La gelosia è un futile motivo che aggrava il reato

29 Nov

La gelosia è un futile motivo che aggrava il reato

di A. Villafrate

Per la Cassazione, la gelosia per la fidanzata aggrava il reato di lesioni inferte al presunto contendente in amore con una mazza da baseball

La gelosia rende più grave il reato di lesioni
Il tradimento non è uno stimolo lieve rispetto al reato di lesioni
Sproporzionato mandare in ospedale il presunto contendente in amore
La gelosia rende più grave il reato di lesioni

Futile motivo che aggrava il reato di lesioni, la gelosia dell’imputato per la fidanzata, soprattutto se dopo aver appreso la notizia, si prende una mazza da baseball e si colpisce il contendente al punto che è necessario un intervento chirurgico e il gesso. Queste le conclusioni della Cassazione, che nel seguire un indirizzo già consolidato, nella sentenza n. 37870/2021 (sotto allegata) giudica la reazione dell’imputato del tutto sproporzionata rispetto alla gelosia morbosa dimostrata nei confronti della fidanzata.

La vicenda processuale
Il giudice dell’impugnazione riforma la sentenza di primo grado con cui l’imputato è stato condannato per il reato di lesioni aggravate da futili motivi, rideterminando quindi la pena

Il tradimento non è uno stimolo lieve rispetto al reato di lesioni

L’imputato però ricorre in Cassazione sollevando, a mezzo difensore, le seguenti doglianze.

Con il primo motivo contesta l’aggravante dei futili motivi per difetto di motivazione in quanto è stato accertato in giudizio che l’aver appreso la notizia del presunto tradimento della fidanzata non è uno “stimolo, lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato”, requisito della sproporzione che non è attinente a detta aggravante.
Con il secondo invece ritiene che la Corte non abbia motivato adeguatamente le ragioni per le quali ha escluso le attenuanti generiche e i motivi per i quali non ha ritenuto l’attenuante del risarcimento del danno prevalente rispetto all’aggravante dei futili motivi.
Il Procuratore chiede il rigetto del ricorso, il difensore dell’imputato invece insiste per l’accoglimento del primo motivo del ricorso e chiede la prescrizione del reato commesso il 2 ottobre 2013, in quanto a causa della sola sospensione di 60 giorni nel corso del giudizio, il reato si è prescritto il 2 giugno 2021.

Sproporzionato mandare in ospedale il presunto contendente in amore

Per la Cassazione il ricorso dell’imputato è inammissibile in quanto la questione relativa ai futili motivi che si riferiscono alla gelosia che lo ha indotto a commettere il reato è stata oggetto di ampio confronto e discussione in giudizio.

Sul punto la Cassazione comunque ribadisce che “anche la gelosia può integrare l’aggravante prevista dall’art. 61 comma primo, n. 1, cod.pen, che giustifica un giudizio di maggiore riprovevolezza dell’azione e di più accentuata pericolosità dell’agente, per la futilità della spinta motivazionale che ha determinato a commettere il reato, in relazione ad un delitto di lesioni (…); in proposito si è osservato che la condotta risultava del tutto sproporzionata rispetto alla spinta criminosa, individuata dalla mancata accettazione della fine di una relazione sentimentale e nell’istinto di conservare un controllo sul partner.”

Tesi che la Corte dichiara espressamente di voler seguire anche perché in sede di merito è stata valorizzata proprio la gelosia morbosa dell’imputato nei confronti della fidanzata e della violenza esercitata sulla persona offesa.

Inammissibile anche il secondo motivo in quanto la mancata concessione delle attenuanti generiche è stata motivata dalla gravità della condotta per le gravi lesioni recate alla persona offesa (che ha avuto bisogno, dopo essere stato colpito con una mazza da baseball, di un intervento chirurgico e del gesso), così come la doglianza relativa alla prevalenza dell’attenuante del risarcimento del danno sull’aggravante dei futili motivi perché trattasi di una valutazione di merito che non può essere rimessa in discussione in sede di legittimità, a meno che la motivazione sia del tutto assente, risulti illogica o sia meramente arbitraria.

Tutti vizi che non sussistono nel caso di specie. La decisione poggia sui motivi futili che hanno spinto l’imputato a commettere il reato e al fatto che lo stesso si sia avvalso a tal fine di un’arma impropria.

