre riformulare le questioni sollevate e considerare che, con tali questioni, tale giudice chiede, in sostanza, se gli articoli 21 e 63 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro da più di 60 giorni di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, qualunque sia la persona alla quale il veicolo è intestato. Sull’esistenza di una restrizione 25 Costituiscono restrizioni ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE le misure imposte da uno Stato membro atte a dissuadere i suoi residenti dal contrarre prestiti in altri Stati membri (v., in particolare, sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). 26 Ai sensi dell’articolo 93, comma 1-bis, del codice della strada, è vietato a chiunque abbia stabilito la propria residenza in Italia da oltre 60 giorni circolare con un veicolo immatricolato all’estero. 27 Di conseguenza, una persona residente in Italia da più di 60 giorni, come GN, che disponga di un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro e che intenda circolare con quest’ultimo in Italia, è tenuta a farlo immatricolare in quest’ultimo Stato membro il che, come rilevato dal giudice del rinvio, comporta il pagamento di spese e tasse nonché l’espletamento di formalità amministrative complesse. 28 Orbene, poiché l’elemento essenziale di un prestito d’uso consiste nella facoltà di utilizzare la cosa prestata, va detto che, imponendo alle persone residenti in Italia da più di 60 giorni il pagamento di un’imposta in occasione dell’utilizzo sulla rete stradale italiana di un veicolo immatricolato in un altro Stato membro, anche se quest’ultimo è stato prestato a titolo gratuito dal residente di un altro Stato membro, la normativa nazionale controversa nel procedimento principale finisce per assoggettare a imposizione i comodati d’uso transfrontaliero a titolo gratuito dei veicoli a motore (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punto 39). I comodati d’uso a titolo gratuito di un veicolo immatricolato in Italia non sono invece soggetti a tale imposta. 29 Pertanto, una siffatta differenza di trattamento, a seconda dello Stato in cui è immatricolato il veicolo concesso in comodato, è tale da dissuadere i residenti italiani dall’accettare il prestito offerto loro da residenti in un altro Stato membro di un veicolo immatricolato in quest’ultimo Stato [v., in tal senso, ordinanza del 10 settembre 2020, Wallonische Region (Immatricolazione di un veicolo concesso in comodato), da C‑41/20 a C‑43/20, non pubblicata, EU:C:2020:703, punto 48 e giurisprudenza ivi citata]. 30 Di conseguenza, la normativa nazionale menzionata al punto 24 della presente sentenza, in quanto idonea a dissuadere i residenti italiani dal contrarre prestiti in altri Stati membri, costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punti 40 e 41). Sulla giustificazione della restrizione 31 Da una giurisprudenza costante della Corte risulta che una restrizione a una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE può essere ammessa solo se persegue uno scopo legittimo compatibile con detto Trattato ed è giustificata da motivi imperativi di interesse generale. In un’ipotesi del genere occorre, inoltre, che l’applicazione di una siffatta misura sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo di cui trattasi e non ecceda quanto è necessario per raggiungerlo [v., in particolare, sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 31, e ordinanza del 23 settembre 2021, Wallonische Region (Immatricolazione di un veicolo di una società senza personalità giuridica), C‑23/21, non pubblicata, EU:C:2021:770, punto 48 e giurisprudenza ivi citata)]. 32 Il governo italiano afferma, in sostanza, che l’obiettivo della normativa di cui trattasi nel procedimento principale è quello di evitare che, mediante l’utilizzo abituale nel territorio nazionale di veicoli immatricolati all’estero, soggetti residenti e che lavorano in Italia possano commettere illeciti, quali il mancato pagamento delle tasse, delle imposte e dei pedaggi, possano eludere sanzioni o fruire di premi assicurativi più vantaggiosi, ma anche che l’identificazione degli effettivi conducenti di tali veicoli sia resa difficile, se non impossibile, per le forze di polizia deputate al controllo. 33 A questo proposito occorre ricordare che, per quanto riguarda in particolare gli obiettivi di lotta all’evasione fiscale in materia di tassa d’immatricolazione e di tassa sugli autoveicoli, la Corte ha già avuto modo di affermare che uno Stato membro può assoggettare ad un’imposta di immatricolazione un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, qualora tale veicolo sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel territorio del primo Stato membro in via permanente oppure venga, di fatto, utilizzato in tal modo (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). 34 Per contro, se tali condizioni non sono soddisfatte, il collegamento con uno Stato membro del veicolo immatricolato in un altro Stato membro risulta meno stretto, sicché si rende necessaria una diversa giustificazione della restrizione in questione (sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punto 47 e giurisprudenza ivi citata). 35 Spetta al giudice del rinvio valutare la durata dei comodati di cui al procedimento principale e la natura dell’utilizzazione effettiva dei veicoli presi in prestito (sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punto 49). 36 Inoltre, per quanto riguarda l’obiettivo di prevenire gli abusi, si evince dalla giurisprudenza della Corte che, se è vero che i cittadini non possono abusare o invocare in modo fraudolento il diritto dell’Unione, non si può basare una presunzione generale di abuso sul fatto che una persona residente in Italia utilizzi, nel territorio di tale Stato membro, un veicolo immatricolato in un altro Stato membro che gli è stato prestato a titolo gratuito da una persona residente in tale altro Stato membro [ordinanza del 10 settembre 2020, Wallonische Region (Immatricolazione di un veicolo concesso in comodato), da C‑41/20 a C‑43/20, non pubblicata, EU:C:2020:703, punto 53 e giurisprudenza ivi citata]. 37 Quanto alla giustificazione relativa al requisito dell’efficacia dei controlli stradali, richiamata dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, occorre rilevare che non risulta per quali ragioni l’identificazione degli effettivi conducenti dei veicoli immatricolati all’estero sia resa difficile, se non impossibile, per le forze di polizia deputate al controllo. 38 Inoltre, per quanto riguarda l’obiettivo consistente nel fatto che il conducente interessato non usufruisca di premi assicurativi più vantaggiosi, addotto da tale governo, non risulta né dall’ordinanza di rinvio né dalle osservazioni scritte di detto governo in che misura tale obiettivo costituisca un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato FUE e sia giustificato da motivi imperativi di interesse generale, secondo la giurisprudenza citata al punto 31 della presente sentenza. Orbene, a tal riguardo, occorre ricordare che spetta allo Stato membro che adduce un motivo che giustifichi una restrizione ad una delle libertà fondamentali garantite da tale Trattato dimostrare in concreto l’esistenza di un motivo di interesse generale (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2003, ATRAL, C‑14/02, EU:C:2003:265, punto 69). 39 Infine, secondo una giurisprudenza costante, la riduzione delle entrate fiscali non può essere considerata un motivo imperativo di interesse generale che può essere invocato per giustificare una misura che sia in linea di principio contraria a una libertà fondamentale [v., in particolare, sentenze del 7 settembre 2004, Manninen, C‑319/02, EU:C:2004:484, punto 49: del 22 novembre 2018, Sofina e a., C‑575/17, EU:C:2018:943, punto 61, nonché ordinanza del 10 settembre 2020, Wallonische Region (Immatricolazione di un veicolo concesso in comodato), da C‑41/20 a C‑43/20, non pubblicata, EU:C:2020:703, punto 55]. 40 Di conseguenza, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro da più di 60 giorni di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale il veicolo è intestato, senza tener conto della durata di utilizzo di detto veicolo nel primo Stato membro e senza che l’interessato possa far valere un diritto a un’esenzione, qualora il medesimo veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo. 41 Date tali circostanze, non è necessario pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 21 TFUE.

