Autore: Redazione web

31 Gen

Bodycam e polizia

Via libera alle telecamere indossabili per i reparti mobili speciali.
di Stefano Manzelli

Le forze di polizia impegnate in attività di ordine pubblico ora hanno a disposizione le bodycam ovvero un moderno sistema tecnologico di prevenzione e repressione dei reati da utilizzare solo in particolari condizioni di rischio. In ogni caso le immagini catturate non sono considerate dati biometrici e potranno essere conservate per un periodo massimo di sei mesi.

Lo ha evidenziato il Ministero dell’interno con la circolare prot. 555/III-OP/DIV.1° del 18 gennaio 2022 e le relative linee guida.

31 Gen

Videosorveglianza; le regole del Garante privacy


Gabriella Lax

In una scheda l’Authority dà le indicazioni per le persone fisiche che intendono installare, in ambito personale o domestico, sistemi di videosorveglianza a tutela della sicurezza di persone o beni

telecamere nel cortile di un condominio

Sono contenute in una scheda le indicazioni per le persone fisiche che intendono installare, in ambito personale o domestico, sistemi di videosorveglianza a tutela della sicurezza di persone o beni. A stabilirlo è il Garante per la protezione dei dati personali.

Il vademecum dell’autorità fa parte delle iniziative dell’Autorità per migliorare e facilitare la conoscenza della normativa in materia di protezione dei dati personali – è disponibile sul sito istituzionale del Garante, nella pagina tematica https://www.gpdp.it/temi/videosorveglianza.

Le indicazioni del Garante

Le persone fisiche possono, nell’ambito di attività di carattere personale o domestico, attivare sistemi di videosorveglianza a tutela della sicurezza di persone o beni senza alcuna autorizzazione e formalità, purché: le telecamere siano idonee a riprendere solo aree di propria esclusiva pertinenza; vengano attivate misure tecniche per oscurare porzioni di immagini in tutti i casi in cui, per tutelare adeguatamente la sicurezza propria o dei propri beni, sia inevitabile riprendere parzialmente anche aree di terzi; nei casi in cui sulle aree riprese insista una servitù di passaggio in capo a terzi, sia acquisito formalmente (una tantum) il consenso del soggetto titolare di tale diritto.

Sistemi di videosorveglianza, cosa non si può fare

Al contrario, le persone fisiche non potranno nell’ambito di attività di carattere personale o domestico, attivare sistemi di videosorveglianza nel caso in cui si trattino aree condominiali comuni o di terzi; ripresa aree aperte al pubblico (strade pubbliche o aree di pubblico passaggio); comunicazione a terzi o di diffusione le immagini riprese.

Fonte Studio Cataldi

23 Gen

Dal 1° febbraio 2022 cambiano le regole per la circolazione dei veicoli immatricolati all’estero

La l. n. 238/2021 recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2019-2020, in vigore dall’1/2/2022, reca all’art. 2 una serie di Disposizioni in materia di circolazione in Italia di veicoli immatricolati all’estero, che comportano nuove modifiche al Codice della strada.
di Fabio Piccioni

Innanzitutto, si procede, previa abrogazione, all’integrale smantellamento della riforma recata dalla legge di conversione del d.l. n. 113/2018
, decreto sicurezza, per combattere il fenomeno della c.d. estero-vestizione dei veicoli, in ordine al quale erano state sollevate alcune eccezioni in sede comunitaria.

Fonte Diritto e Giustizia

23 Gen

La responsabilità nei tamponamenti a catena

di Lucia Izzo

A chi va addebitata la responsabilità del sinistro quando sono coinvolti più veicoli. Guida alla responsabilità nei tamponamenti a catena
infortunio incidente rc auto assicurazioni

Il tamponamento è un tipo di sinistro stradale che si realizza quando un veicolo con la sua parte anteriore urta la parte posteriore di un altro veicolo che lo precede in strada.

In questi casi, la responsabilità viene normalmente addebitata in capo al veicolo che ha dato luogo al tamponamento, poiché l’art. 141 del Codice della Strada afferma che “è obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione”.

Pertanto, si presume che la colpa sia di chi tampona, a causa dell’inosservanza delle prescritte distanze di sicurezza che avrebbero consentito un adeguato spazio di frenatura e manovra; ciò a meno che il tamponatore non dimostri che il sinistro si è verificato per causa a lui non imputabile (ad es. a causa di un comportamento abnorme della vettura tamponata).

La responsabilità nel tamponamento multiplo “a catena”

Ipotesi molto frequente e maggiormente problematica per quanto riguarda l’individuazione del “colpevole” è quella dei cc.dd. tamponamenti a catena, ovverosia quelli che coinvolgono diverse autovetture l’una dietro l’altra.

In simili ipotesi, per individuare il responsabile, è necessario effettuare una distinzione tra il sinistro avvenuto tra veicoli fermi in colonna e quello avvenuto tra veicoli in movimento.

Tamponamento a catena tra veicoli fermi

Nell’ipotesi di colonna di veicoli ferma (ad esempio perché in coda dinanzi a un semaforo rosso, bloccati nel traffico, ecc.) la giurisprudenza ha ritenuto che la responsabilità vada addebitata al conducente dell’ultimo veicolo, ossia a colui che, con la sua condotta, genera la prima collisione dalla quale promanano i successivi tamponamenti.

Pertanto, in caso di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile delle conseguenze delle collisioni è il conducente che le abbia determinate tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna (cfr. Cass., n. 8646/2003; Cass., n. 18234/2008).

Le richieste risarcitorie andranno, pertanto, rivolte al veicolo che ha cagionato il primo tamponamento.

Tamponamento a catena tra veicoli in movimento

Diverso è il caso in cui il tamponamento a catena coinvolga autoveicoli in movimento.

In simile ipotesi, per giurisprudenza costante (si veda, da ultimo, Cass. 27 aprile 2015 n. 8481) occorre fare riferimento all’art. 2054 c.c., comma 2 il quale sancisce che “nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”.

Di conseguenza, opera la presunzione iuris tantum di colpa in forza della quale devono ritenersi responsabili del sinistro, in eguale misura, entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), a causa dell’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante (Cass., n. 4021/2013).

In pratica, la presunzione fa scattare in capo ad ogni conducente la responsabilità nei confronti del veicolo che gli sta davanti, per i danni che questa abbia subito nella sua parte posteriore.

Prova liberatoria

In caso di tamponamenti a catena di veicoli in movimento, il rinvio all’articolo 2054 c.c. lascia salva la possibilità di fornire adeguata prova liberatoria e di essere così tenuto indenne all’addebito di responsabilità.

Tale prova avrà come oggetto l’aver fatto tutto il possibile, una volta tamponati, per evitare di tamponare il veicolo davanti, rispetto al quale erano comunque rispettate le distanze di sicurezza.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui si riesca a provare che l’urto con il veicolo anteriore non sia derivato dall’eccessiva vicinanza con lo stesso ma solo ed esclusivamente dall’eccessiva velocità del veicolo proveniente da tergo.

Resta da dire che, come è evidente, il primo veicolo della colonna (il quale viene tamponato, ma non tampona nessun altro) non avrà mai alcuna responsabilità.

