Categoria: Polizia Giudiziaria

15 Mag

Polizia Giudiziaria: Il termine per la proposizione della querela

La giurisprudenza di questa Corte ha da lunghissimo tempo chiarito, sulla questione, che il termine di tre mesi per esercitare il diritto di querela decorre dal giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto costituente reato, senza che a tal fine sia sufficiente un mero sospetto (Sez. 3, n. 339 del 29/01/1964, Rv. 099081 – 01).  Pertanto, a differenza di quanto assunto dalla difesa della ricorrente, il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, conoscenza che può essere acquisita in modo completo soltanto se e quando il soggetto passivo abbia contezza dell’autore e possa, quindi, liberamente determinarsi. Pertanto, ove siano svolti tempestivi accertamenti, indispensabili per la individuazione del soggetto attivo, il termine di cui all’art. 124 c.p. decorre, non dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato, nè da quello in cui, sulla base di semplici sospetti, indirizza le indagini verso una determinata persona, ma quando dall’esito di tali indagini, abbia conoscenza certa, sulla base di elementi seri e concreti, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva (Sez. 2, n. 37584 del 05/07/2019, Rv. 277081 – 01; Sez. 5, n. 46485 del 20/06/2014, Rv. 261018 – 01). In sostanza, il termine per la proposizione della querela decorre non dal momento della consumazione del reato bensì da quello in cui la persona offesa ha raggiunto la piena cognizione di tutti gli elementi che consentono la valutazione dell’esistenza del reato (v., tra le altre, Sez. 2, n. 29619 del 28/05/2019, Rv. 276732-01; Sez. 2, n. 2863 del 27/01/1999, Rv. 212867 – 01).  Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21/04/2023) 08-05-2023, n. 19387

9 Mag

Polizia Giudiziaria: Art. 617 quinquies c.p Applicazione skimmer su bancomat

Al riguardo si osserva che da tempo la giurisprudenza di legittimità ha definito in termini assolutamente convincenti la struttura del reato di cui si discute, evidenziando che integra il reato di installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617 quinquies c.p.) la condotta di colui che installi, all’interno del sistema bancomat di un’agenzia di banca, uno scanner per bande magnetiche con batteria autonoma di alimentazione e microchip per la raccolta e la memorizzazione dei dati, al fine di intercettare comunicazioni relative al sistema informatico. Trattandosi di reato di pericolo, non è necessario accertare, ai fini della sua consumazione, che i dati siano effettivamente raccolti e memorizzati (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 36601 del 09/07/2010, Rv. 248430). In più recenti arresti la giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, sottolineato, da un lato, come si debba parlare di pericolo concreto, sicché per la configurazione del reato è necessario accertare la idoneità dell’apparecchiatura installata a consentire la raccolta o memorizzazione dei dati e non che tali operazioni siano state effettivamente eseguite (cfr. Sez. 5, n. 3236 del 22/11/2019, Rv. 278151); dall’altro, che tale delitto è assorbito in quello di frode informatica, di cui all’art. 640 ter, c.p., nel caso in cui, installato il dispositivo atto ad intercettare comunicazioni di dati, abbia luogo la captazione, in tal modo trasformandosi la condotta preparatoria e di pericolo, di cui al primo reato, neII’aIterazione del funzionamento o, comunque, in un intervento illecito sul sistema informatico, che sono modalità realizzative tipiche della frode (cfr. Sez. 5, n. 42183 del 07/09/2021, Rv. 282169). Può, in conclusione, sostenersi che il delitto ex art. 617 quinquies, c.p., è integrato dalla semplice installazione all’interno di un sistema automatizzato, che consente di effettuare operazioni bancarie mediante tessera magnetica personale (cd. bancomat), di un’apparecchiatura tecnicamente idonea alla raccolta e alla memorizzazione dei dati informatici riservati, inseriti dai fruitori del sistema, senza che sia necessario, per la consumazione della fattispecie, l’effettivo prelievo dei dati, né, a maggior ragione, che tali dati vengano utilizzati attraverso indebiti prelievi sui conti correnti dei risparmiatori. Corte di Cassazione V Sezione Penale sentenza nr.17814/2023

3 Mag

Polizia Giudiziaria: Art. 350 e 351 cpp Dichiarazioni indizianti e spontanee dichiarazioni