Sulle spese

42 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara: L’articolo 63, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro da più di 60 giorni di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale il veicolo è intestato, senza tener conto della durata di utilizzo di detto veicolo nel primo Stato membro e senza che l’interessato possa far valere un diritto a un’esenzione, qualora il medesimo veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo.

12 Gen

Codice della strada Velocità

Deve premettersi che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il limite massimo di velocità non va confuso con l’obbligo di adeguare la velocità del veicolo alle particolari circostanze di tempo e dei luoghi. Ne consegue che, mentre detto limite non può in alcun caso essere superato, anche una velocità inferiore può ben risultare inadeguata alle circostanze e costituisce ragione di responsabilità penale per colpa, se si ponga come causa di infortunio alle persone (v. ex multis Sez. 4, n. 2539 del 15/02/1996 Ud. -dep. 06/03/1996- Rv. 204178).    Sez. QUARTA PENALE, Sentenza n.7115 del 24/02/2021 (ECLI:IT:CASS:2021:7115PEN), udienza del 09/02/2021, Presidente MENICHETTI CARLA  Relatore TANGA ANTONIO LEONARDO 

28 Dic

Codice della strada : Art. 189 Cds Elemento Soggettivo

Si è di recente precisato che l’elemento soggettivo di esso può essere integrato dal dolo eventuale, ravvisabile in capo all’agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche solo la possibilità, che dall’incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all’obbligo di prestare assistenza ai feriti (cfr. sez. 4 n. 33772 del 15/6/2017, Dentice Di Accadia Capozzi, Rv. 271046, in cui la Corte, in motivazione, ha osservato che il dolo eventuale, pur configurandosi normalmente in relazione all’elemento volitivo, può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio; n. 34134 del 13/7/2007, Agostinone, Rv. 237239).   Sez. QUARTA PENALE, Sentenza n.7926 del 01/03/2021 (ECLI:IT:CASS:2021:7926PEN), udienza del 05/11/2020, Presidente IZZO FAUSTO  Relatore CIAMPI FRANCESCO MARIA 

25 Dic

Lesioni gravi o gravissime per violazione colposa delle norme sulla circolazione stradale: la procedibilità d’ufficio è (di nuovo) salva

Benché le condotte integranti il delitto di lesioni gravi o gravissime per violazione colposa delle norme in materia di circolazione stradale siano connotate da un minor disvalore rispetto a quelle caratterizzate dalla consapevole (o addirittura temeraria) assunzione di rischi irragionevoli, la procedibilità d’ufficio, anche per le prime, non è manifestamente irragionevole.

di Giuseppe Marino
Corte Cost., ord., 17 dicembre 2021, n. 244

Lo ha confermato la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 244, pubblicata il 17 dicembre 2021.