Tamponamento a catena e indennizzo diretto

L’ipotesi del tamponamento a catena, vedendo il coinvolgimento di più veicoli, rientra tra quelle che esulano dal campo di applicazione del sistema del cd. indennizzo diretto.

Di conseguenza, la domanda risarcitoria non andrà mai inoltrata alla propria compagnia di assicurazione.

A seconda dei casi, occorrerà rivolgersi o al veicolo direttamente tamponante (in ipotesi di veicoli in movimento) o all’ultimo veicolo, che ha dato origine all’incidente complessivo (in ipotesi di veicoli incolonnati in sosta).

Il trasportato su uno dei veicoli coinvolti, tuttavia, dovrà sempre richiedere i danni alla compagnia che assicura il mezzo sul quale si trovava al momento dello scontro.

Il tamponamento a catena nella giurisprudenza

Ecco alcune sentenze interessanti che si sono occupate di tamponamento a catena:
Cassazione n. 4304/2021

Nell’ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento, trova applicazione l’art. 2054, secondo comma, cod. civ., con conseguente presunzione “iuris tantum” di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, mentre c) nel caso di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa (Cass., 19/02/2013, n. 4021, Cass., 15/06/2018, n. 15788).
Cassazione n. 15788/2018
In tema di circolazione stradale, nell’ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l’art. 2054, comma 2, c.c., con conseguente presunzione iuris tantum di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nel caso, invece, di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa.
Cassazione n. 22813/2017

La pretesa violazione dell’art. 2054 2° co. c.c. non sussiste, in quanto esso ha funzione meramente sussidiaria, operando solo nel caso in cui non sono accertabili, mediante indagini specifiche sulle concrete modalità del sinistro, le singole responsabilità. In altri termini la presunzione rileva quando non sia possibile accertare l’incidenza delle singole colpe nella causazione dell’evento e non è possibile stabilire la proporzione tra le colpe concorrenti dei conducenti.

Cassazione n. 4021/2013

In tema di circolazione stradale, nell’ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l’art. 2054, comma 2, c.c., con conseguente presunzione iuris tantum di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nel caso, invece, di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa.

Cassazione n. 7804/2010

In tema di tamponamento a catena sull’autostrada, spetta al conducente dimostrare che il mancato tempestivo arresto del veicolo e la collisione sono stati provocati dalla presenza di una chiazza di gasolio sull’asfalto; l’incidente, infatti, pone a carico dell’automobilista una presunzione “de facto” di inosservanza della distanza di sicurezza, escludendo, pertanto, l’applicazione della presunzione di pari colpa di cui dell’art. 2054 c.c.

Corte d’appello Milano n. 463/2008

È corretta l’attribuzione del 10% di corresponsabilità all’automobilista che, coinvolto in un tamponamento a catena, con l’auto in avaria in ultima posizione, viene travolto da altra auto sopraggiunta per essersi trattenuto sulla sede stradale, anziché mettersi al riparo, come aveva fatto la moglie, assumendo di essersi voluto occupare di eventuali feriti, circostanza rivelatasi non vera, ma piuttosto per indulgere a constatare l’entità dei guasti, mentre egli avrebbe dovuto subito allontanarsi, essendo del tutto prevedibile l’arrivo di altre vetture e notorio che la velocità delle vetture in autostrada è elevata con rischio di difficile o mancato controllo dei mezzi.

Trib. Milano 6 giugno 1994

Nel tamponamento a catena di veicoli, qualora manchi la prova della presunzione di causazione di ciascun danno, trova applicazione il principio della presunzione di cui all’art. 2054, comma 2 c.c. secondo il quale deve presumersi che tutti i conducenti, la cui condotta colposa potrebbe avere causato il danno in questione, abbiano ugualmente concorso alla sua produzione. Al contempo, la presunzione semplice di pari responsabilità di cui all’art. 2054 c.c. rimane assorbita o superata dalla presunzione “de facto” dell’inosservanza della distanza di sicurezza a carico del conducente del veicolo che segue, sicché il conducente del veicolo che precede va ritenuto non responsabile della collisione, a meno che risulti che egli non abbia lasciato al conducente dell’auto che lo segue alcuna possibilità di manovrare utilmente per evitare l’evento dannoso.

Fonte Studio Cataldi

23 Gen

La scheda informativa del Garante Privacy sui sistemi di videosorveglianza in ambito domestico

Il Garante Privacy ha pubblicato una scheda informativa con le indicazioni riguardo l’istallazione, in ambito personale e domestico, dei sistemi di videosorveglianza.

Il Garante Privacy ha pubblicato una scheda informativa dove è possibile reperire le principali indicazioni dell’Autorità riguardo l’istallazione, in ambito domestico, dei sistemi di videosorveglianza a tutela della sicurezza delle persone o dei beni.

In base a quanto indicato nella scheda, le persone fisiche potranno attivare sistemi di videosorveglianza nell’ambito di attività di carattere personale o domestico, purché: le telecamere siano idonee a riprendere solo aree di propria esclusiva pertinenza; vengano attivate misure tecniche per oscurare porzioni di immagini in tutti i casi in cui, per tutelare adeguatamente la sicurezza propria o dei propri beni, sia inevitabile riprendere parzialmente anche aree di terzi; nei casi in cui sulle aree riprese insista una servitù di passaggio in capo a terzi, sia acquisito formalmente (una tantum) il consenso del soggetto titolare di tale diritto; Invece, non potranno essere oggetto di ripresa alcune aree, come quelle condominiali o le strade pubbliche. In ultimo, è vietata la diffusione delle immagini riprese a terzi.

Fonte Diritto e Giustizia

17 Gen

Il divieto ai residenti di circolare con veicolo immatricolato all’estero costituisce una restrizione alla libera circolazione di capitali

L’art. 63, par. 1, TFUE osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato da più di 60 giorni di circolarvi con un veicolo immatricolato in un altro Stato membro, senza tener conto della durata di utilizzo di detto veicolo nel primo Stato membro e senza che l’interessato possa far valere un diritto a un’esenzione, qualora il veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo.
di Fabio Piccioni

Corte di Giustizia UE, sez. VI, 16 dicembre 2021, n. C-274/20

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Corte di Giustizia UE, sez. VI, 16 dicembre 2021, n. C-274/20