Fonte Studio Cataldi

29 Nov

Sinistri stradali: il terzo trasportato coinvolto non può testimoniare

di A. Villafrate

Per la Cassazione, la terza trasportata coinvolta in maniera diretta nel sinistro non può testimoniare perché portatrice di un interesse che la legittima a diventare parte

La terza trasportata coinvolta direttamente in un sinistro stradale non può testimoniare nella causa intrapresa dalla proprietaria del veicolo danneggiato che la trasportava. Questo perché il terzo, in un caso come questo, ha un interesse concreto, attuale e personale ad agire in giudizio che lo rende incompatibile con il ruolo di testimone. Puntualizzazioni contenute nell’ordinanza della Cassazione n. 35552/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale
A causa di un sinistro stradale una donna aziona una causa di risarcimento per i danni riportati al proprio veicolo nei confronti di due enti comunali. Il giudice di primo e quello di secondo grado però rigettano le richieste risarcitorie dell’attrice. Il giudice dell’impugnazione evidenzia la correttezza della decisione di primo grado nel ritenere incapace a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c l’unica testimone in quanto terza trasportata all’interno del veicolo danneggiato.

Contestata la decisione sull’incapacità a testimoniare

La ricorrente nel ricorrere in Cassazione contesta quindi con un unico motivo l’erronea conclusione del giudice di appello, nel ritenere incapace di testimoniare la donna trasportata sul veicolo danneggiato, in quanto la stessa, per il giudicante, sarebbe portatrice di un interesse concreto e attuale a prendere parte al giudizio.

Chi può essere parte di un processo non può testimoniare

Per la Cassazione il ricorso è manifestamente infondato perché secondo il consolidato orientamento della stessa un soggetto, ai sensi dell’art 246 c.p.c, è incapace di testimoniare quando è titolare di un interesse personale, ma anche attuale e concreto che lo vede coinvolto del rapporto controverso, qualificabile come interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c, che lo legittima a prendere parte al giudizio in cui gli è stato chiesto di rendere testimonianza.

Correttamente il giudice ha concluso per l’incapacità a testimoniare della teste, stante il suo diretto coinvolgimento del sinistro, nella veste di terza trasportata.

In casi come quello di specie, precisano gli Ermellini, il terzo non può non essere considerato come portatore di un interesse in grado di prendere al giudizio. Lo stesso non risulta portatore di un interesse attuale e concreto solo se risulta non avere riportato danni “all’eventuale riscontro della fondatezza nel merito della prospettabile pretesa avanzabile in sede di partecipazione al giudizio e non già al riscontro della legittimazione a detta partecipazione, cui sola è riferita la previsione di cui all’art. 246 c.p.c.”

L’art 246 c.pc infatti, ricordiamolo, prevede che “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.”

La norma in pratica sancisce l’incompatibilità tra la posizione di parte, anche solo in via potenziale e di testimone. L’interesse in causa a cui fa riferimento la norma è quello di cui all’art. 100 sull’interesse ad agire, che rappresenta una delle condizioni determinanti l’ipotetica accoglibilità della domanda.

L’interesse che impedisce la testimonianza deve essere, come precisato anche dalla Cassazione, personale, concreto e attuale, tanto da legittimare una partecipazione al giudizio mediante un intervento principale, un intervento adesivo autonomo o adesivo dipendente in base a quanto previsto dall’art. 105.

Fonte Studio Cataldi

23 Nov

Polizia Giudiziaria : Art. 495 cp false dichiarazioni sulla propria identità

«integra il reato di cui all’art. 495 cod. pen., la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca ai carabinieri, nel corso di un controllo stradale, false dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette dichiarazioni – in assenza di altri mezzi di identificazione – rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all’ipotesi di reato di cui all’art. 496 cod. pen.» (Cass., Sez. V, n. 7286/2015 del 26/11/2014, Sdiri, Rv 262658; v. altresì Cass., Sez. V, n. 25649 del 13/02/2018, Popescu, Rv 273324, ove si è ribadito che «integra il delitto di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale di cui all’art. 495 cod. pen. la condotta di colui che declini generalità false al “controllore” di un’azienda di trasporto urbano, in quanto le dichiarazioni del privato sono destinate ad incidere direttamente sulla formazione dell’atto pubblico costituito dal verbale di accertamento dell’infrazione»).   Sez. SETTIMA PENALE, Ordinanza n.7316 del 25/02/2021 (ECLI:IT:CASS:2021:7316PEN), udienza del 01/10/2020, Presidente PALLA STEFANO  Relatore MICHELI PAOLO 