Il caso. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, comma 1, c.p., come sostituito dall’art. 1, comma 2, l. n. 41/2016 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al d.lgs. n. 285/1992, e al d.lgs. n. 274/2000), e del d.lgs. n. 36/2018 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della l. n. 103/2017) nella parte in cui non prevedono la procedibilità a querela nelle ipotesi di lesioni personali stradali gravi o gravissime per le quali la persona offesa risulti integralmente risarcita in ordine ai danni subiti a seguito dell’evento.

Le censure del rimettente. Secondo il giudice a quo, la disciplina censurata sarebbe irragionevole, sotto il duplice profilo della carenza di proporzionalità tra mezzi scelti e finalità perseguite e del mancato rispetto del canone di coerenza sistematica dell’ordinamento, in quanto essa prevede la procedibilità d’ufficio anche in relazione alle lesioni stradali gravi nei casi in cui l’autore del fatto abbia integralmente risarcito la vittima e questa abbia scelto di non proporre querela.

Essendo la circolazione stradale un’attività lecita, per compiere la quale è obbligatoria la sottoscrizione di una polizza assicurativa, ad avviso del rimettente, sarebbe eccessivo e irragionevole, oltre che contrario alla concreta offensività del fatto (art. 13, comma 2, Cost.) ed alla finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.) prevedere, a fronte di condotte non connotate da particolare allarme sociale e caratterizzate dalla generica violazione di norme in materia di circolazione stradale, l’indefettibile celebrazione del processo penale, anche in assenza di istanza punitiva della persona offesa che sia stata integralmente risarcita dei danni patiti.

La previsione indiscriminata della procedibilità d’ufficio sia per le lesioni stradali gravi ex art. 590-bis, comma 1, c.p., cui sia seguito il risarcimento del danno in favore della persona offesa, sia per le ipotesi aggravate di cui ai commi successivi della medesima disposizione, realizzerebbe, quindi, un trattamento omogeneo di situazioni differenti, in contrasto con l’art. 3 Cost., indebitamente equiparando l’automobilista c.d. modello, che abbia sempre rispettato tutte le prescrizioni all’uopo richieste dalla legge e colui il quale circoli ignorando le norme del codice della strada o, in particolare, guidi un mezzo privo di copertura assicurativa.

Il quadro normativo. La fattispecie criminosa delle lesioni personali stradali gravi o gravissime, procedibile d’ufficio, è stata introdotta dalla l. n. 41/2016. Successivamente, la l. n. 103/2017 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) ha delegato il Governo a prevedere la procedibilità a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, salva in ogni caso la procedibilità d’ufficio qualora la persona offesa sia incapace per età o per infermità, oppure ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’articolo 339 c.p.

Nell’esercitare la delega con l’adozione del d.lgs. n. 36/2018, il Governo ha omesso di annoverare tra le fattispecie oggetto della modifica del regime di procedibilità quella di cui al primo comma dell’art. 590-bis c.p., pur punita con una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni.

Violazione colposa delle norme sulla circolazione stradale: chi provoca lesioni personali gravi non può essere considerato un “automobilista modello”. Chiamata a pronunciarsi sulle questioni prospettante dal rimettente – che mirano, in sostanza, ad estendere alla fattispecie base di lesioni stradali il regime di punibilità a querela della persona offesa – la Corte ritiene che le stesse siano manifestamente infondate, essendo in larga parte analoghe a quelle già riconosciute non fondate dalla sentenza n. 248/2020.

In quella occasione, il giudice delle leggi, pur riconoscendo che le condotte indicate al primo comma dell’art. 590-bis c.p. sono connotate da un minor disvalore sul piano della condotta e del grado della colpa rispetto a quelle contemplate dai commi successivi della citata disposizione, ha ritenuto che la procedibilità d’ufficio, anche per le prime, non sia manifestamente irragionevole e, pertanto, lesiva dell’art. 3 Cost.

Ed infatti, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, non può considerarsi “automobilista modello” chi abbia violato, sia pure occasionalmente, le norme attinenti alla circolazione stradale, provocando – in conseguenza di tale violazione – lesioni personali gravi o gravissime a carico di terzi, sicché neppure sotto tale profilo la previsione della procedibilità d’ufficio potrebbe essere ritenuta manifestamente irragionevole, così come non lo è – ancor prima – la scelta legislativa di conferire rilevanza penale a una simile condotta.

Per le stesse ragioni non può considerarsi manifestante irragionevole e, pertanto, contraria all’art. 3 Cost., la scelta compiuta dal legislatore con il d.lgs. n. 36/2018 di confermare la procedibilità d’ufficio del delitto di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen., già prevista dalla legge n. 41/2016.