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 18, 21, 26, 45, da 49 a 55 e da 56 a 62 TFUE. 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone GN e WX alla Prefettura di Massa Carrara – Ufficio Territoriale del Governo di Massa Carrara (Italia) in merito ad un verbale di contravvenzione. Contesto normativo 3 L’articolo 93, comma 1-bis, del decreto legislativo del 30 aprile 1992, n. 285 – Nuovo codice della strada (supplemento ordinario alla GURI n. 114 del 18 maggio 1992), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «codice della strada»), prevede quanto segue: «Salvo quanto previsto dal comma 1-ter, è vietato, a chi ha stabilito la residenza in Italia da oltre [60] giorni, circolare con un veicolo immatricolato all’estero». 4 Dall’ordinanza di rinvio risulta che per la violazione dell’articolo 93, comma 1‑bis, di tale codice è prevista una sanzione amministrativa di importo compreso tra EUR 712 e EUR 2 848. 5 L’articolo 93, comma 1-ter, di detto codice dispone quanto segue: «Nell’ipotesi di veicolo concesso in leasing o in locazione senza conducente da parte di un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria o altra sede effettiva, nonché nell’ipotesi di veicolo concesso in comodato a un soggetto residente in Italia e legato da un rapporto di lavoro o di collaborazione con un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o aderente allo Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria od altra sede effettiva, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice doganale comunitario, a bordo del veicolo deve essere custodito un documento, sottoscritto dall’intestatario e recante data certa, dal quale risultino il titolo e la durata della disponibilità del veicolo. In mancanza di tale documento, la disponibilità del veicolo si considera in capo al conducente». 6 L’articolo 43 del codice civile, nella versione applicabile al procedimento principale, definisce la «residenza» come «il luogo in cui la persona ha la dimora abituale». Procedimento principale e questioni pregiudiziali 7 GN risiede in Italia mentre sua moglie, WX, risiede in Slovacchia. 8 Il 17 febbraio 2019, mentre WX si trovava in Italia, GN e WX utilizzavano l’autovettura di quest’ultima, immatricolata in Slovacchia, per recarsi a un supermercato. 9 L’autovettura veniva condotta inizialmente da WX, successivamente da GN. 10 In tale occasione venivano fermati e controllati dalla polizia stradale di Massa Carrara. Nel corso di tale controllo di polizia veniva elevata una contravvenzione nei confronti di GN, conducente del veicolo in questione al momento del controllo, e nei confronti di WX, in quanto proprietaria del veicolo, e veniva disposto il sequestro dell’auto per violazione dell’articolo 93, comma 1-bis, del codice della strada, in quanto GN, residente in Italia da più di 60 giorni, era alla guida di un’auto immatricolata all’estero. 11 Il giudice del rinvio rileva che, in forza del diritto nazionale applicabile, le persone che risiedono da più di 60 giorni in Italia non sono autorizzate a circolarvi con un autoveicolo immatricolato all’estero e, per farlo, sono obbligate a far immatricolare il veicolo in Italia, conformandosi a formalità amministrative complesse e costose. 12 Il giudice precisa che l’immatricolazione di un autoveicolo in Italia, oltre alle spese di immatricolazione e all’iter burocratico piuttosto complesso, obbliga l’interessato a far revisionare nuovamente il veicolo in Italia, a pagare la tassa automobilistica in Italia anche per l’anno in corso, per il quale la corrispondente tassa è già stata pagata all’estero, e ad acquistare una nuova polizza assicurativa presso una compagnia italiana. 13 Detto giudice considera che il divieto di circolazione in Italia con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale l’autoveicolo è intestato, imposto dalla normativa italiana a chiunque risieda in Italia da più di 60 giorni, costituisce una discriminazione fondata sulla cittadinanza. Inoltre, ritiene che l’obbligo di immatricolare in Italia autoveicoli già immatricolati in un altro Stato membro possa rendere difficile o limitare, in maniera indiretta ma notevole, l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione interessati, di taluni diritti sanciti dal Trattato FUE. 14 Ciò premesso, il Giudice di pace di Massa (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se la nozione di divieto di “discriminazione effettuata in base alla nazionalità”, ai sensi dell’articolo 18 TFUE, debba essere interpretata nel senso che è vietata, da parte degli Stati membri, ogni legiferazione che possa, in maniera anche indiretta, occulta e/o materiale, mettere in difficoltà i cittadini degli altri Stati membri. 2) Nel caso in cui alla prima domanda sia data risposta positiva, se il comma 1‑bis dell’articolo 93 del codice della strada, sul divieto di circolazione con targhe estere (a chiunque intestate) dopo [60] giorni di residenza in Italia, possa mettere in difficoltà i cittadini degli altri Stati membri (possessori di auto con targa estera) e conseguentemente avere natura discriminatoria in base alla nazionalità. 3) Se le nozioni di: a. “diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri” di cui all’articolo 21 TFUE; b. “mercato interno” che “comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati” di cui all’articolo 26 TFUE; c. “libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione […] assicurata” di cui all’articolo 45 TFUE; d. “restrizioni [vietate] alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro”, di cui agli articoli da 49 a 55 TFUE, e di e. “restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione […] vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione” di cui agli articoli da 56 a 62 TFUE debbano essere interpretate nel senso che le previsioni nazionali che possano, anche solo in maniera indiretta, occulta e/o materiale, limitare o rendere difficoltoso, per i cittadini europei, l’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri, del diritto di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, della libertà di stabilimento e della libertà di prestazioni dei servizi o influire in qualche modo sui suddetti diritti, sono ugualmente vietate. 4) Nel caso in cui alla terza domanda sia data risposta positiva, se il comma 1‑bis dell’articolo 93 del codice della strada, sul divieto di circolazione con targhe estere (a chiunque intestate) dopo [60] giorni di residenza in Italia, possa limitare, rendere difficoltoso o influire in qualche modo sull’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri, del diritto di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, della libertà di stabilimento e della libertà di prestazioni dei servizi». Sulle questioni pregiudiziali 15 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 18, 21, 26, 45, da 49 a 55 e da 56 a 62 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una disposizione di diritto nazionale, la quale vieta a chiunque risieda da più di 60 giorni in uno Stato membro di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona a cui tale veicolo è intestato. 16 A tal riguardo, occorre ricordare che, sebbene formalmente le questioni sollevate dal giudice del rinvio vertano sull’interpretazione degli articoli 18, 21, 26, 45, da 49 a 55 e da 56 a 62 TFUE, tale circostanza non osta a che la Corte gli fornisca tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per dirimere la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che il giudice vi abbia fatto o meno riferimento nel formulare dette questioni (v., in particolare, sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 20 e giurisprudenza ivi citata). 17 Infatti, la Corte ha già avuto modo di statuire, con riferimento a un prestito convenuto tra cittadini residenti di Stati membri diversi, che il prestito per uso transfrontaliero, a titolo gratuito, di un autoveicolo costituisce un movimento di capitali ai sensi dell’articolo 63 TFUE (sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 23 e giurisprudenza ivi citata). 18 Giacché è applicabile l’articolo 63 TFUE, che prevede specifici divieti di discriminazione, non va quindi applicato l’articolo 18 TFUE (sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 24). 19 Oltre a ciò, gli articoli da 49 a 55 TFUE, che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento, non sono pertinenti nell’ambito della controversia principale dal momento che, secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, tale controversia non riguarda né l’accesso ad attività autonome né il loro esercizio. 20 Parimenti, poiché il fascicolo sottoposto alla Corte non contiene alcun elemento che consenta di stabilire un nesso tra la situazione di cui trattasi nel procedimento principale e l’esercizio della libertà di prestazione dei servizi prevista agli articoli da 56 a 62 TFUE, neppure l’interpretazione di questi ultimi risulta rilevante ai fini della soluzione di detta controversia. 21 Inoltre, l’ordinanza di rinvio non contiene alcun elemento che consenta di stabilire un nesso tra tale situazione e l’esercizio della libera circolazione dei lavoratori, prevista all’articolo 45 TFUE. 22 Infine, dato che l’articolo 26 TFUE prevede che il mercato interno comporti uno spazio senza frontiere interne nel quale, in particolare, è assicurata la libera circolazione dei capitali secondo le disposizioni dei Trattati e che è applicabile l’articolo 63 TFUE, il primo articolo non si applica. 