23 Nov

Penale : Art. 605 cp sequestro di persona

L’elemento materiale del reato di sequestro di persona è la privazione o la limitazione della libertà personale. Il reato è strutturato con formula normativa sintetica, come reato causale puro, in fattispecie a forma libera, attiva o omissiva. Non sono indicate le modalità dell’azione o i mezzi tipici per la realizzazione dell’evento: possono essere impiegati violenza fisica, propria o impropria, ma anche inganno, minaccia, mezzi fraudolenti purché idonei a limitare la libertà personale del soggetto passivo. Il punto nodale è la condotta costrittiva, che deve essere tale da incidere sulle determinazioni della vittima relative alla sua libertà di locomozione. L’impossibilità per la vittima di recuperare la propria libertà di movimento può anche essere relativa sotto il profilo spaziale o temporale, deve comunque permanere per un tempo “apprezzabile”. Può costituire misura temporale sufficiente ad integrare l’elemento materiale del reato una limitazione della libertà personale protratta per un tempo che può essere di venti minuti (Sez. 1, n. 18186 del 08/04/2009, Lombardo, Rv. 244050) o comunque “breve” (Sez. 5, n. 6488 del 24 gennaio 2005, Di Flavio, Rv. 231422; Sez. 5, n. 19548 del 17/04/2013, M., Rv. 256746). Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di sequestro di persona, non implicando necessariamente l’assoluta costrizione della libertà di movimento della vittima, si configura anche quando la condotta dell’imputato, diretta ad impedire o scoraggiare l’allontanamento dai luoghi ove si intende trattenere la vittima, lasci residuare una possibilità di fuga, attuabile però soltanto con iniziative imprudenti, comportamenti elusivi della vigilanza e, comunque, con mezzi artificiosi la cui adozione sia scoraggiata dal timore di ulteriori pericoli e danni alla persona (Sez. 4, n. 7962 del 06/12/2013, dep. 2014, L., Rv. 259278; Sez. 2, n. 11634 del 10/01/2019, Capatti, Rv. 276058).Va rimarcato, inoltre, che non si verifica l’assorbimento del delitto di sequestro di persona in quello di lesioni volontarie (non in rilievo nella presente sede cautelare) quando la privazione della libertà personale abbia una durata apprezzabile che vada al di là della subitaneità e fulmineità di un singolo atto, e abbia uno sviluppo nel tempo, articolandosi in varie e distinte azioni, durante le quali permanga l’impossibilità per la parte lesa di sottrarsi al riprendere dell’azione lesiva (Sez. 5, n. 458 del 12/06/2014, dep. 2015, Rv. 263215).    Sez. QUINTA PENALE, Sentenza n.6989 del 23/02/2021 (ECLI:IT:CASS:2021:6989PEN), udienza del 28/01/2021, Presidente SABEONE GERARDO  Relatore MOROSINI ELISABETTA MARIA 

23 Nov

Il reato di ricettazione

di Francesca Servadei

La ricettazione, di cui all’art. 648 c.p., è un reato contro il patrimonio il cui oggetto è costituito da denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto

Il reato di ricettazione è posto in essere, al di fuori delle ipotesi di concorso nel reato, da chi acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un delitto o si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, con il fine di procurare un profitto per sé o per altri.

L’art 648 c.p, che contiene la disciplina questo reato, ha subito importanti modifiche in virtù del recepimento da parte del decreto legislativo approvato dal Cdm il 4 novembre 2021 della Direttiva UE n. 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio con il diritto penale.

Per il reato di ricettazione, il reato presupposto d’ora in poi potrà essere anche di natura contravvenzionale, le pene saranno aumentate se il reato verrà commesso nello svolgimento di un’attività professionale, mentre nei casi di particolare tenuità le pene saranno più elevate rispetto a quanto previsto in precedenza.

Il nuovo testo dell’art. 648 c.p.