Esclusione della punibilità a querela: scelta discrezionale del legislatore. Analogamente, risultano manifestamente infondate le doglianze, ancora formulate in riferimento all’art. 3 Cost., ma in realtà attinenti al rapporto tra le scelte del legislatore delegato e quelle del legislatore delegante, relative alla mancata previsione della procedibilità a querela per il delitto di cui all’art. 590-bis, comma 1, c.p., per contrasto con la ratio complessiva della l. n. 103/2017 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario).

Anche a prescindere dall’incongruità del parametro evocato rispetto alla sostanza della doglianza prospettata, infatti, la Consulta ha già ritenuto – con riferimento all’allora denunciata violazione dell’art. 76 Cost. – che, nell’escludere la procedibilità a querela del delitto di cui all’art. 590-bis, comma 1, c.p., il Governo avesse adottato una interpretazione non implausibile – e non distonica rispetto alla ratio di tutela sottesa alle indicazioni del legislatore delegante – del criterio dettato dall’art. 1, comma 16, lett. a), n. 1), della l. n. 103/2017 (Corte Cost., n. 223/2019): il Governo, quindi, non ha travalicato i fisiologici margini di discrezionalità impliciti in qualsiasi legge delega, rispettando la ratio di quest’ultima e le esigenze sistematiche proprie della materia penale, tanto più che, nel caso di specie, si era al cospetto di una delega “ampia” o “vaga”.

Il regime di procedibilità non è incostituzionale, ma andrebbe rivisto. Da ultimo, risultano manifestamente infondate anche le doglianze formulate in riferimento agli artt. 13, co. 2, e 27, comma 3, Cost., per le quali manca qualsiasi autonoma motivazione rispetto ai profili di censura attinenti all’allegata violazione dell’art. 3 Cost.

Ciò nonostante, la pronuncia in commento rinnova l’auspicio che il legislatore rimediti sulla congruità dell’attuale regime di procedibilità per le diverse ipotesi di reato contemplate dall’art. 590-bis c.p. (cfr. Corte Cost., n. 223/2019 e n. 248/2020). Come detto, le violazioni di cui al primo comma sono connotate da un disvalore inferiore a quello proprio delle assai più gravi ipotesi di colpa cui si riferiscono i commi successivi dell’art. 590-bis c.p., le quali sono caratterizzate in gran parte dalla consapevole (o addirittura temeraria) assunzione di rischi irragionevoli: ad esempio, da parte di chi si ponga alla guida di un veicolo avendo assunto sostanze stupefacenti o significative quantità di alcool, ovvero superi del doppio la velocità massima consentita, circoli contromano o, ancora, inverta il senso di marcia in prossimità di una curva o di un dosso.

Inoltre, potrebbe discutersi dell’opportunità dell’indefettibile celebrazione del processo penale a prescindere dalla volontà della persona offesa, specie laddove a quest’ultima sia stato assicurato l’integrale risarcimento del danno subito; e ciò anche a fronte dell’esigenza – di grande rilievo per la complessiva efficienza della giustizia penale – di non sovraccaricare quest’ultima dell’onere di celebrare processi penali non funzionali alle istanze di tutela della vittima.
Corte Cost., ord., 17 dicembre 2021, n. 244

Presidente Amato – Relatore Viganò

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), e del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103), promosso dal Tribunale ordinario di Lecce, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di S. T., con ordinanza del 10 dicembre 2019, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 novembre 2021 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio dell’11 novembre 2021.

Ritenuto che con ordinanza del 10 dicembre 2019, il Tribunale ordinario di Lecce, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,13, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), e del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103) «nella parte in cui non prevedono la procedibilità a querela nelle ipotesi di lesioni personali stradali gravi per le quali la persona offesa risulti integralmente risarcita in ordine ai danni subiti a seguito dell’evento»;

che il rimettente deve giudicare della responsabilità di S. T., imputato del reato previsto dall’art. 590-bis cod. pen., per avere, alla guida di un’autovettura, investito il velocipede condotto da P. L., causando a quest’ultimo lesioni gravi consistite in un’emorragia subaracnoidea senza perdita di conoscenza, con pericolo di vita;

che, quanto alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo reputa sussistente la responsabilità dell’imputato in ordine al reato contestatogli, sicché un esito del processo diverso dalla condanna sarebbe prospettabile solo ove il delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. fosse procedibile a querela, dal momento che nel caso di specie essa non è stata presentata dalla persona offesa, integralmente risarcita dei danni subiti attraverso l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile;

che, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni prospettate, il rimettente rammenta che la fattispecie criminosa delle lesioni personali stradali gravi o gravissime, procedibile d’ufficio, è stata introdotta dalla legge n. 41 del 2016;

che l’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) ha successivamente delegato il Governo a prevedere la procedibilità a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, salva in ogni caso la procedibilità d’ufficio qualora la persona offesa sia incapace per età o per infermità, oppure ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’articolo 339 cod. pen.;