L’art. 63 c.p.p., comma 1, stabilisce che: “Se davanti all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente ne interrompe l’esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese”.  L’art. 350 c.p.p., comma 7, prevede che: “La polizia giudiziaria può ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini”. La diversa operatività delle norme è di palmare evidenza: l’art. 63 c.p.p., comma 1, si applica alle dichiarazioni autoaccusatorie rese da persona “non” sottoposta alle indagini; l’art. 350 c.p.p., comma 7, riguarda invece le dichiarazioni “spontanee” della persona che, nel momento in cui le rende, ha già assunto la veste di persona sottoposta alle indagini. La distinzione è tracciata con chiarezza dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui alle dichiarazioni spontanee non si applica la disciplina di cui all’art. 63 c.p.p., la quale concerne l’esame di persone non imputate e non sottoposte ad indagini; mentre le dichiarazioni spontanee (art. 350 c.p.p., comma 7) sono quelle provenienti dalla persona nei confronti della quale vengono svolte indagini e sono utilizzabili nel caso di riti alternativi “a prova contratta” ovvero nel giudizio dibattimentale, se, in questa seconda ipotesi, il relativo verbale è stato acquisito con il consenso delle parti (cfr. Sez. 5, n. 12445 del 23/02/2005, Di Stadio, Rv. 231689; Sez. 6, n. 34151 del 27/06/2008, Vanese, Rv. 241466; Sez. 3, n. 29641 del 14/03/2018, Ermo, Rv. 273209).  La ragione della differente disciplina riposa sul fatto, esattamente colto anche dal P.G. di legittimità nella propria requisitoria, che l’art. 63 c.p.p., comma 1, riguarda dichiarazioni rese nel corso di un “esame”, atto processuale in cui un soggetto è convocato dall’autorità procedente (sia essa autorità giudiziaria o di polizia) per essere escusso sui fatti oggetto del procedimento, con l’obbligo di comparire, di rispondere e di dire la verità: “E’ la particolare natura e struttura dell’atto processuale compiuto che consente di comprendere la ratio di garanzia sottesa alla norma, evidentemente informata al principio del nemo tenetur se detegere e da utilizzarsi ai fini della sua interpretazione (così in motivazione Sez. 3, n. 29641 del 14/03/2018, Ermo, cit.): la confessione di un reato da parte di soggetto legittimamente sentito in origine come persona informata sui fatti impone la immediata interruzione del verbale e la conseguente inutilizzabilità contra se delle dichiarazioni in precedenza rese.  Nel caso in esame A.A. è stato convocato dalla polizia giudiziaria e sentito come persona informata sui fatti; egli non è stato sentito come persona sottoposta alle indagini e, a detta dello stesso ricorrente, non poteva essere sentito in tale veste data l’assenza di elementi a suo carico. Deriva che le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria ricadono nell’alveo applicativo dell’art. 63 c.p.p., comma 1, e, sono, pertanto inutilizzabili. Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28/03/2023) 17-04-2023, n. 16285

28 Apr

Polizia Giudiziaria: Art. 495 cp Falsa indicazioni sulla propria identità personale

La condotta contestata deve essere effettivamente sussunta nella fattispecie descritta nell’art. 495 c.p., in quanto le false di dichiarazioni sulla reale identità sono state fornite agli agenti operanti da parte di un soggetto (che ha dichiarato di essere) sprovvisto di documenti d’identità. In tali casi, per l’assenza di altri mezzi di identificazione, la dichiarazione costituisce vera e propria attestazione tesa a garantire ai pubblici ufficiali le proprie qualità personali (Sez. 5, n. 7286 del 26/11/2014, dep. 2015, Rv. 262658).  Ciò che integra il reato, a fronte del generale obbligo di dare corrette indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o sulle altre qualità personali (sanzionato dall’art. 651 c.p.), è l’assenza di documenti d’identità (che, se posseduti, si ha l’obbligo di esibirli: art. 294 reg. es. TULPS). Perchè, in mancanza di un valido documento identificativo, il soggetto è comunque tenuto a declinare le proprie esatte generalità, rispetto alle quali, appunto, la dichiarazione resa ha funzione attestativa. Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28/02/2023) 07-04-2023, n. 14935