Questo il testo dell’art. 648 c.p in base alle modifiche (evidenziate in corsivo) della Direttiva UE:

  1. Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329. La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis. La pena è della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 300 a euro 6.000 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi. La pena è aumentata se il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
  2. Se il fatto è di particolare tenuità, si applica la pena della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 1.000 nel caso di denaro o cose provenienti da delitto e la pena della reclusione sino a tre anni e della multa sino a euro 800 nel caso di denaro o cose provenienti da contravvenzione.
  3. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del reato da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale reato.”
    L’accertamento del delitto presupposto
    Una particolare attenzione deve essere posta sull’accertamento del delitto presupposto: infatti la giurisprudenza della Corte di Cassazione, con un consolidato orientamento (cfr., tra le altre, Cass. n. 3211/1999; Cass. n. 4077/1990; Cass. n. 26308/2010), ha statuito che il reato anteriore non deve essere necessariamente accertato, in quanto la provenienza delittuosa del bene deve desumersi dalla natura del bene stesso e che non necessariamente l’autore dello stesso sia noto (cfr. Cass. n. 9410/1990); da ciò si evince che il delitto presupposto non necessita di un accertamento sotto il profilo soggettivo, né sotto quello oggettivo.
    Elementi del reato di ricettazione

Venendo agli elementi del reato di ricettazione, il soggetto attivo può essere chiunque, ad eccezione di colui che ha concorso nel reato presupposto, e coincide con colui che pone la condotta così come descritta nell’articolo 648.

A proposito di condotta, la ricettazione si configura come reato a forma vincolata, integrato dall’acquisto, dalla ricezione o dall’occultamento di denaro o cose provenienti da delitto o dall’attività di intermediazione posta in essere a tal fine.

Venendo all’elemento soggettivo, la ricettazione può configurarsi se il soggetto agente è certo della provenienza delittuosa del bene che riceve, anche se non ha precisa cognizione delle circostanze di tempo e di luogo del reato presupposto.

Tale consapevolezza, secondo quanto ha statuito la Suprema Corte (con la pronuncia n. 12704/2012) è deducibile da qualsiasi elemento, diretto ovvero indiretto, perciò anche dal comportamento dell’imputato, ovvero dalla insufficiente indicazione, da parte dello stesso, della provenienza della cosa ricevuta, relativamente alla quale è deducibile che il soggetto agente voglia occultarne la provenienza.

Ricettazione e incauto acquisto: differenze tra i due reati

L’individuazione dell’elemento soggettivo è importante al fine di distinguere tale figura di reato con quella del favoreggiamento reale e dell’incauto acquisto; dal Favoreggiamento Reale, articolo 379 del Codice Penale, si distingue in quanto quest’ultimo è caratterizzato dal fatto che l’ipotetica ricezione della cosa mobile avviene nell’esclusivo interesse dell’autore del reato principale, mentre la differenza con l’incauto acquisto (Acquisto di cose di sospetta provenienza, articolo 712 Codice Penale, reato contravvenzionale) consiste nel fatto che l’autore viene punito per una sua negligenza e quindi punito per non aver accertato, prima dell’acquisto, la provenienza illecita del bene.

Il reato di ricettazione: la pena
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La pena prevista per la fattispecie base del reato di ricettazione è quella della reclusione da due a otto anni e della multa da 516 euro a 10.329 euro.

In altri casi, invece, la pena è aumentata. Si tratta delle ipotesi in cui il fatto riguarda denaro o cose che provengono da rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, c.p., di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, c.p. o di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis).

Reclusione da uno a quattro anni e multa da euro 300 a euro 6.000 se il reato presupposto è di natura contravvenzionale ed è punito con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.

Pena più alta se il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

Durata della reclusione e delle sanzioni ridotte infine per i casi di particolare tenuità in base alle pene previste per il delitto o la contravvenzione presupposti.
Il regime sanzionatorio del reato di ricettazione

Il primo comma dell’articolo 648 del codice penale prevede il regime sanzionatorio della reclusione da due anni ad otto e con la multa da 516 euro ad euro 10.329.

Con il Decreto Legislativo 14 agosto 2013, n. 93, convertito dalla Legge 15 ottobre 2013 n. 119, è stata aggiunta l’aggravante della pena nel caso in cui la cosa mobile provenga dal delitto di rapina aggravata, articolo 628, III comma, c.p., di estorsione ai sensi dell’articolo 629, II comma, c.p., furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, I comma, n. 7-bis.