che, nell’esercitare la delega con l’adozione del d.lgs. n. 36 del 2018, il Governo ha omesso di annoverare tra le fattispecie oggetto della modifica del regime di procedibilità quella di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen., pur punita con una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni;

che la disciplina recata dall’art. 590-bis cod. pen. sarebbe irragionevole, sotto il duplice profilo della carenza di «proporzionalità tra mezzi scelti e finalità perseguite» e del mancato rispetto del canone di «coerenza sistematica dell’ordinamento» (è citata la sentenza di questa Corte n. 84 del 1997), in quanto essa prevede la procedibilità d’ufficio anche in relazione alle lesioni stradali gravi di cui al primo comma della disposizione, nei casi in cui l’autore del fatto abbia integralmente risarcito la vittima e questa abbia scelto di non proporre querela;

che, essendo la circolazione stradale un’attività lecita, per compiere la quale è obbligatoria la sottoscrizione di una polizza assicurativa, sarebbe eccessivo e irragionevole, oltre che contrario «al principio di eguaglianza davanti alla legge (art. 3 Cost.), alla concreta offensività del fatto (art. 13 comma 2 Cost.) ed alla finalità rieducativa della pena (art. 27 comma 3 Cost.)» prevedere, a fronte di condotte non connotate da particolare allarme sociale, quali le lesioni colpose gravi contemplate dal primo comma dell’art. 590-bis cod. pen. e caratterizzate dalla generica violazione di norme in materia di circolazione stradale, l’indefettibile celebrazione del processo penale, anche in assenza di istanza punitiva della persona offesa che sia stata integralmente risarcita dei danni patiti;

che le vittime di un sinistro stradale che abbiano riportato lesioni gravi non verserebbero per ciò stesso in una condizione di incapacità che renda impossibile la presentazione della querela nel termine trimestrale previsto dall’art. 124 cod. pen.;

che la previsione indiscriminata della procedibilità d’ufficio sia per le lesioni stradali gravi ex art. 590-bis, primo comma, cod. pen., cui sia seguito il risarcimento del danno in favore della persona offesa, sia per le ipotesi aggravate di cui ai commi successivi della medesima disposizione, realizzerebbe un trattamento omogeneo di situazioni differenti, in contrasto con l’art. 3 Cost., indebitamente equiparando «l’automobilista c.d. modello, che abbia sempre rispettato tutte le prescrizioni all’uopo richieste dalla legge» e «colui il quale circoli ignorando le norme del codice della strada o, in particolare, guidi un mezzo privo di copertura assicurativa»;

che le lesioni personali stradali, nell’ipotesi base di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen., non si connoterebbero per particolare disvalore, a differenza delle ipotesi di cui ai commi successivi, aggravate dalla violazione di regole cautelari specifiche, o dall’uso di sostanze alcooliche o stupefacenti, sicché la previsione della procedibilità d’ufficio sarebbe contraria al canone di proporzionalità;

che sarebbe incoerente mantenere la procedibilità d’ufficio in un ordinamento che consente l’estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162-ter cod. pen.) ed esclude la punibilità per la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis cod. pen.), così frustrando la «finalità deflattiva del contenzioso penale sottesa ai recenti interventi legislativi»;

che la scelta compiuta dal d.lgs. n. 36 del 2018, di non prevedere la procedibilità a querela per le lesioni stradali di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., pur essendo stata ritenuta da questa Corte, nella sentenza n. 223 del 2019, non viziata da eccesso di delega, si paleserebbe comunque contraria agli artt. 3,13, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.;

che, pur ammettendo che l’avere subito delle lesioni stradali possa compromettere la capacità della persona offesa di presentare querela, tale rischio dovrebbe considerarsi scongiurato in presenza di un documentato risarcimento del danno;

che non avere previsto, nel d.lgs. n. 36 del 2018, la procedibilità a querela nelle ipotesi in cui la persona offesa sia stata ristorata, determinerebbe un’indebita equiparazione tra l’«automobilista modello» che sia incorso in un’occasionale violazione colposa delle norme sulla circolazione stradale, ma abbia integralmente risarcito la persona offesa, e l’automobilista che circoli con un mezzo privo di copertura assicurativa e non provveda al ristoro alla vittima;

che la conservazione della procedibilità d’ufficio sarebbe ingiustificata, anche per lo scarso allarme sociale suscitato dalle condotte punite dal primo comma dell’art. 590-bis cod. pen.;

che l’attività del legislatore delegato, pur connotata da margini di discrezionalità, deve inserirsi in modo coerente nel complessivo quadro normativo, rispettando la ratio della legge delega (sono citate le sentenze di questa Corte n. 59 del 2016, n. 146 e 98 del 2015, n. 119 del 2013);