3 Apr

Polizia Giudiziaria: Art. 628 cp Rapina profitto anche momentaneo

Certamente il dolo specifico di profitto, anche nella fattispecie di rapina, svolge la funzione di definire o, meglio, circoscrivere, per ridurne l’area applicativa, la fattispecie incriminatrice, ma, a differenza delle fattispecie di furto, in cui è espressamente contemplato il cd. furto per fare uso momentaneo della cosa e questa, dopo l’uso momentaneo è stata immediatamente restituita, la precarietà dell’appropriazione non svolge la medesima funzione di elemento che concorre alla definizione del profitto dell’agente, nel senso che questo dovrebbe identificarsi unicamente nella istituzione di una nuova relazione di signoria duratura e non precaria sul bene. L’assenza di una fattispecie minore – incentrata sul solo fine di fare uso momentaneo della cosa – fa assurgere a rapina qualsiasi sottrazione aggressiva, con modalità violente o minacciose, anche se finalizzata a farne un utilizzo temporaneo circoscritto purchè si sia agito al fine di instaurare un nuovo rapporto di possesso, non importa se definitivo perchè in sostanza rimesso alla volontà dell’agente. Del resto, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che integra il momento consumativo del delitto di rapina propria anche un possesso temporaneo perchè esso si perfeziona non appena l’agente si impossessi, con violenza o minaccia, della cosa sottratta, ovverossia allorquando quest’ultima passi nella esclusiva detenzione e nella materiale disponibilità del predetto, con conseguente privazione, per la vittima, del relativo potere di dominio o di vigilanza. (Sez. 1, n. 8073 del 11/02/2010, Pallotta, Rv. 246235).

In conclusione ai fini della configurabilità del reato di rapina resta decisiva sia la modalità, violenta o minacciosa, dell’impossessamento che la ricostruzione dell’oggetto dell’apprensione, nel senso che questo deve presentare unaconnotazione patrimoniale e l’agente abbia agito al fine di instaurare sul bene un nuovo rapporto di possesso, a prescindere dalla sua durata restando irrilevanti, ai fini del dolo specifico, le ulteriori motivazioni dell’agente e, nel caso, quello ritorsivo, sotteso all’impossessamento della chiave.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21/02/2023) 21-03-2023, n. 11913

21 Mar

Polizia Giudiziaria: Art. 629 cp Estorsione Consumata

Secondo l’indirizzo interpretativo prevalente di questa Corte, deve ritenersi sussistente il delitto di estorsione consumato, e non solo tentato, allorché la cosa estorta venga consegnata dalla vittima all’estorsore anche se sia predisposto l’intervento della polizia, che provveda immediatamente all’arresto del reo e alla restituzione della cosa estorta alla vittima (Sez. 2, Sent. n. 1619 del 12/12/2012 Rv. 254450). Infatti, in tale figura delittuosa la modalità di lesione si incentra sulla coazione esercitata dall’agente sulla vittima perché tenga una condotta positiva o negativa in ambito patrimoniale, il cui esito è il profitto che il reo intende procurarsi, che non può essere integrato da altre note, quali la disponibilità autonoma della cosa, senza violare la tassatività della fattispecie.” (SS.UU. n. 19 del 27/10/1999). Va precisato che i motivi della scelta di aderire alla pretesa espressa dal soggetto agente attengono al foro interno della persona lesa e non rilevano ai fini del verificarsi dell’evento. Il fatto che la vittima dell’estorsione si adoperi affinché la polizia giudiziaria possa pervenire all’arresto dell’autore della condotta illecita non elimina lo stato di costrizione, ma è una delle molteplici modalità di reazione soggettiva della persona offesa allo stato di costrizione in cui essa versa. Il legislatore, con la formula adottata (“… costringendo taluno a fare od omettere qualche cosa”) prende in considerazione lo stato oggettivo di costrizione e non distingue le ragioni che possono indurre la persona offesa ad aderire alla pretesa estorsiva. (Sez. 2^, Sent. n. 44319 del 18/11/2005 Rv. 232506). Nel caso di specie, non ha rilevanza il fatto che il denaro oggetto della dazione non provenisse direttamente dal soggetto passivo, essendo stato fornito da un terzo soggetto. Costui, infatti, agiva per conto del destinatario dell’estorsione nei cui confronti si era comunque verificata la coazione esercitata dall’agente. Di conseguenza, la Corte territoriale, respingendo l’appello, ha correttamente escluso la possibilità di ipotizzare la sussistenza di una fattispecie tentata. Sez. SETTIMA PENALE, Ordinanza n.7950 del 23/02/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:7950PEN), udienza del 25/10/2022, Presidente VERGA GIOVANNA  Relatore TUTINELLI VINCENZO

16 Mar

Polizia Giudiziaria: Art. 337 cp Resistenza a Pubblico Ufficiale

Integra difatti il reato di resistenza a pubblico ufficiale lo strattonare o il divincolarsi posti in essere da un soggetto onde impedire il proprio arresto, ogni qualvolta quest’ultimo non si limiti a una mera opposizione passiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma impieghi la forza per neutralizzarne l’azione e sottrarsi alla presa, nel tentativo di guadagnare la fuga (ex plurimis, Sez. 1, n. 29614, 31/03/2022, Manusia, Rv. 283376). Sez. QUARTA PENALE, Sentenza n.7871 del 23/02/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:7871PEN), udienza del 17/01/2023, Presidente SERRAO EUGENIA  Relatore ANTEZZA FABIO