23 Infatti, poiché la controversia di cui al procedimento principale riguarda il prestito di un autoveicolo da parte di un residente di uno Stato membro a un residente di un altro Stato membro, occorre esaminare le questioni sollevate anzitutto alla luce dell’articolo 63 TFUE e poi, se del caso, alla luce dell’articolo 21 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 25). 24 Di conseguenza, per fornire una risposta utile al giudice del rinvio, occorre riformulare le questioni sollevate e considerare che, con tali questioni, tale giudice chiede, in sostanza, se gli articoli 21 e 63 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro da più di 60 giorni di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, qualunque sia la persona alla quale il veicolo è intestato. Sull’esistenza di una restrizione 25 Costituiscono restrizioni ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE le misure imposte da uno Stato membro atte a dissuadere i suoi residenti dal contrarre prestiti in altri Stati membri (v., in particolare, sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). 26 Ai sensi dell’articolo 93, comma 1-bis, del codice della strada, è vietato a chiunque abbia stabilito la propria residenza in Italia da oltre 60 giorni circolare con un veicolo immatricolato all’estero. 27 Di conseguenza, una persona residente in Italia da più di 60 giorni, come GN, che disponga di un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro e che intenda circolare con quest’ultimo in Italia, è tenuta a farlo immatricolare in quest’ultimo Stato membro il che, come rilevato dal giudice del rinvio, comporta il pagamento di spese e tasse nonché l’espletamento di formalità amministrative complesse. 28 Orbene, poiché l’elemento essenziale di un prestito d’uso consiste nella facoltà di utilizzare la cosa prestata, va detto che, imponendo alle persone residenti in Italia da più di 60 giorni il pagamento di un’imposta in occasione dell’utilizzo sulla rete stradale italiana di un veicolo immatricolato in un altro Stato membro, anche se quest’ultimo è stato prestato a titolo gratuito dal residente di un altro Stato membro, la normativa nazionale controversa nel procedimento principale finisce per assoggettare a imposizione i comodati d’uso transfrontaliero a titolo gratuito dei veicoli a motore (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punto 39). I comodati d’uso a titolo gratuito di un veicolo immatricolato in Italia non sono invece soggetti a tale imposta. 29 Pertanto, una siffatta differenza di trattamento, a seconda dello Stato in cui è immatricolato il veicolo concesso in comodato, è tale da dissuadere i residenti italiani dall’accettare il prestito offerto loro da residenti in un altro Stato membro di un veicolo immatricolato in quest’ultimo Stato [v., in tal senso, ordinanza del 10 settembre 2020, Wallonische Region (Immatricolazione di un veicolo concesso in comodato), da C‑41/20 a C‑43/20, non pubblicata, EU:C:2020:703, punto 48 e giurisprudenza ivi citata]. 30 Di conseguenza, la normativa nazionale menzionata al punto 24 della presente sentenza, in quanto idonea a dissuadere i residenti italiani dal contrarre prestiti in altri Stati membri, costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punti 40 e 41). Sulla giustificazione della restrizione 31 Da una giurisprudenza costante della Corte risulta che una restrizione a una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE può essere ammessa solo se persegue uno scopo legittimo compatibile con detto Trattato ed è giustificata da motivi imperativi di interesse generale. In un’ipotesi del genere occorre, inoltre, che l’applicazione di una siffatta misura sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo di cui trattasi e non ecceda quanto è necessario per raggiungerlo [v., in particolare, sentenza del 29 ottobre 2015, Nagy, C‑583/14, EU:C:2015:737, punto 31, e ordinanza del 23 settembre 2021, Wallonische Region (Immatricolazione di un veicolo di una società senza personalità giuridica), C‑23/21, non pubblicata, EU:C:2021:770, punto 48 e giurisprudenza ivi citata)]. 32 Il governo italiano afferma, in sostanza, che l’obiettivo della normativa di cui trattasi nel procedimento principale è quello di evitare che, mediante l’utilizzo abituale nel territorio nazionale di veicoli immatricolati all’estero, soggetti residenti e che lavorano in Italia possano commettere illeciti, quali il mancato pagamento delle tasse, delle imposte e dei pedaggi, possano eludere sanzioni o fruire di premi assicurativi più vantaggiosi, ma anche che l’identificazione degli effettivi conducenti di tali veicoli sia resa difficile, se non impossibile, per le forze di polizia deputate al controllo. 33 A questo proposito occorre ricordare che, per quanto riguarda in particolare gli obiettivi di lotta all’evasione fiscale in materia di tassa d’immatricolazione e di tassa sugli autoveicoli, la Corte ha già avuto modo di affermare che uno Stato membro può assoggettare ad un’imposta di immatricolazione un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, qualora tale veicolo sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel territorio del primo Stato membro in via permanente oppure venga, di fatto, utilizzato in tal modo (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). 34 Per contro, se tali condizioni non sono soddisfatte, il collegamento con uno Stato membro del veicolo immatricolato in un altro Stato membro risulta meno stretto, sicché si rende necessaria una diversa giustificazione della restrizione in questione (sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punto 47 e giurisprudenza ivi citata). 35 Spetta al giudice del rinvio valutare la durata dei comodati di cui al procedimento principale e la natura dell’utilizzazione effettiva dei veicoli presi in prestito (sentenza del 26 aprile 2012, van Putten, da C‑578/10 a C‑580/10, EU:C:2012:246, punto 49). 36 Inoltre, per quanto riguarda l’obiettivo di prevenire gli abusi, si evince dalla giurisprudenza della Corte che, se è vero che i cittadini non possono abusare o invocare in modo fraudolento il diritto dell’Unione, non si può basare una presunzione generale di abuso sul fatto che una persona residente in Italia utilizzi, nel territorio di tale Stato membro, un veicolo immatricolato in un altro Stato membro che gli è stato prestato a titolo gratuito da una persona residente in tale altro Stato membro [ordinanza del 10 settembre 2020, Wallonische Region (Immatricolazione di un veicolo concesso in comodato), da C‑41/20 a C‑43/20, non pubblicata, EU:C:2020:703, punto 53 e giurisprudenza ivi citata]. 37 Quanto alla giustificazione relativa al requisito dell’efficacia dei controlli stradali, richiamata dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, occorre rilevare che non risulta per quali ragioni l’identificazione degli effettivi conducenti dei veicoli immatricolati all’estero sia resa difficile, se non impossibile, per le forze di polizia deputate al controllo. 38 Inoltre, per quanto riguarda l’obiettivo consistente nel fatto che il conducente interessato non usufruisca di premi assicurativi più vantaggiosi, addotto da tale governo, non risulta né dall’ordinanza di rinvio né dalle osservazioni scritte di detto governo in che misura tale obiettivo costituisca un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato FUE e sia giustificato da motivi imperativi di interesse generale, secondo la giurisprudenza citata al punto 31 della presente sentenza. Orbene, a tal riguardo, occorre ricordare che spetta allo Stato membro che adduce un motivo che giustifichi una restrizione ad una delle libertà fondamentali garantite da tale Trattato dimostrare in concreto l’esistenza di un motivo di interesse generale (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2003, ATRAL, C‑14/02, EU:C:2003:265, punto 69). 39 Infine, secondo una giurisprudenza costante, la riduzione delle entrate fiscali non può essere considerata un motivo imperativo di interesse generale che può essere invocato per giustificare una misura che sia in linea di principio contraria a una libertà fondamentale [v., in particolare, sentenze del 7 settembre 2004, Manninen, C‑319/02, EU:C:2004:484, punto 49: del 22 novembre 2018, Sofina e a., C‑575/17, EU:C:2018:943, punto 61, nonché ordinanza del 10 settembre 2020, Wallonische Region (Immatricolazione di un veicolo concesso in comodato), da C‑41/20 a C‑43/20, non pubblicata, EU:C:2020:703, punto 55]. 40 Di conseguenza, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro da più di 60 giorni di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale il veicolo è intestato, senza tener conto della durata di utilizzo di detto veicolo nel primo Stato membro e senza che l’interessato possa far valere un diritto a un’esenzione, qualora il medesimo veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo. 41 Date tali circostanze, non è necessario pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 21 TFUE.