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili, improcedibili o comunque non fondate;

che il rimettente avrebbe chiesto a questa Corte un intervento additivo «del tutto improprio», mirante a legare il regime di procedibilità del reato di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. a un elemento – l’avvenuto risarcimento del danno in favore della persona offesa – «assolutamente estraneo alla fattispecie penale», eventuale e rimesso alla volontà dell’autore del reato;

che le censure mosse nei confronti del d.lgs. n 36 del 2018, pur formulate in riferimento a parametri costituzionali diversi dall’art. 76 Cost., sarebbero in realtà del tutto analoghe a quelle già disattese nella sentenza di questa Corte n. 223 del 2019, sicché esse dovrebbero ritenersi manifestamente infondate;

che parimenti da respingere sarebbero le censure indirizzate all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., in riferimento all’art. 3 Cost., non avendo il legislatore oltrepassato – nel prevedere la procedibilità d’ufficio per tale fattispecie criminosa – la soglia della manifesta irrazionalità, che sola consente il sindacato delle scelte legislative sul regime di procedibilità dei reati (sono citate le sentenze di questa Corte n. 220 del 2015 e n. 7 del 1987, le ordinanze n. 324 del 2013, n. 178 del 2003 e n. 204 del 1988);

che tale scelta legislativa risponderebbe, di contro, a una «precisa valutazione in ordine alla tutela dell’integrità fisica delle persone, in relazione alla specifica natura delle norme di cautela violate e alla gravità del danno»;

che non sussisterebbe alcuna irragionevole equiparazione tra colui che abbia stipulato l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile e colui che ne sia sprovvisto, essendo la presenza della polizza assicurativa elemento totalmente estraneo alla fattispecie di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen.;

che la circostanza che l’ordinamento riconnetta alle condotte riparatorie effetti estintivi del reato, ai sensi dell’art. 162-ter, o di attenuazione della responsabilità dell’imputato, ex art. 62, primo comma, numero 6), cod. pen., dimostrerebbe come tali condotte non possano assumere rilievo al diverso fine della procedibilità;

che le censure del rimettente riferite agli artt. 13, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. sarebbero insufficientemente argomentate e in ogni caso non fondate, inconferente essendo, in particolare, il riferimento all’art. 13, secondo comma, Cost.;

che non potrebbe ravvisarsi alcuna irragionevolezza nell’irrogazione della sanzione penale nonostante l’avvenuto risarcimento del danno patito dalla persona offesa, atteso che «l’ordinamento (salvo l’operare di istituti specifici) prevede la normale convivenza tra intervento risarcitorio e applicazione della sanzione penale»;

che l’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. si applica alle sole lesioni stradali gravi e gravissime, e non a quelle lievi, che restano perseguibili a querela di parte ex art. 590, primo comma, cod. pen.;

che le lesioni colpose gravi commesse in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 590, terzo comma, cod. pen.), anch’esse procedibili d’ufficio (sesto comma del medesimo articolo), sono punite con una pena più contenuta – atteso che si tratta di una pena alternativa – di quella prevista dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., sicché «sarebbe semmai distonico nel sistema il fatto che a parità di entità della lesione un fatto ritenuto dal legislatore più grave (perché punito più gravemente) sia procedibile a querela rispetto ad un altro fatto ritenuto dal legislatore meno grave».

Considerato che con ordinanza del 10 dicembre 2019, il Tribunale ordinario di Lecce, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,13, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274) e del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103) «nella parte in cui non prevedono la procedibilità a querela nelle ipotesi di lesioni personali stradali gravi per le quali la persona offesa risulti integralmente risarcita in ordine ai danni subiti a seguito dell’evento»;

che – sia pure attraverso un petitum che, come rilevato dall’Avvocatura generale dello Stato, parrebbe voler ancorare il regime di procedibilità alla circostanza, successiva alla commissione del reato, dell’avvenuto integrale risarcimento del reato – le questioni prospettate mirano, in sostanza, a estendere alla fattispecie base di lesioni stradali il regime di punibilità a querela della persona offesa;

che tali questioni sono manifestamente infondate;

che, infatti, censure in larga parte analoghe a quelle oggi in esame sono già state riconosciute non fondate dalla sentenza n. 248 del 2020;

che in tale occasione questa Corte, pur riconoscendo che le condotte di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen. sono connotate da «un minor disvalore sul piano della condotta e del grado della colpa» rispetto a quelle contemplate dai commi successivi della disposizione, ha ritenuto che la procedibilità d’ufficio, anche per le prime, non sia manifestamente irragionevole e, pertanto, lesiva dell’art. 3 Cost.;

che, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, non può considerarsi «automobilista modello» chi abbia violato, sia pure occasionalmente, le norme attinenti alla circolazione stradale, provocando – in conseguenza di tale violazione – lesioni personali gravi o gravissime a carico di terzi, sicché neppure sotto tale profilo la previsione della procedibilità d’ufficio potrebbe essere ritenuta manifestamente irragionevole, così come non lo è – ancor prima – la scelta legislativa di conferire rilevanza penale a una simile condotta;

che per le medesime ragioni non può considerarsi manifestante irragionevole, e pertanto contraria all’art. 3 Cost., la scelta compiuta dal legislatore con il d.lgs. n. 36 del 2018 di confermare la procedibilità d’ufficio del delitto di cui al primo comma dell’art. 590-bis cod. pen., già prevista dalla legge n. 41 del 2016;