Il recepimento della Direttiva UE 2018/1673 ha aggiunto l’aggravante del reato commesso nell’esercizio di un’attività professionale e l’attenuante che varia in base alla pena prevista per il reato presupposto.

Pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 300 a euro 6.000 se il fatto riguarda denaro o cose che provengono da un reato contravvenzionale punito con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.

Pena aumentata se il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

E infine quando il fatto è di particolare tenuità, si applica la pena della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 1.000 nel caso di denaro o cose provenienti da delitto e la pena della reclusione sino a tre anni e della multa sino a euro 800 nel caso di denaro o cose provenienti da contravvenzione.

La giurisprudenza sul reato di ricettazione

La giurisprudenza sul reato di ricettazione è ricca e significativa.

Con la sentenza 27983/2019, ad esempio, la Corte di cassazione ha ritenuto provato l’elemento psicologico della fattispecie delittuosa in esame dall’accettazione di una proposta contrattuale che sarebbe altrimenti ingiustificabile.

Possiamo poi segnalare la sentenza del 14 novembre 2014 n. 47129, con la quale la Corte ha affermato che non è escluso dall’ipotesi della ricettazione l’avere guidato un’autovettura munita di falso certificato di autorizzazione al transito al parcheggio libero nelle aree riservate agli invalidi rilasciato ad una persona defunta.

Inoltre merita di essere segnalata la pronuncia di legittimità numero 42866/2017, che ha chiarito che la particolare tenuità, che rende meno severa la pena per la ricettazione, deve essere desunta da una valutazione dei fatti complessiva e nella quale siano ricompresi anche le modalità dell’azione, la personalità dell’imputato e il valore economico della “res”.

Tra le pronunce più recenti, citiamo infine la sentenza n. 3233/2021, che ha ribadito che quando un soggetto, oltre ad acquistare supporti audiovisivi fonografici o informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni legali, li detenga a fine di commercializzazione è configurabile il concorso tra il reato di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e quello di commercio abusivo di prodotti audiovisivi abusivamente riprodotti (art. 171-ter Legge 22 aprile 1941, n. 633).

Fonte Studio Cataldi

23 Nov

Codice della strada :Art 186 cds ai fini dell’avviso al conducente di farsi assistere da un difensore è sufficiente che risulti nel verbale, senza che sia necessaria la sottoscrizione dell’interessato.

“In tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di previo avviso al conducente coinvolto in un incidente stradale di farsi assistere da un difensore di fiducia, è sufficiente che ciò risulti nel verbale, senza che sia necessaria la sottoscrizione dello stesso da parte dell’interessato, poiché l’avviso è atto degli operanti che redigono il verbale, mentre la sottoscrizione della parte è necessaria solo qualora essa abbia reso una dichiarazione, tra cui quella di nomina di difensore di fiducia” (così Sez. 4, n. 5011 del 04/12/2018, dep. 01/02/2019, Rv. 274978 – 01).  Sez. SETTIMA PENALE, Ordinanza n.2092620926 del 15/05/2019 (ECLI:IT:CASS:2019:20926PEN)2019, udienza del 20/03/2019, Presidente PICCIALLI PATRIZIA  Relatore BRUNO MARIAROSARIA 

23 Nov

Polizia Giudiziaria : Art. 615 ter cp accesso abusivo sistema informatico

«integra il delitto previsto dall’art. 615-ter cod. pen. colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema» (Sez. U, n. 4694/2012 del 27/10/2011, Casani, Rv 251269). Con la sentenza Savarese le Sezioni Unite, pronunciandosi in un’ipotesi di fatto commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio (615-ter, comma secondo, n. 1), hanno avuto modo di precisare, sotto il profilo dell’elemento oggettivo, che integra il delitto previsto dall’art. 615-ter cod. pen. la condotta di colui che «pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita» (Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, Rv. 271061 – 01). I principi espressi per il pubblico funzionario possono essere trasfusi anche al settore privato, nella parte in cui vengono in rilievo i doveri di fedeltà e lealtà del dipendente che connotano indubbiamente anche il rapporto di lavoro privatistico. Pertanto è illecito e abusivo qualsiasi comportamento del dipendente che si ponga in contrasto con i suddetti doveri «manifestandosi in tal modo la “ontologica incompatibilità” dell’accesso al sistema informatico, connaturata ad un utilizzo dello stesso estraneo alla ratio del conferimento del relativo potere» (Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, in motivazione). snpen2019518284S  Sez. QUINTA PENALE,Sentenza n.1828418284del 02/05/2019 (ECLI:IT:CASS:2019:18284PEN)2019,udienza del 25/03/2019,Presidente CATENA ROSSELLA Relatore TUDINO ALESSANDRINA 