Sulle spese

42 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara: L’articolo 63, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro da più di 60 giorni di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale il veicolo è intestato, senza tener conto della durata di utilizzo di detto veicolo nel primo Stato membro e senza che l’interessato possa far valere un diritto a un’esenzione, qualora il medesimo veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo.

17 Gen

Crea falsi profili social al posto dell’amica e si propone per scambi sessuali: è stalking?

Integrano il reato di atti persecutori le molestie poste in essere da un soggetto, anche se non direttamente nei confronti della vittima, ma sostituendosi ad essa tramite profili social o account intestati falsamente alla stessa ed utilizzandoli al fine di far credere a terzi che questa sia disponibile ad approcci sessuali, quando in conseguenza di ciò la vittima venga poi effettivamente avvicinata da tali soggetti a tale scopo.

di Laura Piras

Cass. pen., sez. V, ud. 14 ottobre 2021 (dep. 10 gennaio 2022), n. 323

Il caso. L’imputato veniva condannato in primo e secondo grado per il delitto di atti persecutori commesso nei confronti di un’amica di lunga data con la quale, sebbene inizialmente avessero iniziato per gioco a scambiarsi profili sui social allo scopo di scherzare con amici o persone di loro conoscenza, inducendole a pensare che la stessa fosse disponibile sessualmente, successivamente anche se gli veniva revocato il consenso al “gioco”, continuava nella medesima attività per un lungo periodo di tempo. Co…
Cass. pen., sez. V, ud. 14 ottobre 2021 (dep. 10 gennaio 2022), n. 323

Presidente Vessichelli – Relatore Brancaccio

Ritenuto in fatto

  1. La Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa in data 11.10.2017 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato favorevolmente la pena nei confronti di M.D., per il reato di atti persecutori, in continuazione con quelli di diffamazione e sostituzione di persona, commessi ai danni di S.E., dal 2008 fino al (OMISSIS).

Fonte Diritto e Giustizia

17 Gen

Reato di minaccia: quanto conta la potenzialità intimidatoria?

Con sentenza del maggio 2020, il Tribunale di Reggio Emilia dichiarava la colpevolezza dell’imputata, accusata del reato di minaccia ai danni di un agente addetto al pubblico servizio, scaturito da un commento offensivo a sfondo sessuale.

Cass. pen., sez. V, ud. 12 ottobre 2021, (dep. 10 gennaio 2022), n. 313

Contro la pronuncia del Tribunale, l’imputata si affida ad un solo motivo per Cassazione, adducendo la carenza di potenzialità intimidatoria della minaccia e pertanto l’impossibilità di realizzarla, sostenendo l’inoffensività della condotta per le circostanze di fatto.

Chiede inoltre l’applicazione della discriminante della legittima difesa, in virtù della grave offesa subita.

Ella sostiene che i giudici di merito avrebbero deciso di non tenere conto delle regole interpret…
Cass. pen., sez. V, ud. 12 ottobre 2021, (dep. 10 gennaio 2022), n. 313

Presidente Miccoli – Relatore Sessa

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 14 maggio 2020 il Tribunale di Reggio Emilia ha confermato la pronuncia emessa dal Giudice di Pace della medesima città nei confronti di B.L., dichiarata colpevole del reato di minaccia ai danni di S.P. e condannata alla pena di giustizia, oltre che al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

Fonte Diritto e Giustizia

9 Gen

La famiglia di fatto

La famiglia di fatto è l’unione di due persone non legate da vincolo matrimoniale ma la cui relazione presenta carattere di stabilità. Ecco la guida completa con approfondimenti e giurisprudenza:

Il concetto di “famiglia” ha subito negli anni importanti cambiamenti. Se all’epoca dell’assemblea costituente per famiglia, dal punto di vista giuridico, si intendeva essenzialmente un’unione stabile di due persone di sesso opposto finalizzata alla filiazione, negli ultimi anni (in particolare, nell’ultimo ventennio) tale concetto ha subito importanti trasformazioni dettate dal dinamismo etico e culturale che caratterizza la società attuale.

Non ogni convivenza, cioè non ogni condizione di due soggetti che condividono esperienze comuni senza che sia stato contratto matrimonio, può generare sul piano giuridico una famiglia di fatto. Occorre infatti l’elemento, di fatto appunto, del “convivere come famiglia”: non basta il singolo evento episodico, ma occorre che vi sia una vera e propria comunione d’intenti tra conviventi (caratterizzata da stabilità, solidità del vincolo e non occasionalità), un convivere “come se” si fosse marito e moglie.
Le prime pronunce

In tal senso una delle prime pronunce della Corte di Cassazione (in particolare, la sentenza n. 6381 dell’8 Giugno 1993) ha ammesso l’esistenza di un centro di imputazione di interessi diverso ed autonomo rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, affermando che: “tale convivenza, ancorché non disciplinata dalla legge, non contrasta né con norme imperative, non esistendo norme di tale natura che la vietino, né con l’ordine pubblico, che comprende i principi fondamentali informatori dell’ordinamento giuridico, né con il buon costume, inteso (…) come complesso dei principi etici costituenti la morale sociale di un determinato momento storico”.
Requisiti della famiglia di fatto

Per potersi parlare di famiglia di fatto è necessaria, più nel dettaglio, la sussistenza di quattro importanti requisiti: la convivenza qualificata, il riconoscimento nella società della coppia come famiglia, la stabilità della relazione affettiva che lega i conviventi e la mancanza di un atto di matrimonio.
Rilevanza nell’ordinamento della famiglia di fatto

Per quanto riguarda i figli, a seguito dell’emanazione del decreto legislativo numero 154/2013 il nostro ordinamento non fa più alcuna distinzione tra figli legittimi e figli naturali, con la conseguenza che la loro posizione nell’ordinamento non è in alcun modo condizionata dall’essere parte di una famiglia di fatto.

Per la coppia di fatto, invece, le cose cambiano, in quanto (come vedremo meglio più avanti) il nostro ordinamento non equipara i rapporti interni ed esterni della stessa a quelli di due soggetti uniti in matrimonio.

La rilevanza giuridica della sola convivenza qualificata tra due persone, di conseguenza, è data da norme di legge speciali, quali, ad esempio, quelle che permettono l’accesso alla procreazione medicalmente assistita o quelle che legittimano il convivente a domandare la nomina dell’amministratore di sostegno per il suo partner. Altri casi in cui la convivenza assume rilevanza giuridica sono rappresentati dal diritto del convivente di astenersi dal testimoniare in un processo penale a carico del suo partner e dalla possibilità di subentrare nel contratto di locazione del compagno deceduto.

