Categoria: Esercizi pubblici

28 Set

Esercizi pubblici : Art. 56, 515 cp Frode in commercio

In tema di frode nell’esercizio del commercio, mentre la fattispecie consumata è integrata dalla consegna materiale della merce all’acquirente, per la configurabilità del tentativo non è necessaria la sussistenza di una contrattazione finalizzata alla vendita, essendo sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite (Sez. 3, n. 45916 del 18/09/2014, Tebai, Rv. 26091; Sez. 3, n.9310 del 14/02/2013; Sez. 3, n. 41758 del 25/11/2010; Sez. 3, n. 6885 del 18/02/2009; Sez. 3, n. 23099 del 14/06/2007; Sez. 3, n. 42920 del 29/11/2001). In tal senso, anche la mera detenzione presso un magazzino di prodotti finiti, recanti false indicazioni di provenienza, anche se non destinati al commercio al dettaglio e al consumatore finale ma a utilizzatori commerciali intermedi, integra il tentativo di frode nell’esercizio del commercio, mentre la condotta consumata è costituita dalla consegna materiale della merce all’acquirente. Configura, dunque, il tentativo, anche la mera detenzione in magazzino di merce non rispondente per origine, provenienza, qualità o quantità a quella dichiarata o pattuita, trattandosi di dato pacificamente indicativo della successiva immissione nella rete distributiva di tali prodotti (Sez. 3, n. 3479 del 26/01/2009; Sez. 3, n. 1454 del 16/01/2009; Sez. 3, n. 36056 del 8/09/2004) e ciò anche nel caso in cui la merce sia detenuta da un commerciante all’ingrosso, dovendosi pacificamente riconoscere, in considerazione delle condotte tipizzate, che la disposizione in esame tuteli tanto i consumatori quanto gli stessi commercianti, allorquando presso il magazzino di prodotti finiti dell’impresa di produzione sia detenuta merce con false indicazioni di provenienza destinata non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi (Sez. 3, n. 22313 del 6/06/2011). Sez. TERZA PENALE, Sentenza n.37310 del 13/09/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:37310PEN), udienza del 05/07/2023, Presidente SARNO GIULIO  Relatore MAGRO MARIA BEATRICE

25 Set

Esercizi pubblici : Art.  515 cp Frode in commercio

Ai fini della configurazione del reato di frode in commercio, non è necessaria la concreta contrattazione con un avventore essendo integrato il reato, nella forma tentata, in presenza di detenzione, presso il magazzino di prodotti finiti dell’impresa di produzione, di prodotti alimentari con false indicazioni di provenienza, qualità destinati non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi (Sez. 3, n. 22313 del 15/02/2011, Berloco, Rv. 250473 – 01). Il deposito nel magazzino dei prodotti finiti di merce non rispondente per origine, provenienza, qualità o quantità a quella dichiarata o pattuita, è atto idoneo diretto in modo non equivoco a commettere,, nel caso di vendita all’ingrosso, il reato di frode nell’esercizio del commercio, in quanto indicativo della successiva immissione nel circolo distributivo di prodotti aventi differenti caratteristiche rispetto a quelle dichiarate o pattuite (Sez. 3, n. 3479 del 18/12/2008, Urbani, Rv. 242288 – 01). Quest’ultima pronuncia ha chiarito che l’art. 515 cod.pen., facendo riferimento a chiunque ponga in essere la condotta sanzionata “nell’esercizio di un’attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico”, è finalizzato alla tutela sia del pubblico dei consumatori, che degli stessi commercianti e che l’esposizione al pubblico della merce è, invece, normalmente riscontrabile solo nel caso della vendita al minuto. Al di fuori della vendita al minuto, la valutazione dell’univocità degli atti non può prescindere dalla considerazione delle caratteristiche proprie di tale tipo di attività e delle modalità con le quali normalmente essa si svolge. E ciò, per il principio secondo il quale il tentativo nel reato di frode in commercio può essere integrato anche indipendentemente da ogni concreto rapporto con l’acquirente, essendo invece decisive, al fine suddetto, solo l’idoneità e la non equivocità degli atti nella direzione di una consegna (cfr. Sez. 3, n. 14161 del 13/12/1999), principio non contradetto dalla pronuncia delle Sezioni Unite Morici (Sez. U n. 28 del 25/10/2000, Morici, Rv. 217295 – 01) su fattispecie diversa (commercio al minuto).  Sez. FERIALE PENALE, Sentenza n.36684 del 05/09/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:36684PEN), udienza del 31/08/2023, Presidente CATENA ROSSELLA  Relatore GAI EMANUELA

26 Mag

Esercizi pubblici : Art. 517 cp Falso marchio CE

Le confezioni di catene luminose recavano “sull’involucro contenitivo la marcatura CE attestante la conformità dei predetti prodotti ai requisiti di sicurezza previsti dalle direttive comunitarie ad essi applicabili nonostante che la sezione di cablaggio degli stessi fosse inferiore ai limiti fissati dalle norme di sicurezza”, aggiungendo che la circostanza per la quale, nel capo di imputazione, non fossero indicate le norme di sicurezza violate non costituisce motivo di nullità del capo di imputazione, posto che la contestazione in fatto era precisa (sezione di cablaggio inferiore ai limiti).