23 Nov

Messaggio di pacco in sospeso? No, è tentato smishing

di Gabriella Lax

L’sms arriva agli ignari utenti da un sedicente servizio “International Parcel Service”. In realtà dietro al messaggio si cela l’ennesima truffa
icona di sms

Sono tanti in queste settimane a rimanere vittime di una nuova truffa. Un messaggio informa l’utente che pacco è stato trattenuto presso il centro di spedizione. Facile cascarci considerando le difficoltà e gli intoppi causati anche allo shopping online dalla pandemia. Le vittime sono soprattutto ignari acquirenti che magari il pacco lo attendono davvero e da settimane. Si chiamano smishing i tentativi di truffa perpetrati via sms, con messaggi di testo. Quando invece il phishing indica tentativi di truffa via e-mail. Più semplice riuscire ad ottenre un numero di telefono anziché una mail. Anche perché l’hacker può semplicemente inviare messaggi a tutte le combinazioni di cifre della stessa lunghezza di un numero di telefono. Da ricerche è risultato che il 98% dei messaggi di testo viene letto e il 45% riceve risposta (nel caso delle email, le risposte arrivano solo nel 6% dei casi). Per questo gli hacker utilizzano i messaggi di testo come vettore di attacco.

Smishing, il contenuto del messaggio truffa

La messaggio recita “Il tuo pacco e stato trattenuto presso il nostro centro di spedizione.

Si prega di seguire le istruzioni qui il link”. Già la mancanza di accento sul verbo essere potrebbe indurre a dubitare dell’autenticità della comunicazione. Il messaggio truffa parla di un pacco in sospeso da IPS, nella forma, assomiglia molto a quello di altri corrieri (in particolare Ubs). Nel messaggio c’è anche una finta nota di tracciamento. Il messaggio, per carpire dati sensibili, invita a visitare un sito nel quale dovrebbero essere confermati alcuni dati per lo sblocco della spedizione. Le informazioni richieste sono accesso bancari, chiaro segnale di trovarsi di fronte ad una trappola vera e propria.
Smishing, come difendersi dalle truffe

La prima cosa se si ha il sospetto di trovarsi di fronte ad un messaggio sospetto è non fare nulla. Questo tentativo di truffa può fare danni solo se si abbocca alla trappola. In sintesi basta non rispondere. Non bisogna mai cliccare un link o un numero di telefono presenti in un messaggio di cui non si è sicuri. Dal punto di vista giuridico, come nel caso del phishing via e-mail, lo smishing è un reato di frode: basato sull’inganno teso alla vittima facendo cliccare un link o fornire informazioni.

Fonte Studio Cataldi

23 Nov

Codice rosso : Art. 628 e 629 cp estorsione e rapina commessa in danno dei prossimi congiunti quando esclusione della causa di non punibilità art 649 cp