Ma le ipotesi sono molte altre ancora.

I rapporti all’interno della famiglia di fatto

I rapporti all’interno della famiglia di fatto non subiscono alcuna differenza rispetto a quelli in essere nelle famiglie “tradizionali” solo per quanto riguarda le relazioni tra genitori e figli, con l’obbligo per entrambi i genitori conviventi di esercitare la normale responsabilità genitoriale e di mantenere, istruire ed educare la prole.

In capo ai partner, invece, non esistono i diritti e i doveri reciproci che il nostro ordinamento pone in capo ai coniugi.

Tuttavia, deve considerarsi che le erogazioni di denaro compiute in favore del compagno sono tendenzialmente ricondotte dal nostro ordinamento a ipotesi di adempimento di obbligazioni naturali, ovverosia connesse a doveri morali o sociali reciproci, con la rilevante conseguenza che, a meno che non vi sia sproporzione tra l’elargizione e l’esigenza da soddisfare, manchi la spontaneità o vi sia incapacità del disponente, le somme elargite non devono essere restituite.

Lo scioglimento della famiglia di fatto

Se la coppia parte di una famiglia di fatto decide di cessare la propria convivenza per disaccordo, tra gli ex compagni non restano né obblighi né diritti reciproci. I beni di ciascuno tornano in capo esclusivamente a chi li ha comprati e lo stesso vale per la casa di abitazione.
I contratti di convivenza

Va a questo punto precisato che, con la legge numero 76/2016, sono stati formalizzati nel nostro ordinamento i cd. contratti di convivenza.

Si tratta, in particolare, di accordi mediante i quali alla coppia di fatto è data la possibilità di regolare la convivenza, i rapporti patrimoniali e alcuni specifici aspetti dei rapporti personali, oltre che gli aspetti economici dell’eventuale cessazione della convivenza.

Per poter stipulare un contratto di convivenza, è necessario che le parti siano legate da un vincolo affettivo e convivano more uxorio.

Vai alla guida I contratti di convivenza

Morte del partner

Quando, infine, muore un membro della coppia appartenente a una famiglia di fatto, lo stesso non ha dei diritti successori riconosciuti automaticamente dal nostro ordinamento (come, invece, avviene per il coniuge) e potrà beneficiare di parte dell’eredità del defunto solo se questi lo abbia nominato erede per testamento.

Fonte Studio Cataldi

9 Gen

Allo stalker ammonito per comportamenti persecutori verso la ex fidanzata deve essere garantito il diritto di difesa

Ad avviso del Consiglio di Stato, la finalità preventiva dell’ammonimento deve essere perseguita in forme e modalità compatibili con l’attuazione piena delle garanzie di partecipazione e di difesa della parte sospettata di essere autrice delle condotte moleste.

Cons. Stato, sez. II, sent., 21 dicembre 2021, n. 8468

In un procedimento amministrativo di prevenzione nei confronti di un uomo, ammonito per comportamenti asseritamente persecutori nei confronti della ex fidanzata, il Consiglio di Stato confermava la decisione del Tar sull’affermata violazione del diritto di difesa del destinatario dell’ammonimento.

Nello specifico, il procedimento prendeva le mosse da una segnalazione della donna e si concludeva con un preavviso di diniego, nel quale la Questura aveva dato atto dell’insussistenza dei presupposti di attualità necessari all’adozione del richiesto ammonimento.

Il procedimento riprendeva impulso per effetto di una seconda segnalazione, nella quale la donna denunciava ulteriori atti persecutori, che poneva all’origine del grave stato ansioso diagnosticatole in occasione di un accesso al Pronto soccorso.

L’iter, infine, si concludeva con l’adozione del provvedimento di ammonimento, emesso inaudita altera parte, ovvero senza previa audizione dell’interessato sui successivi accadimenti oggetto della seconda segnalazione.

La prima denuncia – osservano i Giudici – non aveva determinato l’adozione della misura di prevenzione in ragione del contenuto dell’audizione del denunciato, con la conseguenza che la Questura aveva determinato un vulnus dei diritti della difesa quando, a seguito di successiva denuncia per nuovi fatti, sovrapponibili a quelli per i quali era intervenuto il rigetto dell’ammonimento, aveva invece de plano adottato la prescrizione della misura di prevenzione.

La Questura, al contrario, negava tale violazione del contraddittorio, assumendo che la prima interlocuzione con il soggetto passivo della misura avrebbe a questi garantito in pieno l’esercizio di una valida difesa e che l’asserita reiterazione dei medesimi comportamenti come emergente dalla seconda denuncia era circostanza di pericolo sufficiente all’ammonimento del denunciato.

Per il Consiglio di Stato, invece, nulla ostava all’audizione e al coinvolgimento il più efficace possibile delle parti, e in particolare del destinatario dell’ammonimento. Secondo i Giudici, infatti, «difetta di coerenza un incedere procedimentale che consente l’interlocuzione con la parte sino ad un certo punto e solo su una quota dei dati istruttori, assumendo questo apporto come rilevante ed anzi decisivo nella lettura dell’assetto probatorio sino a quel momento determinatosi; e che, in un secondo momento e senza motivata ragione – pur nel contesto di un quadro istruttorio innovato da elementi inediti, ma di contenuto omogeneo ai precedenti e, quindi, al pari dei primi meritevoli di valutazione e riscontro – ritenga quel medesimo contributo trascurabile e non più reiterabile».

L’ammonimento, pertanto, – concludono i Giudici – «è uno strumento preventivo funzionale alle esigenze di tutela primaria di una parte debole; si tratta di misura deputata a svolgere una funzione avanzata di prevenzione e di dissuasione dei comportamenti sanzionati dall’art. 612-bis c.p., fondata su una logica dimostrativa a base indiziaria e di tipo probabilistico che informa l’intero diritto amministrativo della prevenzione».
Cons. Stato, sez. II, sent., 21 dicembre 2021, n. 8468

Presidente Noccelli – Relatore Pescatore

Fatto e diritto

  1. L’appellante è stato destinatario di provvedimento di ammonimento a cagione di comportamenti asseritamente persecutori che egli avrebbe tenuto nei confronti della sua ex fidanzata.
  2. Il procedimento ha preso le mosse da una segnalazione della donna dell’8 agosto 2020 e, a seguito della comunicazione di avvio del 28 agosto 2020, si è sviluppato attraverso la presentazione di memoria difensiva in data 10 settembre 2020; una successiva fase istruttoria – condotta tramite l’audizione dell’interessato e l’acquisizione di sommarie informazioni da parte di terze persone; ed un preavviso di diniego emesso in data 24 ottobre 2020, nel quale la Questura ha dato atto dell’insussistenza dei presupposti di attualità necessari all’adozione del richiesto ammonimento.

Il procedimento ha ripreso impulso per effetto di una seconda segnalazione (in data 5 novembre 2020) nella quale la donna denunciava ulteriori atti persecutori, asseritamente verificatisi in data 29 ottobre e 4 novembre 2020 (consistiti in un appostamento dell’uomo all’uscita da una farmacia e nell’invio di una richiesta di amicizia su Facebook) e che la stessa denunciante poneva all’origine del grave stato ansioso diagnosticatole in occasione di un accesso al Pronto soccorso (come da documentazione medica allegata).