Nel pervenire a tale conclusione la Corte d’appello si è uniformata alla pacifica giurisprudenza di legittimità alla luce della quale, in tema di contestazione dell’accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto. Ne consegue che, ove il fatto sia precisato, come nella specie, in modo puntuale, la mancata indicazione della normativa che regola la materia oggetto della violazione è irrilevante e non determina nullità, quando non abbia concretamente pregiudicato il diritto di difesa (ex multis, Sez. 1, n. 30141 del 05/04/2019, Poltrone, Rv. 276602-01) e tale pregiudizio deve essere dimostrato e non soltanto apoditticamente affermato da chi eleva l’eccezione di indeterminatezza del capo d’accusa.  Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24/01/2023) 27-04-2023, n. 17395

19 Feb

Esercizi pubblici : Art. 56, 515  cp Detenzione di prodotti surgelati non indicati nel menu

Deve premettersi che la detenzione di alimenti congelati o surgelati all’interno di un esercizio commerciale, senza che nella lista delle vivande sia indicata tale qualità, integra il reato di tentativo di frode in commercio, atteso che tale comportamento è univocamente rivelatore della volontà dell’esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella pattuita (Sez. 3, n. 23099 del 13/04/2007 Rv. 237067 – 01), per cui non è necessario l’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore (più di recente Sez. 3, n. 39082 del 17/05/2017 Rv. 270836 – 01.). Si tratta di principio generale che, come tale, opera con riferimento a qualsivoglia forma di detenzione funzionale alla vendita, nell’ambito di qualsiasi sede commerciale, così includendosi quindi, con particolare riguardo al caso di specie, anche esercizi per la vendita al dettaglio e diretta di beni ( in tal senso anche Sez. 3, n. 899 del 20/11/2015 (dep. 13/01/2016) Rv. 265811 – 01). Consegue, in relazione alla dedotta inconfigurabilità del tentativo quale fattispecie che richiederebbe quale requisito necessario la concreta trattativa con il potenziale cliente, la manifesta infondatezza della prospettazione. Sez. TERZA PENALE, Sentenza n.5731 del 10/02/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:5731PEN), udienza del 19/01/2023, Presidente RAMACCI LUCA  Relatore NOVIELLO GIUSEPPE

22 Giu

Esercizi pubblici: Art. 56 e 515 cod. pen Prodotti  scaduti posti in vendita

Il reato di cui agli artt. 56 e 515 cod. pen. (perché […] esponeva per la vendita nell’esercizio […] prodotti cosmetici recanti sulle confezioni le date di scadenza già esaurite ma abrase, cancellate ed occultate. Integra il tentativo di frode in commercio, perché idonea e diretta in modo non equivoco alla vendita della merce ai potenziali acquirenti, la condotta dell’esercente che esponga sui banchi o comunque offra, al pubblico, prodotti scaduti, sulle cui confezioni sia stata alterata o sostituita l’originale indicazione del termine minimo di conservazione (Vedi Sez. U, Sentenza n. 28 del 25/10/2000 Ud. (dep. 21/12/2000 ) Rv. 217295 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9276 del 19/01/2011 Ud. (dep. 09/03/2011 ) Rv. 249784). Sez. TERZA PENALE, Sentenza n.23642 del 17/06/2022 (ECLI:IT:CASS:2022:23642PEN), udienza del 04/05/2022, Presidente DI NICOLA VITO  Relatore SOCCI ANGELO MATTEO

1 Mag

Esercizi pubblici: Sanzioni per mancata accettazione pagamento con carta elettronica

 Sulla Gazzetta Ufficiale nr 100 del 30.04.2022 è stato Pubblicato il D.L 30.04.2022 nr 36 avente ad oggetto  Ulteriori misure urgenti per  l’attuazione  del  Piano  nazionale  di ripresa e resilienza (PNRR). L’art 18  anticipa al 30.06.2022 le sanzioni riguardanti la  mancata  accettazione  dei   pagamenti elettronici <<Nei casi di mancata accettazione di un pagamento, di qualsiasi importo, effettuato con una carta di pagamento di cui al comma 4, da parte di un soggetto obbligato ai sensi del citato comma 4, si applica nei confronti del medesimo soggetto la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma pari a 30 euro, aumentata del 4 per cento del valore della transazione per la quale sia stata rifiutata l’accettazione del pagamento. Per le sanzioni relative alle violazioni di cui al presente comma si applicano le procedure e i termini previsti dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, a eccezione dell’articolo 16 in materia di pagamento in misura ridotta. L’autorità competente a ricevere il rapporto di cui all’articolo 17 della medesima legge n. 689 del 1981 è il prefetto della provincia nella quale è stata commessa la violazione. All’accertamento si provvede ai sensi dell’articolo 13, commi primo e quarto, della citata legge n. 689 del 1981>>

3 Gen

Esercizi pubblici: Sanzione per la mancata accettazione di pagamenti effettuati con carte di credito

L’art 19 ter del D.L. 06.11.2021, n. 152 convertito con Legge 29.12.2021 nr 233  recante:  «Disposizioni  urgenti  per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose»,  pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nr n.310 del 31.12.2021, ha introdotto la sanzione per  la mancata accettazione di pagamenti, di qualsiasi  importo,  effettuati con carte di debito e credito, la sanzione amministrativa per  tale violazione è di una somma pari a 30 euro, aumentata del 4  per  cento  del  valore della transazione per la quale sia stata rifiutata l’accettazione del pagamento. Per  la citata sanzione si applicano le procedure e i termini  previsti  dalla legge 24 novembre 1981, n.  689,  a  eccezione  dell’articolo  16  in materia di pagamento in  misura  ridotta.  L’autorità’  competente  a ricevere il rapporto di cui all’articolo 17 della medesima  legge  n. 689 del 1981 e’ il prefetto della  provincia  nella  quale  e’  stata commessa  la  violazione.  La sanzione decorre dal  01 gennaio 2023