Per i delitti tentati di cui agli artt. 628, 629 e 630 cod. pen., pertanto, la operatività della causa di non punibilità dell’art. 649 cod. pen. è limitata alle ipotesi nelle quali gli stessi siano stati commessi solo con minaccia (ex plurimis: Sez. 2, n. 53631 del 17/11/2016, Giglio, Rv. 268712; Sez. 2, n. 32354 del 10/05/2013, Gallano, Rv. 255982; Sez. 2, n. 18273 del 19/01/2011, Frigerio, Rv. 250083; Sez. 2, n. 22628 del 08/05/2001, Losito, Rv. 219421) e non già ricorrendo alla violenza fisica. La violenza è, infatti, una fattispecie ben distinta dalla minaccia, sicché quest’ultima non può ritenersi ricompresa nella prima, la quale implica l’esplicazione di un’energia fisica sopraffattrice verso una persona o una cosa; la minaccia è, invece, la prospettazione, anche con gesti, di un male ingiusto futuro con scopo intimidatorio diretto a restringere la libertà psichica o a turbare la tranquillità altrui (ex plurimis: Sez. 2, n. 28686 del 09/07/2010, Carollo, Rv. 48031). Tale principio di diritto (e, segnatamente, la distinzione tra commissione del reato mediante violenza o minaccia), tuttavia, non opera con riferimento ai delitti consumati nominativamente indicati dalla prima parte dell’ultimo comma dell’art.649 cod. pen., quali il delitto di estorsione. I reati consumati di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione sono, infatti, esclusi dall’area di applicabilità della previsione dell’art.649 cod. pen., per espressa previsione normativa, pur se posti in essere senza violenza alle persone, bensì con la sola minaccia (ex plurimis: Sez. 2, n. 28141 del 15/06/2010, Stefoni, Rv. 247937; Sez. 2, n. 39008 del 24/06/2009, Cilli, Rv. 245250). Nel contesto della fattispecie in esame, infatti, la locuzione “commesso con violenza alle persone” si riferisce unicamente ad “ogni altro delitto contro il patrimonio” di cui alla seconda parte dell’ultimo comma dell’art. 649 cod. pen. e, pertanto, tale inciso deve essere riferito ad ogni delitto contro il patrimonio diverso ed ulteriore rispetto ai menzionati delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione. Il legislatore, del resto, nel delineare la causa di non punibilità prevista dalla prima parte dell’ultimo comma dell’art. 649 cod. pen. ha espressamente eccettuato i predetti delitti, senza introdurre alcuna limitazione in relazione alle possibili alternative modalità esecutive degli stessi. Pertanto, il delitto consumato di estorsione è sempre escluso dall’ambito di operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod. pen., sia che risulti commesso con violenza fisica, che con minaccia, laddove la tentata estorsione commessa solo con violenza morale (rectius: minaccia) ricade nell’ambito applicativo della seconda parte dell’ultimo comma dell’art. 649 cod. pen. Tale assetto normativo, del resto, non integra alcuna disparità di trattamento rilevante ai sensi dell’art. 3 Cost., in quanto le ipotesi tentate dei delitti comportano una lesione solo “potenziale” del bene giuridico tutelato e, pertanto, non irragionevolmente meritano, nel disegno legislativo, un trattamento meno severo rispetto alle rispettive fattispecie consumate. 3. Così delineati i principi di diritto che regolano la fattispecie va detto che la sentenza della Corte di appello nel trattare dei fatti estorsivi (sia consumati che tentati) è caratterizzata solo dalla apodittica affermazione (pag. 5) che “dalle risultanze istruttorie risulta in modo inequivoco che l’imputato usò non solo minacce, ma anche violenze, che indirizzò sia verso gli oggetti che verso le persone (cfr. in particolare deposizione di Napoletano Lucia). Ne segue che non può ravvisarsi la ipotesi di cui all’art. 649 cod. pen.”. Sez. SECONDAPENALE,Sentenza n.11648 del 15/03/2019 (ECLI:IT:CASS:2019:11648PEN),udienza del 27/02/2019,Presidente PRESTIPINO ANTONIO Relatore ALMA MARCO MARIA 

23 Nov

Il no del Garante Privacy alla pubblicazione in chiaro di foto di minori

Dal Garante per la protezione dei dati personali arriva lo stop alla pubblicazione sui quotidiani di foto in chiaro di minori coinvolti in fatti di cronaca.

Di fronte alla prassi ormai consolidata di pubblicare foto in chiaro di minori coinvolti in fatti di cronaca, il Garante Privacy ritiene doveroso richiamare gli organi di stampa e i social media, al rispetto delle regole deontologiche «nell’esercizio dell’attività giornalistica e della Carta di Treviso, che prevedono tutele e garanzie rafforzate per i più piccoli».

L’obiettivo di tali tutele è quello di far astenere i soggetti della stampa dal diffondere dati personali e dettagli eccedenti che rendano il minore identificabile, in particolare foto e immagini, anche se si è difronte a fatti di interesse pubblico.

L’Autorità invita dunque i media a non diffondere tali immagini di minori o a premurarsi di oscurarle in caso di già avvenuta diffusione, riservandosi eventuali interventi di sua competenza nei confronti delle testate che hanno violato le suddette regole deontologiche.

Fonte Diritto e Giustizia