10 Mar

Polizia Giudiziaria: Riconoscimento Fotografico

In particolare, il riconoscimento fotografico effettuato nel corso delle indagini preliminari sulla base di una fotografia dell’indagato costituisce una prova atipica, la cui affidabilità dipende dall’affidabilità della dichiarazione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo dell’identificazione, ed è pienamente utilizzabile e idoneo a fondare l’affermazione di responsabilità (Sez. 5, n. 70 del 13/11/2020, dep. 2021, Dori, Rv. 280399-01; Sez. F., n. 37012 del 29/08/2019, Occhipinti, Rv. 277635-01). Sez. SECONDA PENALE, Sentenza n.8399 del 24/02/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:8399PEN), udienza del 14/02/2023, Presidente MESSINI D’AGOSTINI PIERO  Relatore NICASTRO GIUSEPPE

7 Mar

Polizia Giudiziaria: Art. 628 cp Rapina propria e impropria

E’ stato infatti autorevolmente affermato che «il comma secondo dell’art. 628 cod. pen. fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all’impossessamento, ciò che conduce a ritenere che il delitto di rapina impropria si possa perfezionare anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per un breve spazio temporale, della disponibilità autonoma dello stesso. Il requisito della violenza o minaccia che caratterizza il delitto di rapina, certamente può comportare una differenziazione in ordine al momento consumativo rispetto al furto. Mentre, infatti, con riferimento al furto, finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore questi è ancora in grado di recuperarla, così facendo degradare la condotta di apprensione del bene a mero tentativo [Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014 – dep. 16/12/2014, Pg in proc. Prevete e altro, Rv. 261186], al contrario, nella rapina, la modalità violenta o minacciosa dell’azione non lascia alla vittima alcuna possibilità di esercitare la sorveglianza sulla res. Per la consumazione del delitto di rapina è quindi sufficiente che la cosa sia passata sotto l’esclusivo potere dell’agente, essendone stata la vittima spossessata “materialmente”, così perdendo di fatto i relativi poteri di custodia e di disposizione fisica. In considerazione della successione “invertita” delle due condotte di aggressione al patrimonio e alla persona che caratterizza la rapina impropria, il legislatore, al fine di mantenere equiparate le due fattispecie criminose del primo e del secondo comma dell’art. 628 cod. pen., non richiede il vero e proprio impossessamento della cosa da parte dell’agente, ritenendo sufficiente per la consumazione la sola sottrazione, così lasciando spazio per il tentativo ai soli atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa altrui» (testualmente: Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012 – dep. 12/09/2012, Reina, Rv. 253153). La Cassazione nella sua più autorevole composizione ha, dunque, chiarito che la rapina sia nella sua configurazione ordinaria, che in quella impropria, ha un condotta complessa che si compone sia della aggressione al patrimonio che di quella alla persona sicché nel caso in cui la seconda succeda temporalmente alla prima, la condotta violenta unitamente alla sottrazione consentono di ritenere la rapina “consumata”. Si tratta di un approdo ermeneutico confermato dalla lettera della legge che nella rapina “impropria” sanziona la sottrazione cui segue la violenza alla persona, mentre in quella “propria” richiede la violenza preventiva e il successivo completo spossessamento. Sez. SECONDA PENALE, Sentenza n.9041 del 02/03/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:9041PEN), udienza del 18/01/2023, Presidente RAGO GEPPINO  Relatore RECCHIONE SANDRA

2 Mar

Polizia Giudiziaria: Estrazione  fotogrammi dai filmati di videosorveglianza

Non ha natura di accertamento tecnico irripetibile l’attività di estrapolazione di fotogrammi da un supporto video e di raffronto degli stessi con le fotografie di determinate persone al fine di evidenziare eventuali somiglianze e giungere quindi all’identificazione dei soggetti ritratti (Sez. 6, n. 41695 del 14/06/2016, Bembi, Rv. 268326-01), atteso che in tema di prove la copia di estratta da un documento informativo ha la medesima valenza probatoria del dato originariamente acquisito, salvo che se ne deduca e dimostri la manipolazione (Sez. 6, n. 12975 del 06/02/2020, Ceriani, Rv. 278808-03).  Sez. SECONDA PENALE, Sentenza n.8658 del 28/02/2023 (ECLI:IT:CASS:2023:8658PEN), udienza del 25/11/2022, Presidente IMPERIALI LUCIANO  Relatore MINUTILLO TURTUR MARZIA