che, del pari, manifestamente infondate sono le doglianze, ancora formulate in riferimento all’art. 3 Cost., ma in realtà attinenti al rapporto tra le scelte del legislatore delegato e quelle del legislatore delegante, relative alla mancata previsione della procedibilità a querela per il delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., per contrasto con la ratio complessiva della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario);

che infatti, anche a prescindere dall’incongruità del parametro evocato rispetto alla sostanza della doglianza prospettata, nella sentenza n. 223 del 2019 questa Corte ha già ritenuto – con riferimento all’allora denunciata violazione dell’art. 76 Cost. – che, nell’escludere la procedibilità a querela del delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., il Governo avesse adottato «una interpretazione non implausibile – e non distonica rispetto alla ratio di tutela sottesa alle indicazioni del legislatore delegante – del criterio dettato dall’art. 1, comma 16, lettera a), numero 1), della legge n. 103 del 2017»;

che manifestamente infondate sono, infine, le doglianze formulate in riferimento agli artt. 13, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., per le quali manca qualsiasi autonoma motivazione rispetto ai profili di censura attinenti all’allegata violazione dell’art. 3 Cost., essi stessi manifestamente infondati per le ragioni di cui si è detto;

che resta attuale, peraltro, l’auspicio che il legislatore rimediti sulla congruità dell’attuale regime di procedibilità per le diverse ipotesi di reato contemplate dall’art. 590-bis cod. pen., per le ragioni già illustrate nelle sentenze n. 223 del 2019 e n. 248 del 2020.

Per Questi Motivi

La Corte Costituzionale

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274) e del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a e b, e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103), sollevate, in riferimento agli artt. 3,13, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce, sezione prima penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Fonte Diritto e Giustizia

19 Dic

Sinistri stradali: il terzo trasportato coinvolto non può testimoniare

di A.Villafrate

Per la Cassazione, la terza trasportata coinvolta in maniera diretta nel sinistro non può testimoniare perché portatrice di un interesse che la legittima a diventare parte

La terza trasportata coinvolta direttamente in un sinistro stradale non può testimoniare nella causa intrapresa dalla proprietaria del veicolo danneggiato che la trasportava. Questo perché il terzo, in un caso come questo, ha un interesse concreto, attuale e personale ad agire in giudizio che lo rende incompatibile con il ruolo di testimone. Puntualizzazioni contenute nell’ordinanza della Cassazione n. 35552/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale
A causa di un sinistro stradale una donna aziona una causa di risarcimento per i danni riportati al proprio veicolo nei confronti di due enti comunali. Il giudice di primo e quello di secondo grado però rigettano le richieste risarcitorie dell’attrice. Il giudice dell’impugnazione evidenzia la correttezza della decisione di primo grado nel ritenere incapace a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c l’unica testimone in quanto terza trasportata all’interno del veicolo danneggiato.

Contestata la decisione sull’incapacità a testimoniare

La ricorrente nel ricorrere in Cassazione contesta quindi con un unico motivo l’erronea conclusione del giudice di appello, nel ritenere incapace di testimoniare la donna trasportata sul veicolo danneggiato, in quanto la stessa, per il giudicante, sarebbe portatrice di un interesse concreto e attuale a prendere parte al giudizio.

Chi può essere parte di un processo non può testimoniare

Per la Cassazione il ricorso è manifestamente infondato perché secondo il consolidato orientamento della stessa un soggetto, ai sensi dell’art 246 c.p.c, è incapace di testimoniare quando è titolare di un interesse personale, ma anche attuale e concreto che lo vede coinvolto del rapporto controverso, qualificabile come interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c, che lo legittima a prendere parte al giudizio in cui gli è stato chiesto di rendere testimonianza.

Correttamente il giudice ha concluso per l’incapacità a testimoniare della teste, stante il suo diretto coinvolgimento del sinistro, nella veste di terza trasportata.

In casi come quello di specie, precisano gli Ermellini, il terzo non può non essere considerato come portatore di un interesse in grado di prendere al giudizio. Lo stesso non risulta portatore di un interesse attuale e concreto solo se risulta non avere riportato danni “all’eventuale riscontro della fondatezza nel merito della prospettabile pretesa avanzabile in sede di partecipazione al giudizio e non già al riscontro della legittimazione a detta partecipazione, cui sola è riferita la previsione di cui all’art. 246 c.p.c.”

L’art 246 c.pc infatti, ricordiamolo, prevede che “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.”

La norma in pratica sancisce l’incompatibilità tra la posizione di parte, anche solo in via potenziale e di testimone. L’interesse in causa a cui fa riferimento la norma è quello di cui all’art. 100 sull’interesse ad agire, che rappresenta una delle condizioni determinanti l’ipotetica accoglibilità della domanda.

L’interesse che impedisce la testimonianza deve essere, come precisato anche dalla Cassazione, personale, concreto e attuale, tanto da legittimare una partecipazione al giudizio mediante un intervento principale, un intervento adesivo autonomo o adesivo dipendente in base a quanto previsto dall’art. 105.