L’iter si è infine concluso con l’adozione, in data 11 novembre 2020, del provvedimento di ammonimento, emesso inaudita altera parte, ovvero senza previa audizione dell’interessato sui successivi accadimenti oggetto della seconda segnalazione.

  1. Da questa omissione hanno tratto spunto le doglianze avanzate in sede giudiziale dal ricorrente per difetto di istruttoria e di motivazione, violazione delle garanzie del contraddittorio procedimentale e, dunque, mancata applicazione dell’art. 8, comma 2, del D.L. n. 11/2009.
  2. Le denunce poste a base dell’ammonimento non hanno avuto séguito in sede penale, in quanto il procedimento ex art. 612 bis c.p. inizialmente avviato a carico del -OMISSIS- è stato archiviato (all. 2 e segg. della produzione depositata dal ricorrente il 19.01.2021 presso il TAR).
  3. Il ricorso di primo grado avverso il provvedimento di ammonimento è stato accolto dal Tar Campania – Napoli con la qui appellata sentenza n. -omissis-.

Il primo giudice ha ritenuto ingiustificata la mancata audizione dell’uomo nel secondo segmento procedimentale, sotto tutti i distinti profili: i) dell’urgenza del provvedere – in quanto non risultante dalla motivazione dell’atto gravato ed, anzi, contraddetta dalla precedente attività procedimentale svolta in contraddittorio; ii) della tipologia degli ulteriori fatti segnalati all’autorità – in quanto non dissimile bensì addirittura meno grave rispetto a quella già vagliata nella prima fase del procedimento e, quindi, del tutto compatibile con lo sviluppo di una analoga istruttoria aperta al contributo dell’interessato; iii) della regola di non annullabilità di cui all’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990 – non applicabile al caso, stanti i numerosi elementi forniti dall’interessato che avrebbero consentito una diversa lettura delle condotte a lui contestate.

  1. Appellano in questa sede la Questura Napoli e il Ministero dell’Interno.
  2. A seguito della costituzione in giudizio dell’appellato ed in assenza di istanze cautelari, la causa è stata posta in decisione all’udienza pubblica del 16 dicembre 2021.
  3. L’amministrazione appellante pone in rilievo alcune circostanze valide, a suo dire, a connotare la valutazione del giudice di primo grado come affetta da contraddittorietà e malgoverno delle disposizioni normative di riferimento.

Ciò in quanto:

— la prima fase del procedimento non è sfociata nell’adozione dell’ammonimento semplicemente perché le condotte, certamente gravi e comprovate, non potevano in quel momento ritenersi attuali. A conferma dell’interruzione definitiva della relazione e dei rapporti tra le parti deponeva, infatti, quanto dichiarato dallo stesso -omissis- nelle sue controdeduzioni del 10 settembre 2020;

— il prosieguo del procedimento è stato successivamente condizionato non da una diversa valutazione dei fatti, nella loro gravità e consistenza, ma dalla ripresa delle condotte persecutorie le quali, dunque, “.. unitamente a quanto precedentemente rappresentato nell’istanza di ammonimento e dalla testimonianza del Sig. -omissis-” hanno indotto la Questura a ravvisare l’attualità del pericolo in un primo momento esclusa;

— sul piano della dinamica dell’azione amministrativa, la descritta scansione dell’iter procedimentale non ne ha compromesso l’unitarietà, né può dirsi che l’ammonimento si sia fondato solo sugli eventi sopravvenuti al predetto preavviso ex art. 10 bis, avendo messo a profitto la totalità degli elementi istruttori raccolti;

— non sussiste, quindi, alcuna violazione del contraddittorio procedimentale in quanto la parte, oltre ad essere stata attinta dalla comunicazione di avvio del procedimento, è stata posta in condizione, come effettivamente ha fatto, di esercitare le sue prerogative difensive con il deposito delle memorie; mentre la scelta di non sentirla nuovamente è stata dettata dal timore che ulteriori indugi avrebbero potuto aggravare un contesto già esasperato e, quindi, esporre la donna a conseguenze ulteriori rispetto a quelle già gravissime attestate dal pronto soccorso di Napoli;

— sotto un secondo profilo (oggetto di un ulteriore motivo di appello), le circostanze già vagliate dalla Questura nella prima fase del procedimento erano comunque tali, se valutate unitamente alle nuove, da rendere evidenti le ragioni dell’urgenza connessa alla tutela psico-fisica ed esistenziale della -omissis- e da farle ritenere certamente prevalenti rispetto alle prerogative partecipative del -omissis-.

  1. L’appello non può essere accolto.

9.1. Va premesso che le condotte persecutorie in una prima fase denunciate sarebbero consistite, essenzialmente, nell’invio (tramite social network) di flussi costanti di messaggi e nell’instaurazione da parte del -omissis- di contatti diretti con terze persone alle quali sarebbero stati riferiti fatti ed episodi riguardanti la sfera privata della donna.

Nella seconda denuncia sono state denunciate ulteriori condotte moleste consistite, sempre nella versione della denunciante, in un appostamento in scooter verificatosi il 29 ottobre 2020 (il -omissis-, a bordo di uno scoter e con indosso il casco, si sarebbe fermato e avrebbe fissato la donna a circa 300 metri di distanza dall’uscita di una farmacia nel Comune di Giugliano) e nella ricezione di “richieste di amicizia” inoltrate, sempre tramite piattaforme “social”, da contatti “sospetti”.

Su quest’ultima serie di episodi l’appellato ha avuto modo di fornire le proprie controdeduzioni solo in sede giudiziale, in particolar modo osservando che egli, la sera del 29 ottobre 2020, si trovava alla guida della propria autovettura e che tanto emergerebbe sia dal tracciamento del GPS del quale è munito il veicolo (vds. allegato n.2, pag.2, all’istanza di revoca in autotutela del 24.11.2020 versata in atti sub doc. 7 della produzione introduttiva di primo grado), sia dalla messaggistica scambiata con persona che era, in quelle circostanze di luogo e di tempo, in sua compagnia.

9.2. Tutto ciò premesso, il Collegio ritiene che l’impostazione di ragionamento articolata nell’atto di appello tradisca una trama logica in parte contraddittoria ed in altra parte fondata su assunti di principio non pienamente condivisibili

9.3. E’ peraltro certamente comprensibile, sia detto in premessa, oltre che condivisibile, l’attenzione riposta dall’amministrazione ad una declinazione attuativa dello strumento preventivo dell’ammonimento funzionale alle esigenze di tutela primaria della parte debole. Trattasi, d’altra parte, di misura deputata a svolgere una funzione avanzata di prevenzione e di dissuasione dei comportamenti sanzionati dall’art. 612-bis c.p., fondata su una logica dimostrativa a base indiziaria e di tipo probabilistico che, come la Sezione ha ribadito con univoca nettezza (Cons. St., sez. III, n. 758/2019), informa l’intero diritto amministrativo della prevenzione. (Cons. Stato, sez. III, n. 1085/2019).