Fonte Studio Cataldi

15 Dic

Cds: Smartphone espressamente vietato al volante

di A. Villafrate

Il decreto infrastrutture, convertito nella legge n. 156/2021 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 267 del 09.11.2021, interviene su alcune norme di comportamento contenute nel Codice della Strada.

Ricordiamo che le norme di comportamento sono contenute nel titolo V del Codice della Strada dall’art. 140 all’art. 193.

L’art. 140 apre il titolo sancendo il principio informatore base della circolazione stradale in base al quale ciascun utente della strada non deve costituire un pericolo o un intralcio per la circolazione perché è necessario salvaguardare sempre la sicurezza.

I singoli comportamenti vengono poi specificati dalle diverse norme del Codice della Strada, alcune delle quali sono contenute nelle disposizioni successive all’art. 140.

Tra queste figura l’art. 173, dedicato all’uso delle lenti o di apparecchi determinate durante la guida. Su questo, come su altri articoli del titolo V, è intervenuto il decreto infrastrutture, con l’obiettivo di rendere ancora più sicura la guida e quindi la circolazione su strada.

Niente smartphone mentre si guida

Il testo interviene sull’art. 173 del Codice della Strada andando a modificare in particolare il comma 2 della norma.

La formulazione del comma 2 dell’art. 173 ante riforma così recitava: “E’ vietato al conducente di far uso durante la marcia di apparecchi radiotelefonici ovvero di usare cuffie sonore, fatta eccezione per i conducenti dei veicoli delle Forze armate e dei Corpi di cui all’art. 138, comma 11, e di polizia. E’ consentito l’uso di apparecchi a viva voce o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguata capacità uditiva ad entrambe le orecchie che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani.”

Questo comma, già modificato dalla legge n. 168/2002 e dalla legge n. 11/2012, viene da ultimo modificato dal decreto infrastrutture il quale, dopo la parola “apparecchi radiofonici” aggiunge le seguenti “smartphone, computer portatili, notebook, tablet e dispositivi analoghi che comportino anche solo temporaneamente l’allontanamento delle mani dal volante”.

In questo modo si amplia lo spettro dei dispositivi che non possono essere utilizzati mentre il conducente è alla guida, per evitare che le mani siano occupate in funzioni diverse e che l’uso degli apparecchi rappresenti una fonte di distrazione pericolosa per il conducente.

Il decreto infrastrutture nell’introdurre questo elemento di novità recepisce il contenuto di alcune sentenze, che anche di recente si sono espresse negativamente sull’uso di apparecchi elettronici durante la guida. Tale condotta infatti, contraria alle norme di comune prudenza richiesta agli utenti della strada, altera inevitabilmente la soglia di attenzione con conseguente aumento delle probabilità di provocare sinistri stradali e quindi di vedersi aumentare il premio assicurativo.

Nessun aumento delle sanzioni

Per quanto riguarda poi la violazione del divieto di uso dello smartphone alla guida era emersa negli scorsi mesi anche l’ipotesi di aumentare le sanzioni previste attualmente dall’art 173 del Codice della Strada.

Dal testo definitivo del decreto infrastrutture però non emerge nessuna novità al riguardo, così come non è stata introdotta la sospensione della patente come sanzione accessoria dopo la prima violazione.

Ne consegue che la multa per questa infrazione è la stessa contemplata dal comma 3 bis dell’art. 173 del Codice della Strada, ossia “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 165 a euro 660” e “la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi, qualora lo stesso soggetto compia un’ulteriore violazione nel corso di un biennio.”

Fonte Studio Cataldi

15 Dic

Cds: L’accertamento effettuato mediante autovelox è atto dell’organo di polizia stradale

Il giudice di merito deve accertare se l’assistenza tecnica della società noleggiatrice sia limitata all’installazione e impostazione del dispositivo, mentre l’accertamento della violazione riservato ai pubblici ufficiali, può essere solo supportato e non sostanzialmente sostituto dall’operatore privato.

di Fabio Piccioni
Cass. civ., sez. II, sent., 3 dicembre 2021, n. 38276

Il caso. La vicenda sottostante alla pronuncia in commento riguarda l’illecito di cui all’art. 142 c. 8 c.d.s.,concernente la violazione dei limiti di velocità.
Avverso il relativo verbale veniva presentata opposizione con cui si contestava la legittimità del rilevamento in quanto l’autovelox non era di proprietà, né nella disponibilità, dell’organo accertatore. Si costituiva l’Amministrazione.

Cass. civ., sez. II, sent., 3 dicembre 2021, n. 38276
Presidente Lombardo – Relatore Giannaccari

Fatti di causa

  1. Il giudizio trae origine dal verbale di contestazione, elevato in data (OMISSIS) dalla Polizia Municipale del Comune di Arborea a S.R. per violazione dell’
    art. 142 C.d.S., comma 8 per aver viaggiato ad una velocità superiore al limite consentito; l’accertamento era avvenuto tramite rilevatore della velocità.

Fonte Diritto e Giustizia