9.4. Il Collegio ritiene, tuttavia, che nel caso di specie, anche in considerazione della consistenza e tipologia dei fatti segnalati, detta finalità preventiva potesse essere perseguita, senza nulla cedere sul piano della sua efficacia, in forme e modalità compatibili con l’attuazione piena delle garanzie di partecipazione e di difesa della parte sospettata di essere autrice delle condotte moleste.

  1. Il punto di contraddizione, dunque. E’ la stessa amministrazione a riconoscere il contributo determinante che le allegazioni difensive del -omissis- avevano assunto nella prima fase del procedimento allorché la Questura, ritenendole evidentemente attendibili e affidanti, le aveva assunte a base di una valutazione di inattualità del pericolo denunciato (pag. 4 dell’atto di appello: “In data 24 ottobre l’Amministrazione inviava all’istante la comunicazione di preavviso di rigetto, fondato questo sulla base della non attualità di comportamenti ascrivili agli atti persecutori, atteso che il -omissis-, nel contesto delle memorie difensive anzidette, aveva dichiarato di aver chiuso ogni tipo di rapporto con la Sig.ra -omissis-”).

10.1. Non vi sono elementi per escludere che analoga utilità investigativa potesse assumere l’apporto partecipativo dell’interessato anche nella seconda fase dell’indagine istruttoria, quanto a validazione sia della effettiva attendibilità di quanto riferito dalla donna (trattandosi di dichiarazioni non immediatamente riscontrabili), sia della rilevanza e gravità della minaccia dagli stessi fatti desumibile.

10.2. Difetta di coerenza, a contrario, un incedere procedimentale che consente l’interlocuzione con la parte sino ad un certo punto e solo su una quota dei dati istruttori, assumendo questo apporto come rilevante ed anzi decisivo nella lettura dell’assetto probatorio sino a quel momento determinatosi; e che, in un secondo momento e senza motivata ragione – pur nel contesto di un quadro istruttorio innovato da elementi inediti, ma di contenuto omogeneo ai precedenti e, quindi, al pari dei primi meritevoli di valutazione e riscontro – ritenga quel medesimo contributo trascurabile e non più reiterabile.

10.3. Non convince appieno neppure l’ulteriore assunto di principio per cui – stante l’unitarietà del procedimento – la parte, avendo beneficiato delle garanzie partecipative offertele dall’originaria comunicazione di avvio del procedimento e dalla possibilità di presentare in allora le proprie controdeduzioni, potendo di ciò dirsi definitivamente appagata, null’altro avrebbe potuto pretendere nel corso del successivo sviluppo procedimentale.

L’argomento fonda su una considerazione formalistica e schematica degli obblighi partecipativi, oramai superata da un indirizzo interpretativo di tipo “funzionalistico e pragmatico” che, nel giudicare del rispetto delle facoltà riconosciute alle parti e a queste garantite o negate nella singola vicenda procedimentale, si ispira ad un criterio di “concretezza” e, quindi, guarda alla dinamica e alla ricaduta “effettiva” (in termini di esplicazione o di limitazione reale del diritto al contraddittorio) che la modalità applicativa della norma ha offerto al soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione.

Se, dunque, è il coefficiente di realizzazione “effettiva” delle garanzie partecipative il parametro chiave al quale rapportare, in questa materia, il giudizio di legittimità, non ci si può esimere dal considerare l’andamento concreto con il quale il contraddittorio è venuto a svolgersi nel singolo caso: ed in questa valutazione assume rilievo anche lo specifico profilo, qui rilevante, della corrispondenza dei dati ostesi alle parti, sottoposti al loro contributo e poi posti a base della decisione conclusiva.

  1. Nel caso di specie è pacifico che, attraverso le memorie presentate il 24 ottobre 2020 (richiamate a pag. 2 del Decreto), la parte è stata posta nella condizione di contraddire utilmente ed efficacemente – prova essendone il preavviso di rigetto della richiesta di ammonimento – solo riguardo ai fatti contestati risalenti a prima del mese di agosto 2020. A contrario, il Questore ha fondato l’emissione del decreto di ammonimento sulla scorta di un pericolo reso evidente dagli accadimenti successivi alla notifica del preavviso di rigetto.

11.1. Emerge quindi una discrasia qualitativa e quantitativa dei dati sottoposti a contraddittorio che non può reputarsi irrilevante né in termini oggettivi (per l’incidenza che essa può avere assunto sull’esito del procedimento), né in termini soggettivi (ovvero se valutata nella prospettiva della parte estromessa dal confronto).

11.2. Per il resto, nulla l’amministrazione adduce per connotare di sicura irrilevanza l’apporto del soggetto destinatario dell’ammonimento, ovvero per escludere che questi potesse documentare elementi decisivi a falsificare o ridimensionare significativamente i fatti addebitatigli. Le allegazioni contenute nella memoria di costituzione dell’appellato non sembrano sprovviste di apprezzabile valenza e, comunque, non hanno ricevuto confutazione alcuna nel corso del doppio grado di giudizio.

  1. Quanto all’assunto delle esigenze di celerità ostative all’avvio di contraddittorio procedimentale, esso è smentito dal fatto che nessuna menzione figura al riguardo nel decreto di ammonimento.

12.1. Neppure si coglie, dalla lettura dell’atto, un diverso gradiente qualitativo dei nuovi fatti allegati dalla denunciante, che avrebbe potuto e dovuto sollecitare l’amministrazione ad una celerità non compatibile con la ponderazione dei fatti audita et altera parte.

Peraltro, pur prescindendo dal loro riscontro formale e motivazionale, la traccia dei fatti oggetto di indagine istruttoria evincibile dalle risultanze in atti conferma trattarsi di elementi sostanzialmente omogenei ai primi, dal punto di vista tipologico, ed anzi (se si fa eccezione dell’assai controverso appostamento del 29 ottobre 2020) di gravità progressivamente declinante, in quanto da ultimo consistiti in asserite richieste di “amicizia” tramite social pervenute da contatti “sospetti” (non, quindi, inequivocabilmente riconducibili al -omissis-).

12.2. Nell’apprezzare la contingenza del passaggio procedimentale e il carattere della sua asserita urgenza è poi doveroso aggiungere che l’odierno appellato – diversamente da quanto sostenuto dall’amministrazione (a pag. 7 dell’atto di appello) – all’epoca della emanazione dell’ammonimento non era più neanche in possesso della pistola d’ordinanza, per averla spontaneamente consegnata al proprio Comando in data 28 agosto 2020, all’indomani dell’avvio del procedimento (all. 7 della produzione introduttiva di primo grado); e che, comunque, l’amministrazione non ha dimostrato e neppure dedotto che gli incombenti del contraddittorio (nelle forme di una rapida audizione dell’interessato) non fossero espletabili in tempi contratti e compatibili con la ravvisata urgenza, ovvero nell’intervallo intercorso tra la seconda segnalazione (in data 5 novembre 2020) e l’adozione dell’atto (in data 11 novembre 2020).

  1. Per quanto esposto, l’appello va conclusivamente respinto. L’effetto conformativo dell’annullamento dell’atto gravato in primo grado determina l’obbligo per l’amministrazione di riattivare e concludere il procedimento nell’osservanza dei parametri di condotta sin qui illustrati.
  2. La peculiarità della vicenda ed il rilievo essenzialmente procedimentale del vizio positivamente delibato giustificano la compensazione delle spese relative al presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese di lite compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.

Fonte Diritto e Giustizia